Il presente articolo pone l’attenzione sul difficile bilanciamento fra due importanti diritti costituzionali quali la libertà personale nella sua accezione di rispetto alla vita privata e il diritto all’ informazione, che con l’avvento delle nuove tecnologie, in particolare di Internet, vengono messi a duro confronto.
Fino a che punto l’informazione può spingersi? Oltre quale limite si verifica una lesione alla vita privata? Quali sono gli strumenti all’uopo adottati per prevenire qualunque tipo di lesione?
A questi interrogativi e a molti altri si è cercato di dare una risposta partendo dall’evoluzione del concetto di libertà personale, avutosi negli ultimi anni grazie allo sviluppo tecnologico (nella sua duplice accezione di diritto alla riservatezza e diritto al controllo dei propri dati personali), e delle sue implicazioni giuridiche e costituzionali e dei mezzi di tutela della stessa.
Successivamente si è posta l’attenzione all’evoluzione dell’informazione, del diritto/dovere e libertà di informarsi in Rete e dei limiti che essa incontra a fronte della tutela della privacy.
Sono state prese in esame sentenze italiane ed europee, provvedimenti di organismi indipendenti che hanno cercato di bilanciare questi due diritti nella maggior parte dando prevalenza al riconoscimento di una prioritaria garanzia della sfera e tutela privata e della conseguente integrità dell’identità personale che in Rete si fa “identità digitale” a fronte di un diritto all’informazione certamente garantito ma sottoposto a delle limitazioni.
In altri casi, ivi espressamente trattati, particolari situazioni e motivazioni precipuamente analizzate, porteranno il diritto all’informazione a prevalere sulla tutela alla privacy.
Sono stati inoltre presi in considerazione nuovi diritti nascenti dall’avvento delle nuove tecnologie quali il diritto all’oblio, all’anonimato, il diritto d’accesso ad Internet, che se pur ancora di difficile inquadramento costituzionale, si configurano come ulteriori forme di tutela della privacy, in un mondo quale quello multimediale dove tutto è facilmente reperibile e disponibile, con o senza consenso dell’interessato, da chiunque ne abbia interesse, in virtù del fatto che qualunque dato immesso in Rete ha durata perpetua.
Inoltre sono stati messi a raffronto i vecchi articoli a mezzo stampa e le nuove testate giornalistiche online, i moderni archivi giornalistici online (elettronici) con i tradizionali cartacei analizzando le differenze e conseguenze che producono sull’informazione e sulla reperibilità delle notizie.
Infine, in considerazione dello stravolgimento che la Rete ha prodotto non solo sul modo di fare informazione ma anche sul piano privato del singolo utente che accede alla Rete, ci si è chiesto se sia necessario ripensare a nuovi diritti adeguati alla realtà attuale o partire da quelli già esistenti nelle varie costituzioni e mediante un’interpretazione estensiva applicarli alla realtà multimediale.
L’avvento delle nuove tecnologie, di fatto ha inciso notevolmente sul concetto di privacy, ponendo l’attenzione più su un diritto al controllo dei dati personali immessi in Rete che ad un diritto alla propria riservatezza o intimità come un tempo intesa.
Questa nuova visione della privacy, ha portato al riconoscimento di una serie di nuovi diritti e garanzie a tutela della stessa: il riconoscimento non solo di una semplice identità personale ma di un’identità digitale, la conseguente tutela dei dati in Rete e l’identificazione di un diritto d’accesso ad Internet.
D’altro lato si è considerato, un altro fondamentale diritto con cui quello alla privacy viene spesso a collidersi, specie con le moderne tecnologie di informazione e cioè il diritto all’informazione.
Partendo dall’art. 21 della Costituzione, il diritto in questione viene analizzato in tutte le sue implicazioni giuridiche e costituzionali, ne viene fatta una distinzione fra diritto di informarsi e diritto all’informazione e dovere all’informazione, tra libertà di informare e d’informarsi e la garanzia della libertà di manifestazione del pensiero nel nostro ordinamento.
Di questo diritto se ne analizza l’evoluzione avutasi negli ultimi anni, dovuta allo sviluppo tecnologico e al conseguente modificarsi del modo di fare informazione: ai classici articoli a mezzo stampa si sono sostituiti gli articoli delle testate giornalistiche online e la Rete ai tradizionali mass-media, la quale si configura vero baluardo del pluralismo dell’informazione, della libertà di scelta e di espressione in forma anonima.
Di quest’ultima modalità di espressione del pensiero, si dirà che non ha alcun fondamento costituzionale e che come tale non è riconosciuta nel nostro ordinamento.
