Legato in sostituzione di legittima

in Giuricivile, 2018, 7 (ISSN 2532-201X)

Il legato in sostituzione di legittima costituisce uno strumento nelle mani del testatore volto a conciliarne gli interessi nonostante le rigide prescrizioni della legge a tutela dei legittimari[1].

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L’art. 551 c.c. così dispone:

“Se a un legittimario è lasciato un legato in sostituzione della legittima, egli può rinunziare al legato e chiedere la legittima.

Se preferisce di conseguire il legato, perde il diritto di chiedere un supplemento nel caso che il valore del legato sia inferiore a quello della legittima, e non acquista la qualità di erede. Questa disposizione non si applica quando il testatore ha espressamente attribuito al legittimario la facoltà di chiedere il supplemento.

Il legato in sostituzione della legittima grava sulla porzione indisponibile. Se però il valore del legato eccede quello della legittima spettante al legittimario, per l’eccedenza il legato grava sulla disponibile”.

Attraverso la figura del legato in sostituzione di legittima il testatore ha la possibilità di attribuire ai propri legittimari, mediante una vocazione a titolo particolare, beni determinati ovvero diritti di credito, anche di valore significativamente inferiore alla quota di riserva, che comunque risulta tacitata.

La peculiarità dell’istituto in esame consiste proprio nel fatto che il legittimario viene privato della quota riservata, da intendersi ai sensi dell’art. 536 c.c. quale pars hereditas[2], in quanto altrimenti soddisfatto con l’attribuzione di un bene specifico che gli impedisce di conseguire la qualità di erede.

Infatti il legato in sostituzione di legittima è anche definito legato privativo o diseredativo, poiché, come autorevolmente osservato[3], sottende la volontà di escludere il legittimario dall’eredità, anche mediante l’istituzione di altri ex asse, e di privarlo della quota riservata, che non potrà in alcun modo essere conseguita una volta accettato il legato.

Tuttavia, seppure l’onorato accettando il legato sostitutivo non consegue la quota di legittima, rimane pur sempre un legittimario del de cuius e la sua quota deve comunque essere considerata ai fini del calcolo della riserva: il peso del legato grava in primo luogo sulla porzione riservata al coniuge e ad eventuali figli e solo ove la parte indisponibile non sia sufficientemente capiente, grava sulla porzione disponibile.

Nonostante il polimorfismo causale della legittima, di cui il legato in sostituzione è espressione insieme alle altre forme di attribuzione alternativa della legittima– si pensi anche alla donazione in conto di legittima –, il principio di intangibilità della legittima prevale, come si deduce dalla circostanza che il legittimario può decidere di rinunciare al legato e agire in riduzione, reclamando in tal modo la sua quota di legittima come quota di eredità.

Occorre però precisare che secondo la dottrina prevalente il divieto di pesi e condizioni sulla quota dei legittimari di cui all’art. 549 c.c. non si applica al legato in sostituzione di legittima, poiché l’attribuzione a titolo particolare sostituisce ma non costituisce la legittima stessa, a cui l’onorato avrà diritto solo rinunciando al legato.

Ne discende necessariamente che ai sensi degli artt. 551 e 651 c.c. è ammissibile il legato di cosa altrui in sostituzione di legittima.

All’uopo, se è vero che in virtù del principio di intangibilità della legittima in senso quantitativo cui ha aderito il codice del 1942, espresso dall’art. 457 c.c., il testatore deve soddisfare le spettanze dei legittimari con beni compresi nell’asse ereditario, è pur vero che nel legato in sostituzione si ha una vera e propria sostituzione dell’attribuzione a titolo particolare a quella a titolo universale e pertanto tale limite non sussiste[4].

Natura giuridica

Il legato in sostituzione di legittima è una disposizione a titolo particolare, pertanto soggetta alle disposizioni in materia di legati, sottoposta ad una condizione risolutiva di natura potestativa, poiché il legislatore rimette il verificarsi della condizione alla volontà del legittimario, nei cui confronti l’evento non è indifferente, vantando un apprezzabile interesse al riguardo.

Questo infatti può scegliere, a seguito di proprie valutazioni di convenienza, di conseguire la quota di legittima di sua spettanza e rinunziare al legato, che si risolve con efficacia retroattiva, come se non fosse mai stato disposto.

La natura giuridica della vocazione del legatario è piuttosto discussa tra gli autori, tra chi ritiene si abbia una duplice chiamata, ex lege ed ex testamento, e chi invece parla di un’unica vocazione.

È preferibile aderire alla seconda tesi, in quanto al momento dell’apertura della successione il legatario è chiamato ex testamento in forza del legato in sostituzione; nell’ipotesi in cui rinunci al legato ed agisca in riduzione vittoriosamente, lo stesso è chiamato ex lege, poiché la vocazione e la delazione testamentaria sono venute meno, proprio per effetto dell’azione di riduzione, che ha funzione di accertamento costitutivo.

