Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e tutela reintegratoria: la sentenza della Corte Costituzionale

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 128 del 2024, ha dichiarato incostituzionale l’art. 3, comma 2, del d.lgs. 23/2015, per non applicare la tutela reintegratoria attenuata al licenziamento per giustificato motivo oggettivo quando sia dimostrata l’insussistenza del fatto materiale allegato dal datore di lavoro.

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Corte Costituzionale- sent. n. 128 del 16-07-2024

La questione: un licenziamento controverso

Il Tribunale di Ravenna, in funzione del giudice del lavoro, ha sollevato alcune questioni di legittimità costituzionali riguardanti la normativa sul licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Al centro della controversia vi è il licenziamento di un operaio specializzato, assunto a tempo indeterminato, da parte di un’impresa di somministrazione di lavoro, giustificato dall’assenza di prospettive di reimpiego.
Il licenziamento è stato contestato perché, secondo il giudice, il lavoratore non aveva ricevuto alcuna offerta di contratti di somministrazione, nonostante fossero disponibili incarichi compatibili con la sua professionalità. Tale omissione, ritenuta prova dell’insussistenza del motivo di licenziamento, ha spinto il Tribunale di Ravenna a mettere in discussione l’art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2015.

Questioni di legittimità costituzionale

Il giudice ha sollevato varie questioni di legittimità costituzionale riguardo la disparità di trattamento. Il tribunale ha criticato l’ingiustificata differenziazione tra licenziamenti disciplinari e per giustificato motivo oggettivo dal momento che la normativa attuale permette al datore di lavoro di qualificare il licenziamento a sua discrezione. Inoltre, per il giudice, l’indennizzo monetario previsto per il licenziamento illegittimo è risultato insufficiente ai fini di un’adeguata compensazione a carico del lavoratore. Infine, il  giudice ha sollevato una questione relativa la discriminazione temporale sicché la legge tratta in modo  diverso i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 rispetto a quelli assunti prima di tale data, senza fornire una ragione valida per tale disparità.

Legittimità dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo

Il recente dibattito giuridico sulla legittimità dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo ha posto l’attenzione sull’art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2015, una norma di riferimento nella determinazione delle sanzioni indennitarie. Questa disposizione si applica anche nei casi in cui il motivo addotto dal datore di lavoro si riveli “insussistente”.
Il giudice, esaminando la questione, ha ritenuto fondata la non manifesta infondatezza del dubbio di costituzionalità della norma. Ha sottolineato come l’art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2015, con la sua chiara formulazione, non consenta un’interpretazione orientata alla Costituzione, limitandosi a prevedere solo una tutela indennitaria anche nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo illegittimo. Tale orientamento trova, peraltro, riscontro in diverse pronunce della Corte Costituzionale (cfr. sent. n. 22 e n. 7 del 2024, n. 152 e n. 59 del 2021).

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Evoluzione normativa

La normativa di riferimento ha subito una chiara evoluzione, passando da una tutela reintegratoria, come prevista dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, a una predominanza delle sanzioni indennitarie. Questo cambiamento ha ridotto l’ambito della reintegrazione, riservandola solo ai casi di licenziamento più gravi. Tuttavia, la libertà imprenditoriale, tutelata dall’art. 41 Cost., rimane al centro delle decisioni gestionali, con il giudice chiamato a verificare l’effettività e la concretezza delle motivazioni addotte, senza entrare nel merito della loro opportunità.

Le modifiche del d.lgs. n. 23 del 2015

Il Giudice delle Leggi ha sottolineato come il d.lgs. n. 23 del 2015 abbia introdotto alcune modifiche rilevanti alla disciplina dei licenziamenti, continuando il percorso di riforma già avviato dalla Legge n. 92 del 2012. Al centro di queste disposizioni vi è il principio della necessaria causalità del recesso datoriale, che richiede sempre una giusta causa per il licenziamento. Questo principio, radicato nella Costituzione negli artt. 3, 4 e 35, garantisce la tutela del lavoro subordinato, impedendo che il licenziamento possa avvenire senza una causa legittima.

Restrizioni alla tutela reintegratoria

Il D.Lgs. n. 23 del 2015, applicabile ai lavoratori assunti dal 7 marzo 2015, ha ristretto ulteriormente l’area della tutela reintegratoria, riservandola solo ai casi di licenziamento discriminatorio o nullo e limitandola, nei licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo, ai soli casi di “insussistenza del fatto materiale contestato”. La legittimità costituzionale di queste scelte è stata confermata dalla Corte Costituzionale, che, negli anni, ha riconosciuto la discrezionalità del legislatore nel definire i rimedi contro i licenziamenti illegittimi, purché venga assicurata una protezione adeguata.

Discrezionalità del legislatore

La Corte ha anche affrontato la questione della discrezionalità del legislatore nella scelta delle conseguenze di un licenziamento illegittimo. Mentre il legislatore può decidere tra tutela reintegratoria e indennitaria, questa scelta non può essere lasciata alla discrezione del datore di lavoro. Se il licenziamento è fondato su un fatto insussistente, la tutela reintegratoria deve essere applicata in modo uniforme, indipendentemente dalla qualificazione del licenziamento come economico o disciplinare.

Necessità del fatto materiale

La sentenza della Corte Costituzionale chiarisce che, sebbene la motivazione aziendale che giustifica il licenziamento per motivo oggettivo non possa essere esaminata nel merito, è fondamentale che il “fatto materiale” indicato dal datore di lavoro sia effettivamente presente. La norma contestata, che considera irrilevante l’assenza del fatto materiale, è stata dichiarata irragionevole per la sua incoerenza rispetto ai licenziamenti senza giusta causa o giustificato motivo soggettivo.

Ricollocamento dei lavoratori

La Corte ha inoltre stabilito che il legislatore non può concedere al datore di lavoro la facoltà di qualificare in modo arbitrario un licenziamento basato su un “fatto inesistente” come motivo oggettivo, invece che come licenziamento disciplinare. Non sussiste però incostituzionalità quando il fatto materiale è reale ma non giustifica il licenziamento, se il dipendente può essere riutilizzato all’interno dell’azienda. Di conseguenza, la dichiarazione di incostituzionalità non si applica nei casi in cui il lavoratore licenziato per motivi aziendali possa essere ricollocato, similmente a quanto avviene per i licenziamenti disciplinari basati su fatti inesistenti.

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Manuela Rinaldi
Avvocato cassazionista, consigliere e tesoriere del COA Avezzano. Direttore della Scuola Forense della Marsica, è professore a contratto di “Tutela della salute e sicurezza sul lavoro” e “Diritto del lavoro pubblico e privato” presso diversi atenei. Relatore a Convegni e docente di corsi di formazione per aziende e professionisti, è autore di numerose opere monografiche e collettanee.

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