Nell’analizzare l’evoluzione del diritto ex art. 21, si evidenzia la sua forte implicazione nella garanzia dei diritti fondamentali del sistema e del suo difficile bilanciamento con il diritto alla riservatezza nell’era dei social network.
In merito a quest’ultimo punto, si tracceranno le più importanti novità sul modo di informare, seguite al caso Wikileaks, le sue implicazioni e ripercussioni sulla garanzia dei dati personali e notizie segretate rese di pubblico dominio da Wikileaks.
Evoluzione del concetto di libertà come implicazione dei diritti fondamentali del sistema
La libertà d’informazione “in senso lato” identifica comprensivamente un duplice ordine di situazioni soggettive connesso sia all’attività acquisitiva di conoscenze (l’informarsi), sia al comportamento attivo di espressione (l’informare).
Nel vigente ordinamento soltanto quest’ultimo comportamento riceve un’espressa garanzia costituzionale all’art.21 della Costituzione [1]e si è proposto di individuarlo con una formula diversa e cioè libertà di espressione.
Con tale terminologia perciò si identifica in “senso stretto” e più correttamente solo il diritto all’informazione, la libertà di informarsi e di porre in essa i relativi comportamenti tesi ad acquisire l’informazione.
Con riferimento all’attività acquisitiva di conoscenze, la novità della formula “libertà di informazione [2]” porta a cogliere esigenze e bisogni che occupavano un posto marginale nella concezione della libertà d’espressione .
La libertà di informazione è una precondizione dell’opinione, che essa precede o segue, ponendosi come situazione autonoma e costituendo il prolungamento naturale del “diritto all’educazione[3]”.
Quando infatti si rivolge l’attenzione alla serie di garanzie giuridiche apprestate dall’ordinamento per la formazione dell’opinione pubblica, il discorso non può limitarsi alla libertà di stampa (garantita all’art.21 comma II ), ai gruppi di pressione o ai meccanismi politici e giuridici propri della struttura rappresentativa accolta da un dato ordinamento, bensì deve estendersi ed anzi prendere le mosse da quella esigenza di informazione che è il presupposto necessario di ogni attività dell’uomo e quindi della sua partecipazione alla vita politica e sociale dell’ordinamento.
Il diritto ad essere informati costituisce la base per la “formazione” di una corretta opinione pubblica nonché per l’ attuazione dei principi di democrazia e sovranità ( art.1 Costituzione )[4], del libero sviluppo della persona (art. 2 Costituzione )[5], dell’uguaglianza formale e sostanziale degli individui ( art.3 Costituzione )[6].
Non è soltanto “il diritto di ricevere quanto viene manifestato o espresso ma innanzitutto la possibilità di muoversi ed agire per il reperimento dell’informazioni mediante l’ accesso non soltanto ai mezzi di comunicazione ma anche attraverso la raccolta di dati e l’ osservazione degli avvenimenti”[7].
Presupposto necessario, dunque, è la libertà di informazione, che sostanzia sia nella possibilità di accedere alle fonti di informazione, raccogliendo dati e notizie in modo da poterli rielaborare e formarsi una propria opinione; sia nella possibilità di comunicare agli altri con qualsiasi mezzo il proprio pensiero.
La “libertà di informazione ha un duplice aspetto: la libertà di informarsi e la libertà di informare.
L’uno e l’altro aspetto sono intrinsecamente connessi e costituiscono presupposti indefettibili di ogni attività umana[8]”.
Una norma che vietasse a chiunque di svolgere una sia pur minima attività di informazione sarebbe una norma impossibile da osservare poiché comporterebbe la cessione di ogni attività umana e dello stesso ordinamento.
La libertà di informazione configurata come correlato o conseguenza della manifestazione di pensiero di un diverso soggetto (e quindi come accessibilità alle sole fonti consistenti in un’espressione o in una manifestazione) riceverebbe una tutela di applicazione del tutto limitata sia perché non sarebbe altro che il mero risultato di fatto dell’espressione altrui, sia perché sarebbe difficile escludere che il soggetto manifestante operi una discriminazione fra i destinatari delle sue espressioni.
Ne deriverebbe un ingiustificato disconoscimento del più ampio interesse di chi intende conseguire una conoscenza che può riferirsi solo a ciò che viene manifestato o espresso, ma anche a quanto risulti documentato per essersi esaurita la fase della manifestazione o a quanto avvenga o si produca a prescindere da ogni manifestazione di pensiero o opinione: esiste infatti una serie di comportamenti conoscitivi niente affatto collegabili con le fattispecie di quell’articolo 21, in quanto “acquisizione” di notizie non è solo “recezione” dell’espressione altrui, ma anche raccolta di dati e osservazioni di avvenimenti .