L’accettazione del legato in sostituzione di legittima

I legati ai sensi dell’art. 649 c.c., al contrario dell’eredità, si acquistano automaticamente all’apertura della successione, senza che sia necessaria l’accettazione.

Secondo parte della dottrina è comunque necessario che il legato venga espressamente accettato in modo da confermare la disposizione e rendere definitivo l’acquisto.

Di avviso diverso è invece la giurisprudenza consolidata della Suprema Corte, che fornito un’interpretazione dell’art. 649 c.c. fedele al tenore letterale, per l’acquisto del legato avviene automaticamente e tale automatismo si spiega in virtù del principio di irresponsabilità del legatario per i debiti ereditari[5].

Nel caso di specie tuttavia la dottrina, pur riconoscendo l’automaticità dell’acquisto del legato ex art. 649 c.c., ha sostenuto che il legato di cui all’art. 551 c.c. richiederebbe in via eccezionale sempre l’accettazione da parte del legittimario, proprio in virtù dell’ulteriore effetto di inibire al legittimario il diritto di agire in riduzione e di reclamare la legittima di sua spettanza.

Nel legato in sostituzione di legittima l’accettazione ha dunque l’ulteriore funzione di conferma della disposizione testamentaria, al fine di rendere irrevocabile sia l’acquisto del legato che l’esclusione del legatario dal novero degli eredi.

Secondo alcuni autori il legittimario è infatti titolare di una facultas, che si sostanzia in un diritto di scelta, che suppone un negozio di accettazione o rinuncia al legato, da cui deriva la perdita o meno del diritto alla quota di legittima.

Secondo altri autori l’art. 551 c.c. attribuisce al legatario un diritto potestativo di scelta, il cui esercizio costituisce una dichiarazione negoziale di preferenza, una sorta di “contrappasso” all’eccezionale potere “diseredativo” del de cuius, distinta da un atto di accettazione tecnicamente inteso.

Seguendo tale orientamento, essendo il legatario titolare di un diritto potestativo, anche quando il legato sostitutivo abbia ad oggetto diritti reali immobiliari l’atto di scelta non è sottoposto all’obbligo di forma scritta ad substantiam, poiché la forma solenne non può essere imposta ai singoli atti giuridici necessari per l’esercizio di un diritto di cui il legatario è titolare.

Tuttavia si ritiene preferibile rispettare l’onere della forma scritta ad substantiam quando il legato abbia ad oggetto beni immobili, soprattutto in vista della sanzione dell’inefficacia di cui all’art. 2650 c.c. quando non sia rispettato il principio della continuità delle trascrizioni.

La rinunzia al legato in sostituzione di legittima

L’onorato di un legato in sostituzione di legittima può decidere di trattenere il legato, con le conseguenze sopra indicate, ovvero può rinunziare al legato e così reclamare la sua quota di legittima.

Infatti, il legittimario che rinuncia al legato si trova nella stessa condizione di un legittimario pretermesso e cioè non acquista immediatamente la qualità di erede e non partecipa della comunione ereditaria se non dopo aver esperito vittoriosamente l’azione di riduzione.

In questa ipotesi si può dire che la rinunzia al legato in sostituzione di legittima costituisce il presupposto per poter agire in riduzione.

La stretta correlazione tra la rinunzia al legato sostitutivo e l’azione di riduzione porta a ritenere che il termine entro il quale poter rinunciare al legato non sia desumibile a contrario da quello per l’accettazione dell’eredità, quanto piuttosto dal termine per l’esercizio dell’azione di riduzione.

Nei confronti del legatario che abbia rinunciato al legato sostitutivo non si produce hic et nunc alla rinuncia la delazione, pertanto lo stesso non può accettare l’eredità; tuttavia la qualità di erede è da questo acquisita per effetto dell’esito positivo dell’azione di riduzione.

Ne consegue che affinchè l’onorato possa effettivamente conseguire la legittima ai sensi dell’art. 551 c.c. deve necessariamente agire in riduzione e dunque, salvo voler mantenere una volta rinunciato al legato la condizione di legittimario pretermesso, affinchè si concreti la scelta garantita dall’ordinamento non si può prescindere dall’esercizio dell’azione di riduzione.

La rinunzia al legato sostitutivo costituisce un negozio unilaterale dismissivo di un diritto reale o obbligatorio che sia già stato acquisito al patrimonio del legatario ipso iure all’apertura della successione.

