Legittimazione del lavoratore ad agire contro gli eredi del datore di lavoro

in Giuricivile, 2019, 1 (ISSN 2532-201X), nota a Cass., sez. Lavoro, sent. n. 26471 del 19/10/2018

Con una recente sentenza pubblicata il 19 ottobre 2018, la Corte di Cassazione ha affrontato il caso di una lavoratrice che, rivendicando differenze retributive ed altre spettanze attinenti al rapporto di lavoro intercorso con il de cuius, agiva nei confronti dei soggetti chiamati a succedere per testamento.

Tutta la vicenda (e di conseguenza la decisione della Corte) verte, nella sostanza, sulla distinzione tra erede e legatario: invero, la qualificazione del chiamato a succedere quale erede o quale legatario comporta delle ripercussioni sul piano giuridico divergenti ed opposte. Tale profilo, infatti, coinvolge direttamente non solo i rapporti tra eredi e legatari dello stesso de cuius, ma anche, per quanto di interesse in questa sede, i rapporti tra soggetti terzi e i chiamati a succedere (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza n. 26471 del 19.10.2018 – Presidente G. Napoletano).

Il caso in esame

Con ricorso dell’8 luglio 2006 la ricorrente assumeva di aver lavorato su incarico e alle dipendenze del defunto sacerdote, svolgendo mansioni di pulizia della casa, di cura e assistenza, senza percepire una retribuzione adeguata alla qualità e alla quantità del lavoro svolto dal 1986 sino al decesso del prelato. Quest’ultimo con testamento olografo del 24 febbraio 2003, pubblicato il 25 maggio 2004, aveva nominato i suoi eredi. La lavoratrice conveniva quindi in giudizio davanti al giudice del lavoro di Nicosia tutti gli eredi, chiedendone la condanna in solido al pagamento della complessiva somma di Euro 234.880,760 oltre accessori.

Instauratosi il contraddittorio, l’erede resisteva alle pretese avversarie ed eccepiva, nel corso del giudizio – solo all’udienza del 1 luglio 2009 e per la prima volta – il fatto di essere legataria, e non già erede del dante causa. Il giudice di prime cure condannava la convenuta al pagamento della somma di Euro 137.401,83 oltre accessori, nonché al rimborso delle spese di lite – mentre rigettava la domanda nei confronti degli altri convenuti – ritenendo che la deduzione prospettata di non essere erede ma legataria, in quanto eccezione in senso proprio, fosse tardiva.

Avverso la sentenza del Tribunale di Nicosia veniva proposto appello dall’erede del sacerdote: la Corte d’Appello di Caltanissetta con sentenza n. 660 in data 28 novembre 2012 – 2 gennaio 2013 riformava la gravata decisione, rigettando la domanda proposta dall’attrice nei confronti dell’appellante per difetto di legittimazione passiva di quest’ultima. Invero, contrariamente all’assunto posto a base della decisione del primo giudice, la Corte d’Appello riteneva che nella controversia promossa dal lavoratore contro gli eredi del datore di lavoro, per il conseguimento di compensi relativi al suo pregresso rapporto, la negazione da parte di uno dei convenuti della propria qualità di erede non configuri un’eccezione in senso proprio, bensì una mera deduzione difensiva (attinente ad un fatto integrativo della pretesa creditoria, con relativo onere a cura di parte attrice), la quale pertanto non soggiace in primo grado alle preclusioni di cui all’articolo 416 c.p.c. e in appello a quelle di cui all’articolo 437 cit. codice[1]. Ne deriva che l’appellante, in quanto mera legataria, non era tenuta ai sensi dell’articolo 756 c.c. a pagare i debiti ereditari, sicché la Corte d’Appello, in riforma dell’impugnata sentenza, rigettava la domanda di parte attrice “per difetto di legittimazione passiva”.

Contro tale pronuncia veniva proposto ricorso per Cassazione da parte della lavoratrice.