La libertà di informazione in questa più ampia estensione, assume una funzione di controllo , sollecitata e graduabile in diversa misura alla stregua della diversa sensibilità dei soggetti operatori, perché “l’acquisizione di informazioni si pone in rapporto strumentale rispetto alle molteplici possibilità operative che l’ordinamento conferisce ad ogni soggetto, al punto che la sua garanzia costituzionale può essere configurata come tutela dell’operatore conoscitivo [9]”.
L’operatore conoscitivo, in altri termini ove risulti titolare di una libertà così ampiamente configurabile potrà porre in essere i comportamenti conoscitivi che ritiene più opportuni, indipendentemente dalla circostanza che il conseguimento delle notizie dipende o meno dal consenso di un altro soggetto perché “la libertà in questione non si configura come un diritto alla notizia bensì come possibilità di muoversi ed agire per il reperimento delle notizie tramite l’accesso alle fonti più disparate ed eterogenee [10]”.
La notizia infatti può definirsi come “ un rapporto conoscitivo tra un soggetto ed una realtà[11]”, essa è perciò il risultato di un’ attività informativa il cui svolgimento condiziona il sorgere di tale rapporto di conoscenza.
L’unico dato rilevabile dunque è costituito solo dall’ attività informativa e non dalla notizia.
Tale osservazione ha il suo rilievo sul piano della garanzia costituzionale perché quest’ ultimo sembra tutelare più la possibilità di svolgere un’attività conoscitiva che non la pretesa di ottenere una determinata notizia.
La configurazione di un simile tipo di garanzia deriva oltre che dal valore preliminare del comportamento informativo rispetto al suo risultato anche dalla “necessità logica (nell’ ipotesi in cui fosse tutelato un diritto alla notizia) di individuare l’obbligo per i soggetti informatori di trasmettere e comunicare le notizie stesse[12]”.
Si comprende dunque che a seguito dell’inesistenza di un siffatto obbligo sanzionato in via generale a fronte di una richiesta informativa, la libertà di informazione non attribuisce all’operatore conoscitivo alcuna pretesa a conseguire una determinata notizia.
D’altra parte un diritto alla notizia comporterebbe una piena individuazione della notizia stessa che non risulta operabile alla stregua della norma costituzionale.
Le difficoltà della ricostruzione della libertà d’informazione (posto che nel testo costituzionale non vi sono elementi espressi circa il suo fondamento e la sua struttura) sono evidenti; ma si può limitare l’ attenzione ad una parte di quegli indici normativi che, rapportati alle disposizioni di principio concorrono a dimostrare che la suddetta libertà è uno “strumento essenziale che caratterizza il sistema e che trova in questa strumentalità il suo fondamento positivo [13]”.
Si tratta di un fondamento che è suscettibile di trovare conferma logica in ogni dato della Costituzione, che potrebbe essere vanificato o ridotto nella sua operatività se non vi fosse la garanzia costituzionale della libertà di informazione, cosicché la figura in esame costituisce una fattispecie autonoma e non l’aspetto di una diversa situazione soggettiva più ampia, specificatamente garantita (come per esempio, la libertà di stampa o la ricerca scientifica).
E’evidente che se si fa riferimento alla libertà di pensiero e si osserva che l’informazione è utile per la formazione del pensiero stesso, non si riesce a dimostrare che sul piano giuridico la garanzia della manifestazione si estenda a tutelare oltre che la libertà di pensiero anche quella di informazione.
Così anche, se isolatamente considerati, sono insufficienti tutti i dati desumibili dalle situazioni che garantiscono una libertà di scelta (e quindi evidentemente una libertà di informazione tale da consentire il libero esercizio della scelta).
Eppure tali dati sono numerosi e non possono avere un significato concordante; né si può pensare che ognuno di tali disposizioni possa essere limitata a garantire solo gli aspetti conoscitivi strettamente connessi alla situazione tutelata.
La tutela della ricerca scientifica (art. 33 comma I della Costituzione), infatti comprende anche la garanzia del suo stadio preliminare e cioè la libertà d’acquisizione dei dati; lo stesso dicasi per l’ esercizio della libertà d’iniziativa economica (art. 41 comma I Costituzione) che garantisce l’iniziativa economica dell’imprenditore e quindi, ancor prima, la sua esigenza d’informazione.
