Licenziamento durante la gravidanza: legittimo se la condotta è dolosa e gravemente sleale

Nel giudizio civile di impugnazione di licenziamento per giusta causa intimato nel corso dello stato di gravidanza, il giudice può impiegare le risultanze probatorie del processo penale, anche quando conclusosi con sentenza non passata in giudicato, a condizione che ne operi una valutazione autonoma e critica, e dette risultanze integrino condotte dolose e gravemente sleali tali da rendere operante l’eccezione al divieto di licenziamento di cui all’art. 54, comma 3, lett. a), D.Lgs. n. 151/2001. Per un approfondimento su questi temi, ti consigliamo il volume “Il lavoro subordinato”, acquistabile cliccando su Shop Maggioli o su Amazon.

Il lavoro subordinato

Il lavoro subordinato

Il volume analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni).

L’opera è stata realizzata pensando al direttore del personale, al consulente del lavoro, all’avvocato e al giudice che si trovano all’inizio della loro vita professionale o che si avvicinano alla materia per ragioni professionali provenendo da altri ambiti, ma ha l’ambizione di essere utile anche all’esperto, offrendo una sistematica esposizione dello stato dell’arte in merito alle tante questioni che si incontrano nelle aule del Tribunale del lavoro e nella vita professionale di ogni giorno.

L’opera si colloca nell’ambito di una collana nella quale, oltre all’opera dedicata alla cessazione del rapporto di lavoro (a cura di C. Colosimo), sono già apparsi i volumi che seguono: Il processo del lavoro (a cura di D. Paliaga); Lavoro e crisi d’impresa (di M. Belviso); Il Lavoro pubblico (a cura di A. Boscati); Diritto sindacale (a cura di G. Perone e M.C. Cataudella).

Vincenzo Ferrante
Università Cattolica di Milano, direttore del Master in Consulenza del lavoro e direzione del personale (MUCL);
Mirko Altimari
Università Cattolica di Milano;
Silvia Bertocco
Università di Padova;
Laura Calafà
Università di Verona;
Matteo Corti
Università Cattolica di Milano;
Ombretta Dessì
Università di Cagliari;
Maria Giovanna Greco
Università di Parma;
Francesca Malzani
Università di Brescia;
Marco Novella
Università di Genova;
Fabio Pantano
Università di Parma;
Roberto Pettinelli
Università del Piemonte orientale;
Flavio Vincenzo Ponte
Università della Calabria;
Fabio Ravelli
Università di Brescia;
Nicolò Rossi
Avvocato in Novara;
Alessandra Sartori
Università degli studi di Milano;
Claudio Serra
Avvocato in Torino.

Leggi descrizione
A cura di Vincenzo Ferrante, 2023, Maggioli Editore
63.00 € 59.85 €

La vicenda

La sentenza della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione n. 19367, depositata il 14 luglio 2025 (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), esamina la tematica del licenziamento per giusta causa nel corso dello stato di gravidanza. La vicenda origina nel 2010, quando una dipendente veniva licenziata, appunto per giusta causa, da una Spa, tramite le contestazioni disciplinari basate sulla presunta falsificazione di documenti giustificativi dell’assenza per malattia. La lavoratrice impugnava il licenziamento sostenendo la sua nullità in quanto avvenuto durante lo stato di gravidanza, quindi violando l’art. 54 del D.Lgs. n. 151/2001. Ne seguiva un contenzioso, che attraversava il Tribunale, la Corte territoriale, diverse pronunce di cassazione, ricorsi per revocazione, rinvii e, infine, la decisione definitiva.

La tutela della gravidanza

Uno degli highlight della vicenda afferisce all’ambito applicativo dell’art. 54, comma 3, lett. a) del D.Lgs. 151/2001: il divieto di licenziamento durante la gravidanza può venire meno in presenza di una “colpa grave” della lavoratrice. La Corte di Cassazione conferma l’indirizzo della Corte territoriale che, in sede di rinvio, aveva ritenuto comprovata la falsificazione dolosa dei fax con cui veniva giustificava l’assenza dal lavoro nel settembre 2010. La falsificazione aveva integrato, a dire dei giudici, una condotta gravemente sleale nei confronti della datrice di lavoro, così da giustificare il licenziamento pure in pendenza della condizione di gravidanza.

La rilevanza delle prove penali nel giudizio civile

Uno degli aspetti più controversi ha riguardato l’utilizzo delle prove emerse nel giudizio penale nell’ambito del processo civile. Nonostante il procedimento penale abbia avuto esito con una sentenza assolutoria per insufficienza della prova del dolo, il giudice civile ha legittimamente utilizzato le risultanze probatorie del primo grado penale, in particolare la deposizione della funzionaria della Direzione Provinciale del Lavoro, per fondare il proprio convincimento. La Corte evidenzia la legittimità di tale metodo: nel processo civile non esiste un principio di tassatività delle prove, e il giudice può tener conto di elementi istruttori atipici, compresi quelli emersi nel processo penale, a condizione che ne dia conto in modo critico e autonomo.

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La “giusta causa”

La donna ha invocato l’operatività dell’art. 70 CCNL, che prevede sanzioni conservative (multa o sospensione) per il lavoratore che non giustifichi in modo tempestivo l’assenza. Tuttavia, i giudici hanno escluso la pertinenza di disposizione siffatta, evidenziando la presenza di un “quid pluris” nella condotta della prestatrice di lavoro, indentificandolo nella dolosa contraffazione dei documenti. La condotta in questione, non contemplata in modo esplicito dal CCNL, ha giustificato una misura espulsiva, in linea con l’art. 2119 c.c. e con le previsioni di cui all’art. 54 del D.Lgs. n. 151/2001, in ambito maternità.

L’interruzione di gravidanza

La lavoratrice, inoltre, aveva eccepito il diritto a un periodo di riposo e cura in seguito all’interruzione volontaria di gravidanza, come previsto dall’art. 20 del D.P.R. n. 1026/1976. La Corte ha rigettato in modo implicito tale argomento, ritenendo che l’elemento doloso della condotta fosse dirimente e sufficiente a escludere qualsiasi rilevanza del diritto al riposo nel contesto disciplinare. In tal modo, i giudici rafforzano l’idea che anche diritti protettivi, quali quelli collegati alla maternità e alla salute, debbano confrontarsi col dovere di lealtà e correttezza che grava sul lavoratore.

Effetti della sentenza penale

La sentenza penale della Corte d’Appello del 2024, che conferma l’assoluzione della donna, viene giudicata non rilevante dalla Cassazione, sia perché sopravvenuta rispetto alla sentenza impugnata, sia in quanto non costituisce giudicato, essendo ancora impugnata. Inoltre, trattandosi di una sentenza resa nell’ambito di giudizio abbreviato, non soddisfa i requisiti di efficacia preclusiva nel processo civile, ai sensi di quanto stabilito dall’art. 654 c.p.p.

Giusta causa quale limite al potere protettivo della normativa sulla gravidanza

La sentenza in disamina, rigettando il ricorso della lavoratrice, afferma un principio di particolare rilievo: la tutela della maternità, pur importantissima, non può essere invocata per schermare condotte notevolmente sleali, dolose e contrarie ai doveri contrattuali. Inoltre, riafferma la possibilità, nel processo civile, di impiegare in modo critico e ragionato gli esiti del processo penale, e ribadisce il valore della giusta causa quale limite al potere protettivo della disciplina in tema di gravidanza.

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