Sulla successione testamentaria: differenze tra erede e legatario

Quando un soggetto viene a mancare, la trasmissione dei suoi beni può avvenire per legge o per testamento: si ha la prima ipotesi quando l’asse ereditario viene devoluto in base alle disposizioni di legge contenute nel Libro Secondo del Codice Civile – Delle Successioni –, mentre si verifica la seconda ipotesi quando la sorte dei rapporti patrimoniali del de cuius viene determinata dallo stesso disponente con testamento.

L’art. 587, primo comma, stabilisce che il testamento è l’atto con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse. Il testamento è un negozio giuridico unilaterale[2], unipersonale[3], revocabile e a titolo gratuito: esso si caratterizza, inoltre, per il vincolo di forma ad substantiam, nel senso che al fine di tutelare i rapporti del disponente per il tempo successivo alla sua morte deve essere redatto secondo una delle forme previste dal Codice Civile agli articoli 601 e seguenti – testamento olografo, testamento pubblico, testamento segreto e, in casi eccezionali, testamenti speciali -.

Il testatore, in virtù del principio di autonomia privata consacrata nel nostro ordinamento che è applicabile anche alla disciplina della successione testamentaria, può provvedere nel testamento ad istituire uno o più soggetti quali eredi ovvero quali legatari.

Fondamentale è la distinzione: erede è chi subentra nell’indistinta e generica situazione patrimoniale del de cuius, nell’intero o in una sua quota ideale, assicurando una continuità giuridico – patrimoniale tra i due soggetti; legatario è, invece, chi, all’apertura della successione, subentra in un diritto che, per volontà testamentaria, non entra a far parte dei beni trasmessi all’erede, bensì passa direttamente in capo all’onorato[4].

La differenza posta alla base dell’istituzione di erede e dell’istituzione di legatario è, dunque, netta. Non solo sul piano degli effetti – basti pensare alla responsabilità illimitata dell’erede (eventualmente pro quota qualora accetti con beneficio di inventario) – ma anche sul piano genetico: l’istituzione di erede si caratterizza, a differenza del legato, per una forza espansiva che è propria dell’eredità e che comporta la comprensione nell’acquisto ereditario di elementi patrimoniali non previsti o addirittura inesistenti al tempo di confezionamento del testamento.

Institutio ex re certa

Riuscire a distinguere tra istituzione di erede e legato non è sempre agevole: in linea di principio, se la disposizione testamentaria non comprende l’universalità o una quota dei beni del testatore, si ha un legato; mentre se l’oggetto del lascito viene dallo stesso testatore considerato in funzione di una quota dell’intero asse si ha istituzione di erede, sebbene siano indicati in testamento beni determinati (Institutio ex re certa).

Quando la volontà del testatore non appare chiara, al fine di individuare disposizioni testamentarie a titolo universale e disposizioni a titolo particolare, la valutazione avviene mediante l’indagine sull’intenzione del testatore.

In tema di interpretazione del testamento, l’institutio ex re certa configura, ai sensi dell’art. 588 cod. civ., una successione a titolo universale nel patrimonio del de cuius qualora il testatore, nell’attribuire determinati beni, abbia fatto riferimento alla quota di legittima spettante all’istituito, avendo in tal modo inteso considerare i beni come una frazione rappresentativa dell’intero patrimonio ereditario[5]. La qualifica giudiziale di disposizioni testamentaria a titolo universale oppure di disposizione testamentaria a titolo particolare deve essere determinata dal Giudice all’esito di una duplice indagine, una di carattere oggettivo (circa il contenuto dell’atto) e una di carattere soggettivo (circa l’effettiva volontà del testatore), nell’ambito della quale le espressioni o le denominazioni formali adoperate dal testatore rivestono il ruolo di mero indizio; l’indagine duplice del Giudice si rende ancor più necessaria per distinguere il caso della institutio ex re certa (art. 588 comma 2, c.c.) da quello di divisione testamentaria (art. 734 c.c.), dovendo il Giudice accertare se il de cuius abbia inteso o meno attribuire una quota del suo patrimonio unitariamente considerato. A tal fine, costituisce valido indizio, fra altri, anche il criterio del rapporto quantitativo, rispetto all’asse ereditario, dei beni attribuiti dal testatore[6].