Il discorso resta identico anche per quelle libertà che comportano possibilità di scelta –dal domicilio (art. 14 Costituzione), alla circolazione e soggiorno (art.16 Costituzione), alle associazioni (art. 18Costituzione), sindacati (art.39 Costituzione) e ai partiti politici, alla scuola (art.33/34 Costituzione) – non si può argomentare, infatti che la libertà di scelta garantita in tali situazioni particolari esclude una libertà di informazione di carattere generale (garantendo solo l’acquisizione di quei dati necessari per l’esercizio delle singole scelte), perché, da un lato tutte queste situazioni integrate sistematicamente danno la riprova che vi è la “garanzia di un’esigenza informativa di carattere più ampio”[14], dall’altro lato la libertà di informazione costituisce anche un principio di carattere generale che si ritrova positivamente statuito e specificato in tutte quelle disposizioni che garantiscono una libertà di scelta (generale o particolare).
I principi informatori del sistema costituzionale vigente, testé accennati, a cui dovranno essere aggiunti i principi della democrazia, della sovranità popolare (art.1 Costituzione), dello sviluppo della persona umana (art.2 Costituzione) e dell’uguaglianza (art.3 Costituzione) comportano la garanzia costituzionale della libertà in discorso perché questa è “strumentalmente necessaria per assicurare al sistema la realizzazione dei medesimi[15]”.
La libertà, come situazione soggettiva e come principio costituisce per ciò un presupposto per lo sviluppo del sistema; essa caratterizza necessariamente la politica dell’informazione imponendo un miglioramento nella diffusione delle conoscenze, nell’accessibilità alle fonti tramite un’organizzazione ed un’ incentivazione dei mezzi di raccolta, selezione e recezione delle informazioni il cui inadeguato sviluppo si rifletterebbe negativamente a tutti i livelli e in ogni settore della società .
L’ampio riconoscimento della libertà di manifestazione di pensiero contenuto nel I comma dell’art.21 (“tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”) lascia ben intendere quale fondamentale rilievo assuma tale libertà in un regime democratico il quale può definirsi tale in base al grado in cui la libera manifestazione del pensiero viene riconosciuta e attuata concretamente.
I mezzi mediante i quali si può manifestare il proprio pensiero sono la parola, lo scritto, la radio, la televisione e di recente Internet (di cui parleremo in seguito).
Ora che tutti “abbiamo diritto di manifestare il proprio pensiero con ogni mezzo” non può naturalmente significare “che tutti debbano avere, in fatto una materiale disponibilità di tutti i mezzi di diffusione, ma vuole dire che a tutti la legge deve garantire la giuridica possibilità di usarne o accedervi, con le modalità entro i limiti resi eventualmente necessari dalle particolari caratteristiche dei singoli mezzi o dall’esigenza di assicurare l’armonica coesistenza del pari diritto di ciascuno o dalla tutela di altri interessi costituzionalmente apprezzabili[16]”.
Il problema sopra segnalato si pone, pertanto, in merito ai mezzi di manifestazione del pensiero, per la stampa (e per i social network che vedremo di seguito), che ad oggi costituisce il mezzo più incisivo per la formazione di una consapevole opinione pubblica e dell’acquisizione di conoscenze non episodiche.
Ed è per questo che l’art.21 detta una specifica disciplina sia per la libertà di stampa e per le limitazioni al suo esercizio.
A norma del II comma di detto articolo “La stampa, non può essere assoggettata ad autorizzazioni o censure”. L’essenza della libertà di stampa sta dunque in ciò che chiunque voglia pubblicare un libro , un giornale, un opuscolo non deve chiedere nessuna autorizzazione, è assolutamente libero di farlo e prima di procedere alla sua diffusione non deve sottoporlo ad alcuna censura.
L’unica forma di limitazione espressa alla libertà di stampa è il sequestro.
Secondo l’art.21 comma III “si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge della stampa espressamente lo autorizzi o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescrive per l’indicazione dei responsabili”.
Qualora però vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, l’art.21 comma IV dispone che il sequestro della stampa periodica possa essere eseguito dagli ufficiali di polizia giudiziaria che devono immediatamente e non oltre le ventiquattro ore fare denunzia all’autorità giudiziaria.
Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro si intende revocato e privo di ogni effetto.
Un ulteriore limite posto alla libertà di stampa è rinvenibile al V comma dell’art.21 nella parte in cui si statuisce che “sono vietate le pubblicazioni a stampa contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni”.
La nozione di buon costume “non può essere fatta coincidere con la morale o con la coscienza etica ma risulta da un insieme di precetti che impongono un determinato comportamento nella vita sociale di relazione, l’inosservanza dei quali comporta in particolare la violazione del pudore, (…), della dignità personale (…), del sentimento morale aprendo la via al mal costume con la possibilità di comportare anche la perversione dei costumi, il prevalere di regole e comportamenti opposti [17]” .