Secondo i rilievi di cui sopra, se la rinunzia è finalizzata solo al mero impedimento del consolidamento dell’acquisto in capo al legatario, allora la forma della rinunzia non è soggetta ad alcun onere di forma, al di là dell’oggetto del legato a cui si rinuncia.

Secondo invece l’orientamento prevalente seppure anche per la rinuncia al legato in sostituzione vale il medesimo principio vigente per la rinuncia ai legati “ordinari”, non si può non ammettere che quando l’oggetto del legato sia costituito da beni immobili, la rinunzia deve rispettare la forma scritta a pena di nullità ai sensi dell’art. 2643, n. 5) c.c., dato l’effetto abdicativo della stessa.

Un ultimo rilievo critico attiene all’operatività dell’istituto della rappresentazione in caso di rinunzia al legato sostitutivo.

Ebbene, mentre secondo alcuni autori la rappresentazione opera in tale ipotesi se vi ricorrono i presupposti di legge, si preferisce aderire a quella dottrina per cui la rinunzia al legato sostitutivo non dà luogo a rappresentazione, perché tale disposizione costituisce un volontà specifica del testatore i cui effetti sono tipizzati dalla legge; infatti, se si ammettesse la rappresentazione sarebbe impossibile per il legittimario rinunziante operare quella scelta di cui all’art. 551 c.c. e agire in riduzione per reclamare la quota di legittima.

Il legato con diritto al supplemento

Trattenendo il legato in sostituzione di legittima il legatario perde, per così dire, la quota di legittima di sua spettanza, accettando l’attribuzione a titolo particolare così come formulata dal testatore, sia essa di valore maggiore o inferiore rispetto alla quota di legittima.

Tuttavia, ai sensi dell’art. 551, co. 2 c.c., il testatore può disporre a favore del legatario anche la facoltà di chiedere un supplemento quando il valore del legato sia inferiore a quello della legittima.

Tale disposizione ha dato luogo ad una pluralità di interpretazioni da parte degli autori.

Secondo un primo rilievo, quello di cui all’art. 551, co. 2 c.c. sarebbe in realtà piuttosto un legato in conto di legittima e pertanto, seppure il legatario decida di accettare il legato sostitutivo, può comunque agire in riduzione per chiedere la differenza tra il valore della quota ad esso riservata e il valore del legato con diritto al supplemento.

Secondo un’altra tesi, invece, il supplemento costituisce in realtà un mero diritto di credito vantato dal legatario verso gli eredi e che pertanto può essere fatto valere con i normali rimedi obbligatori a favore del creditore e non con l’azione di riduzione.

Infine, un’ultima tesi, prevalente, sostiene che in realtà il beneficiario di cui all’art. 551, co. 2 c.c. sia un erede testamentario, la cui quota sia già stata apporzionata dal de cuius, che l’ha composta mediante l’attribuzione del’oggetto del legato e del supplemento: si è pertanto di fronte ad un’institutio ex re certa in sostanza.

Tale conclusione poggia sul rilievo che con la facoltà di chiedere il supplemento il testatore non abbia in realtà voluto privare il legittimario della quota di legittima, ma anzi, abbia voluto proprio attribuirgli la quota di legittima, definendola solo da un punto di vista contenutistico.

Ne consegue che il legittimario per ottenere il supplemento dovrà agire in petizione di eredità.


[1] Sul punto cfr. CAPOZZI, Successioni e donazioni, a cura di FERRUCCI e FERRENTINO, I, Milano, 2015, p. 487, il quale osserva che il legato in sostituzione di legittima risponde a interessi oggettivi e soggettivi del testatore, evitando ad esempio di frazionare improduttivamente il patrimonio attribuendo a uno o più legittimari particolari beni.

[2] Tuttavia sul punto è doveroso sottolineare come all’alba del nuove codice civile del 1942 il legislatore abbia inteso assumere un atteggiamento “distanziato” dal dibattito in merito alla qualificazione della legittima come pars bonorum o pars hereditas, non riproducendo la disposizione di cui al vecchio art. 808, che sembrava prendere una precisa posizione sul punto definendo la legittima come quota di eredità.

[3] MENGONI, Successione per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, Milano, 1999, pp. 113 ss., il quale osserva che il legato in sostituzione di legittima può definirsi diseredativo in senso improprio, secondo la teoria moderna della legittima, come sinonimo di preterizione.

[4] MAGLIULO, La tacitazione della legittima con beni non ereditari, in Notariato, 2001, pp. 413 ss.

[5] Secondo tale indirizzo, la rinuncia al legato costituisce pertanto un atto dismissivo della proprietà, acquistata dal legatario all’apertura della successione e dunque, ove il lascito abbia ad oggetto beni immobili, la rinuncia deve avvenire, ai sensi dell’art. 1350, comma 1°, n. 5, c.c. in forma scritta a pena di nullità.

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