La decisione della Corte di Cassazione (Sentenza n. 26471 del 19.10.2018)

Alla luce di quanto sin qui detto, appare opportuno capire come si è espressa la Suprema Corte nel caso de quo. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’eccezione di difetto di legittimazione passiva proposta in primo grado dall’appellante (in quanto legataria del sacerdote datore di lavoro) non può essere considerata tardiva e deve essere, pertanto, esaminata nel merito. Invero, la titolarità della posizione giuridica, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione sicché spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto[7] – circostanza quest’ultima non verificatasi nel caso di specie.

La Corte si è, altresì, focalizzata sulla distinzione tra erede e legatario, richiamando l’articolo 588 del Codice Civile: l’attribuzione di beni determinati deve interpretarsi come disposizione ereditaria qualora il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nell’universalità dei beni o in una parte indeterminata di essi, considerati in funzione di quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se abbia voluto attribuirgli singoli individuati beni. L’indagine diretta ad accertare se ricorra l’una o l’altra ipotesi si risolve in un apprezzamento di fatto, riservato ai giudici del merito e quindi incensurabile in Cassazione, se congruamente motivato.

Ed i giudici del merito hanno ben valutato: alla stregua del testamento olografo del 24 febbraio 2003, con varie dettagliate considerazioni in punto di fatto, infatti la Corte di Appello di Caltanissetta aveva ritenuto che la volontà genuina ed intima del de cuius, quale risultante dal testamento, sulla base dell’esame globale della scheda testamentaria, fosse quella di attribuire soltanto un mero legato a favore dell’appellante, non emergendo alcuna istituzione di erede per quest’ultima. Peraltro, la medesima statuizione era stata adottata dal giudice di primo grado nei confronti della parrocchia di Nicosia, parimenti convenuta in giudizio dalla lavoratrice, in quanto beneficiarla di analoga disposizione testamentaria (biblioteca) e detta statuizione non era stata impugnata da parte attrice, la quale aveva così condiviso la qualifica di legataria riconosciuta alla parrocchia.

La Corte di Cassazione ha, pertanto, ritenuto inammissibile il ricorso.


[1] Anche la più recente giurisprudenza (Corte di Cassazione n. 28141 del 2005, che richiamava tra l’altro la pronuncia delle Sezioni Unite della stessa Corte in data 3 febbraio 1998 numero 1009) ha ribadito il principio, condiviso quindi dalla Corte distrettuale, secondo cui la deduzione di non essere eredi, ma soltanto legatari, non integra un’eccezione in senso proprio.

[2] Cfr. G. Capozzi, Successioni e donazioni, a cura di A. Ferrucci e C. Ferrentino, Giuffrè editore, Terza edizione: “Viene definito <<a causa di morte>> il negozio la cui funzione consiste nella determinazione dei rapporti patrimoniali in dipendenza della morte dell’autore”.

[3] Si definisce negozio unilaterale in quanto il testamento proviene da un solo centro di interessi formato da un solo soggetto – non a caso l’articolo 589 del codice civile stabilisce che non si può fare testamento da due o più persone nel medesimo atto, né a vantaggio di un terzo né con disposizione reciproca (divieto di testamento collettivo nella forma di testamento congiuntivo e di testamento reciproco).

[4] Cfr. G. Bonilini, Dei Legati, ne Il Codice Civile Commentario, Giuffrè editore 2006: “Il concetto generale di legato si deduce soltanto per criterio negativo. Legato, pertanto, è qualsivoglia attribuzione patrimoniale a causa di morte priva del carattere dell’universalità”.

[5] Cfr. Corte di Cassazione Sezione 2 civile, Sentenza 18 gennaio 2007, n. 1066.

[6] Cfr. Tribunale Roma, Sezione 9 civile, Sentenza 12 febbraio 2003, n. 4929.

[7] Cfr. Corte di Cassazione SS. UU., Sentenza 16 febbraio 2016 n. 2951.

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