L’importanza e l’incidenza della stampa ai fini della formazione dell’opinione pubblica ha indotto infine il costituente a prevedere (art.21 comma V) che “la legge può stabilire con norme di carattere generale che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica” e ciò per consentire una lettura “critica” e consapevole dei quotidiani e dei periodici in genere che è reso possibile solo dalla conoscenza dei nomi dei proprietari e dei finanziatori degli stessi.
La disposizione in esame è tesa a garantire che nel campo soprattutto dell’informazione sia assicurato il principio del pluralismo per consentire la libera circolazione delle idee ed una formazione non manipolata dell’opinione pubblica e del consenso.
Il difficile bilanciamento tra tutela della libertà d’informazione e diritto alla riservatezza nell’era dei Social Network
La libertà di manifestazione del pensiero prevista dall’art.21 della Costituzione si configura come diritto fondamentale della persona e libertà strumentale al pieno realizzarsi dell’ordinamento democratico.
Fino alla diffusione di Internet, i principali mezzi di comunicazione di massa erano senz’altro la stampa e la radio televisione.
La gestione di tali mezzi è però riservata ad un numero ristretto di individui a causa delle difficoltà tecniche e dell’onerosità delle attività di imprese che ne impediscono la libera disponibilità di ogni cittadino.
Per tali motivi la Corte Costituzionale è intervenuta più volte, al fine di garantire l’effettività dei diritti previsti dall’art.21, riconoscendo, oltre al diritto di cronaca e alla libertà di informare, un vero e proprio “diritto di tutti gli individui ad essere informati[18]”.
La Corte afferma che “l’informazione nei suoi risvolti attivi e passivi (libertà di informare e diritto ad essere informati) esprime infatti una condizione preliminare (o se vogliamo un presupposto insopprimibile) per l’attuazione ad ogni livello, centrale o locale, della forma dello Stato democratico[19]”.
Ciò significa che il fine dell’ordinamento deve essere quello di garantire a tutti la possibilità di usare o accedere ai media con le modalità e i limiti rese eventualmente necessari dalle peculiarità dei singoli mezzi.
Il quadro è mutato radicalmente con lo sviluppo di Internet in quanto attraverso la rete ciascun utente può liberamente partecipare sia come “informatore che come soggetto informato[20]” senza necessità di alcuna competenza tecnica.
Alla libertà di informazione si ricollega “la libertà informatica[21]”, intesa come la libertà di utilizzare strumenti informatici per informarsi e informare, il cui fondamento costituzionale è identificabile nella tutela della libertà d’informazione (art.21).
Tale libertà si distingue in negativa e positiva.
La prima esprime il diritto dell’interessato a che non siano rese di dominio pubblico certe informazioni di carattere personale mentre la seconda si riferisce alla facoltà di esercitare un diritto di controllo sui “dati concernenti la propria persona che sono fuoriusciti dalla cerchia della privacy per essere divenuti elementi di input elettronico [22]”.
In una società proiettata nell’era dell’innovazione telematica, un’adeguata protezione dei dati personali costituisce l’unica garanzia idonea a scongiurare il pericolo che tali tecnologie nascenti possano essere strumenti potenzialmente lesivi della riservatezza delle persone.
La rete, è un “illimitato collettore” e diffusore di conoscenze, nel cui ambito le informazioni vengono raccolte, archiviate e rese disponibili.
Il mondo del cyberspazio non conosce limiti né tempo.
Ogni dato inserito nella rete è destinato a vagare a tempo indeterminato nell’universo immateriale “internettiano[23]”; anche se viene cancellato da un determinato sito potrà sempre essere rintracciato e nuovamente utilizzato.
In rete viene modificata non solo la quantità ma anche la natura delle comunicazioni; le informazioni facilmente reperibili sono per lo più prive di contestualizzazione, cioè di collegamenti alla fonte originaria.
La notizia che appare sul web non dura al pari delle notizie sulla carta stampata ma piuttosto assume forma durevole e incancellabile, chiunque la può leggere e rileggere e può utilizzarla come fonte di informazione.
La notizia non è un dato astratto alla mercé di tutti perché riguarda la persona e la sua immagine in un dato momento storico; i dati personali costituiscono “una parte dell’espressione dell’individualità dell’individuo[24]”.
E allora deve essere consentito alla persona, a tutela della sua identità di esercitare il proprio diritto di libertà informatica, che consiste nel poter disporre dei propri dati personali o delle notizie che lo riguardano, e quindi, nella possibilità di chiedere sia il diritto alla “contestualizzazione” del dato, sia il diritto all’oblio su ciò che non è più parte della sua identità personale.
La moltitudine degli strumenti di comunicazione, ha in primo luogo determinato un assottigliamento del confine tra l’ambito di applicazione dell’art.15 della Costituzione e quello dell’art.21, tradizionalmente fissato in base all’individuazione o meno dei destinatari della comunicazione sicché ora risulta difficile distinguere con precisione i casi in cui la comunicazione telematica sia diretta ad uno o più destinatari determinati (e quindi l’utente ritenga di poter godere della segretezza e riservatezza garantiti dall’art.15), da quelli in cui invece l’intenzione sia quella di diffondere informazioni rivolgendosi ad un pubblico indeterminato[25].
Internet assume una duplice natura: è un mezzo di comunicazione individuale ma allo stesso tempo di massa.
Se da un lato questa permette ad ogni individuo indiscriminatamente di esprimersi in uno spazio che “non ha frontiere fisiche, collegamenti territoriali e, più in generale, una dimensione spazio-temporale[26]”, dall’altro, se priva di controllo, rischia di trasformarsi in uno strumento lesivo delle libertà fondamentali dell’utente.
Il quadro si è ulteriormente complicato nel corso degli anni a causa del continuo moltiplicarsi degli strumenti di comunicazione online, ciascuno dei quali con proprie caratteristiche tipiche; affianco ai siti web, sono nate le testate giornalistiche, i forum, i blog, le chat private o di gruppo.
La velocità di sviluppo di tali mezzi e le peculiari caratteristiche di ognuno di essi ha impedito che il legislatore riuscisse ad intervenire con una disciplina completa e sistematica.
Ad oggi la disciplina di riferimento è costituita dal d.lgs. n.69 / 2012 e d.lgs. n.70/2012 con cui è stata definitivamente recepito nel nostro ordinamento la revisione comunitaria del quadro normativo delle comunicazioni elettroniche così come prevista dalle direttive 2009/136 CE e 2009/140 CE.
I nuovi decreti legislativi intervengono modificando rispettivamente il Codice sulla protezione dei dati personali (d.lgs. n.196 / 2003) ulteriormente modificato dal d.lgs. n.33/2013 limitatamente alla disciplina degli enti pubblici e il Codice delle comunicazioni elettroniche (d.lgs. 259/2003).
I problemi affrontati ed in parte risolti dalla giurisprudenza e dall’intervento legislativo, sono riaffiorati in una forma del tutto nuova con l’avvento dei social network.
Il social network è uno degli strumenti attraverso il quale gli utenti entrano a far parte di una comunità virtuale con la quale possono scegliere di condividere ogni informazione anche attraverso la pubblicazione online di foto o video.
Al momento dell’iscrizione vengono generati profili personali attraverso i quali gli abbonati possono interagire fra loro in tempo reale; allo stesso tempo a seguito dell’adesione dell’utente, automaticamente senza previo consenso, il nome di quest’ultimo viene indicizzato sui motori di ricerca estranei al network (Google ad es.).
Pertanto, compilando un semplice modulo di iscrizione online e in modo del tutto gratuito, gli utenti inseriscono le proprie informazioni all’interno del profilo, tali informazioni saranno, salvo diversa indicazione, visibile a tutti i navigatori della Rete, iscritti e non.
Risulta dunque evidente l’elemento caratterizzante di questo strumento di comunicazione di massa: la volontaria rinuncia da parte degli utenti alla propria riservatezza.
Questi possono scegliere di rendere pubblica ogni informazione personale: la propria religione, le proprie scelte politiche, le tendenze sessuali ecc.
Diverse sono le difficoltà di apprestare una tutela adeguata contro gli abusi derivanti dall’uso dei social network.
In primo luogo gli interventi sia in ambito europeo che nazionale in materia di privacy si sono sempre concentrati sulla gestione e sul trattamento dei dati personali da parte dei soggetti pubblici o di imprese private (d.lgs. 196/03), ma non è stata mai prevista una disciplina per i casi in cui la divulgazione dei dati personali abbia origine da un’autonoma iniziativa dei titolari degli stessi.
Inoltre è indispensabile che l’intervento sia in grado di bilanciare due diritti fondamentali: la libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero e il diritto alla riservatezza.
Un intervento restrittivo, volto a limitare l’uso dei social network come mezzo di comunicazione si porrebbe in contrasto con l’art.21 della Costituzione, in quanto tale “strumento ponendo tutti gli utenti sullo stesso piano e permettendo loro di esprimersi liberamente senza barriere, costituisce la massima realizzazione della libertà di manifestazione del pensiero[27]”.
Dall’altro lato è innegabile che il diritto alla riservatezza, al proprio decoro, al proprio onore, alla propria rispettabilità, intimità e reputazione sia da ricomprendersi fra i diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti e garantiti dagli art. 2, 3 e 13 della Costituzione [28] e che pertanto necessiti di adeguata tutela.
La Corte Costituzionale stessa, ha annoverato il diritto alla riservatezza fra i diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione, evidenziando la stretta connessione fra tutela della riservatezza e tutela della dignità umana[29].
La difficoltà di bilanciare gli interessi in gioco risulta aggravata dal contrasto fra il riconoscimento del diritto alla privacy come diritto fondamentale e la volontà degli utenti di rinunciarvi, rendendo pubbliche le proprie informazioni personali.
Fra gli elementi lesivi della riservatezza deve sicuramente menzionarsi l’ assenza di un concetto di oblio all’ interno dei social network, definito come “il diritto di un individuo ad essere dimenticato, o meglio, a non essere più ricordato per fatti che in passato furono oggetto di cronaca[30]”.
Tale problematica risulta accentuata dalla tecnica del “Tagging[31]” caratteristica dei social network che consente di copiare messaggi, foto, o altro materiale pubblicato sul profilo di un utente, sottraendolo alla disponibilità dell’autore e permettendone la sopravvivenza anche ad una sua eventuale cancellazione dal social network,[32] in quanto come nel caso di Facebook, il social network più diffuso, non prevede una vera e propria cancellazione ma esclusivamente la possibilità di disattivare il proprio profilo restando così i dati pubblicati all’interno dei server per un tempo indeterminato ed il profilo potrà sempre essere riattivato.
Una recente decisione della Corte di Giustizia Europea 13 Maggio 2014 (causa C-132/12 Mario Costega Gonzales e AEPD vs Google Spain e Google Inc.[33]) accogliendo la tesi per cui gli utenti della rete hanno diritto di controllare i propri dati e chiedere ai motori di ricerca di rimuovere i risultati che li riguardano, ha riconosciuto la responsabilità del motore di ricerca (nel caso di specie Google) per il trattamento di indicizzazione dei dati personali in violazione del “diritto all’oblio” e cioè del diritto all’autodeterminazione informatica o del diritto alla conservazione della propria identità digitale in relazione ai contenuti che lo riguardano.
Per la Corte è legittima la pretesa di un soggetto a non vedere comparire tra gli elenchi dei risultati delle ricerche, le pagine web che ospitano contenuti che lo riguardano, qualora questi gli arrechino pregiudizio e sia trascorso un lasso di tempo dalla pubblicazione della notizia tale da non giustificare più la permanenza nel pubblico dominio di queste informazioni, e ciò anche nei casi in cui la pagina internet indicizzata contenente l’informazione non venga rimossa dal sito sorgente.
I giudici hanno ritenuto responsabile il motore di ricerca in caso di violazione del diritto alla conservazione dell’attualità dell’identità digitale (“diritto all’oblio”) causata dall’indicizzazione di link che si riferiscono a pagine web di terzi contenenti notizie non più attinenti alla vita attuale del soggetto dal momento che il motore di ricerca determina le finalità e gli strumenti dei trattamenti personali ai sensi dell’art.21 lettera b) della direttiva 95/46 (relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tale dati).
E’ in forza di tale normativa che “il gestore del servizio di motore di ricerca è ritenuto titolare del trattamento dei dati e, come tale, ha l’obbligo di evitare che certe pagine web vengano elencate negli indici delle ricerche se i contenuti ospitati non sono più giustificati da finalità attuali di cronaca [34]”.
[1] Art.21 della Costituzione : “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola,lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere al sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti , per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi , o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili (…)”.
[2] A. LOIODICE , voce Informazione in Enc. del diritto, vol. XXI, Giuffrè, Milano, 1971 , p. 474.
[3] A. LOIODICE , Evoluzione del concetto di libertà di informazione , in Enc. del diritto, vol. XXI , Giuffrè, Milano, 1971 , p.475.
[4] Art.1 Costituzione : “ (…) La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
[5] Art. 2 Costituzione : “ La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo ,sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
[6] Art. 3 comma II Costituzione : “ (…) E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale , che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’ effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica economica e sociale”.
[7]A.M. GAMBINO – A.STAZI ,Diritto dell’informatica e della comunicazione, Torino , 2007, p. 7
[8] A.M.GAMBINO –A. STAZI , Diritto dell’informatica e della comunicazione, op. cit., p.17
[9] A. LOIODICE , voce Informazione , in Enc. del diritto , op.cit., p.476
[10] ALDO LOIODICE , , voce Informazione , in Enc. del diritto , op. cit. p.476.
[11] S.KOSTORIS, Il segreto come oggetto della tutela privata, Cedam, Padova, 1964, p .4.
[12] M. FOSCHINI , Il diritto dell’ azionista all’informazione, Giuffrè, Milano, 1959, p. 18.
[13] A.LOIODICE , Contributo allo studio sulla libertà di informazione , Jovene, Napoli , 1967 , p.126 ss
[14] A. LOIODICE , La libertà di informazione e i frammenti normativi sull’attività conoscitiva , in Enc. diritto ,Giuffrè , Milano, vol.XXI , 1971.
[15] ALDO LOIODICE , voce Informazione , in Enc. del diritto , op. cit., p.476
[16] Cort. Cost. , sent. n.105 /1972
[17] Corte Cost. , sent. n.368 / 1992
[18] Corte Cost. , sent. n.105 / 1972 ; sent. n.225 / 1974
[19] Corte Cost. sent. n.348 / 1990
[20] F. ZANI, Il difficile bilanciamento della libertà di manifestazione del pensiero e diritto alla riservatezza nell’era dei social network , in Riv. AIC , Osservatorio Costituzionale , maggio 2014 , p.3.
[21] M. COCUCCIO , Il diritto all’oblio fra tutela della riservatezza e diritto all’informazione , in Diritto di famiglia delle persone , fasc.2,pt2 , Giuffrè, Milano, 2015, p.740
[22] T. FROSINI , Google e il dritto all’oblio preso sul serio , in Riv. dir. informatica , Roma, 2014, p.563.
[23]L. FEROLA , Dal diritto all’oblio al diritto alla memoria sul web , in Riv. dir. Informatica , Roma, 2012 , 06, 1001
[24] T.FROSINI, Google e il dritto all’oblio preso sul serio , op. cit. ,p.563.
[25] A.PAPA , Espressione e diffusione di pensiero in Internet , tutela dei diritti e progresso tecnologico ,Giappicchelli, Torino, 2009
[26] C.CARUSO , La libertà di espressione in azione , Contributo ad una teoria Costituzionale del discorso pubblico , Feltrinelli, Rastignano (Bo) , 2013 , p.136.
[27] E.FALLETTI , La tutela dell’onore e della reputazione , in Diritto dell’internet, Cedam, Padova, 2010, p.66 ss.
[28] Corte Cost. , sent. n. 38/1973
[29] Corte Cost. , sent. n. 54 /1987 ; n.366 /1991 ; n. 467/1991 ; n. 35/1993
[30] G.CASSANO , Il diritto all’oblio nell’era digitale , in Diritto dell’internet , Cedam, Padova, 2012 , p.45.
[31] F. ZANI , Il bilanciamento fra tutela della libertà di manifestazione del pensiero e diritto alla riservatezza nell’era dei social network , in Riv. AIC , 2014 , p.7.
[32] Tribunale Monza , sent. 770 / 2010
[33] Nel caso di specie lo spagnolo Costega Gonzales proponeva reclamo dinnanzi all’AEPD contro “La Vanguardia Ediciones SL” e , Google Spain e Google Inc. .Commentando il fatto che nell’indice del motore di ricerca di Google erano presenti link verso il quotidiano “La Vanguardia” , nelle cui pagine (risalenti al 1998) figurava un annuncio (che menzionava il nome , quindi i dati personali) per la vendita all’asta di immobili in relazione ad un pignoramento per la riscossione coattiva di crediti previdenziali. Lo stesso dichiarava che il pignoramento era stato definito da anni e il debito pagato, per cui chiedeva al quotidiano di eliminare le pagine a Google di rimuovere i suoi dati affinché non figurassero sul motore di ricerca .L’AEPD da parte sua respingeva la richiesta in relazione al quotidiano “La Vanguardia” ritenendo che la pubblicazione delle informazioni era legalmente giustificata,essendo avvenuta su ordine del Ministero del Lavoro con lo scopo di conferire pubblicità alla vendita pubblica ma nel contempo ordinava a Google la rimozione dei dati .Google invece ricorreva dinanzi all’Audencia Nacional , che sottoponeva la questione alla Corte di Giustizia UE.
[34] M. COCUCCIO , Il diritto all’oblio fra tutela della riservatezza e diritto all’informazione , in “Il diritto di famiglia e delle persone” , fasc.2 , pt2, Giuffrè, Milano, p.751ss.