La Cassazione SS.UU. n. 16080/2021: la natura della cessione di cubatura e la distinzione con i diritti edificatori ex art. 2643 co. 1 n. 2-bis c.c.

in Giuricivile, 2021, 7 (ISSN 2532-201X), nota a Cass., SS. UU. civ., sent. 9.06.2021 n. 16080

La Cassazione a Sezioni Unite – con la recentissima sentenza del 9 giugno 2021 n. 16080 – è intervenuta nella dibattuta questione della natura giuridica da attribuire alle fattispecie aventi ad oggetto le cessioni di cubatura tra suoli aventi attitudine edificatoria.

Si tratta di una pronuncia dalle rilevanti ricadute pratiche, anzitutto dal punto di vista tributario, derivando dalla statuizione della Cassazione l’assoggettamento di questi atti ad un regime fiscale ben più favorevole rispetto a quello ritenuto applicabile dall’Amministrazione finanziaria.

La presente trattazione, pertanto, oltre a dar conto degli approdi cui addiviene il massimo giudice di legittimità – immediatamente rilevanti per l’operatore del diritto – si pone l’obiettivo di delineare i caratteri e la consistenza giuridica dell’istituto in parola, da sempre oggetto di dispute dottrinarie e giurisprudenziali.

L’ambito della questione: la cessione di cubatura tradizionale e la cessione dei diritti edificatori ex art. 2643 co. 1 n. 2-bis, rapporti e profili differenziali

In via preliminare, al fine di individuare correttamente l’oggetto della presente analisi, preme rilevare come la prassi non sempre si avveda delle ontologiche differenze esistenti tra i due istituti della c.d. cessione di volumetria tradizionale e della nuova cessione di diritti edificatori – certamente affini ma non consustanziali.

Infatti, all’interno dell’ampio genus delle operazioni di cessione di diritti edificatori intese in senso onnicomprensivo bisogna tener distinte:

  • la cessione di cubatura tradizionale così come realizzata nella prassi in mancanza di apposita disciplina normativa espressa;
  • e la cessione di diritti edificatori in senso stretto effettuata sulla base dell’art. 2643 co. 1 n. 2-bis, il quale a decorrere dalla sua entrata in vigore (in forza dall’art. 5 del D.L. del 13 maggio 2011, n. 70, convertito in L. del 12 luglio 2011, n. 106) ha introdotto nell’ordinamento vigente un apposito strumento (tipico, secondo alcuni, come si dirà nel prosieguo) per realizzare le cessioni dei diritti in parola.

Le due figure – nonostante la riportata tendenza, talvolta riscontrabile nella prassi, ad accomunarle in una medesima e generica fattispecie –  restano due strumenti giuridici non intercambiabili, recanti ciascuna caratteristiche proprie e come tali devono essere separatamente analizzate, precisandosi che la sentenza in commento si riferisce solo alla cessione di cubatura tradizionale[1].

Segue. La cessione di cubatura tradizionale

La cessione di cubatura tradizionale costituisce lo strumento negoziale in forza del quale –  nel corso del tempo ed in mancanza di un compiuto quadro normativo di riferimento – si è espressa l’autonomia privata per realizzare il trasferimento delle potenzialità edificatorie da un suolo all’altro, in modo da sfruttare su quest’ultimo una volumetria originariamente afferente all’altro, sul quale viene – conseguentemente – a crearsi un vincolo di inedificabilità[2].

La fattispecie ha avuto diffusione tale da acquisire una sufficiente standardizzazione negoziale che, seppur articolata in diversi passaggi teleologicamente concatenati, può essere così schematizzata:

  • i proprietari di due fondi rientranti in area urbanisticamente omogenea (anche se non necessariamente contigui ma prossimi, com’è ormai largamente condiviso[3], e comunque nel rispetto della normativa urbanistica vigente) stipulano un negozio avente quale oggetto la cessione di una determinata cubatura;
  • il cedente assume l’obbligo di non richiedere al Comune il rilascio di titoli abilitativi edilizi per l’utilizzo della volumetria oggetto di cessione; si tratta del cd. atto di asservimento o atto d’obbligo, costituente un vincolo di inedificabilità sul fondo, del quale si riconosce la trascrivibilità ai sensi dell’ 2645-quater c.c.[4] (secondo cui «si devono trascrivere, se hanno per oggetto beni immobili, gli atti di diritto privato, i contratti e gli altri atti di diritto privato, anche unilaterali, nonché le convenzioni e i contratti con i quali vengono costituiti a favore dello Stato, della regione, degli altri enti pubblici territoriali ovvero di enti svolgenti un servizio di interesse pubblico, vincoli di uso pubblico o comunque ogni altro vincolo a qualsiasi fine richiesto dalle normative statali e regionali, dagli strumenti urbanistici comunali nonché dai conseguenti strumenti di pianificazione territoriale e dalle convenzioni urbanistiche a essi relative»); a tale regime di pubblicità si tende a riconoscere una efficacia di c.d. pubblicità notizia, consentendo ai terzi di venire a conoscenza dell’esistenza del vincolo (ciò in forza del diffuso assunto secondo cui tale è l’effetto delle trascrizioni di vincoli a rilevanza pubblicistica in mancanza di diversa previsione normativa[5]);
  • l’impegno del cedente a prestare – ove richiesto dal Comune – il consenso al rilascio del permesso di costruire maggiorato (cioè comprensivo della volumetria trasferita) in favore del cessionario, solitamente da manifestarsi con l’adesione del primo all’istanza presentata dal secondo;
  • l’apposizione di una condizione sospensiva o risolutiva, a seconda dei casi, all’efficacia della stipulazione avente ad oggetto rispettivamente l’avvenuto o mancato rilascio del c.d. titolo abilitativo maggiorato da parte del Comune in favore del cessionario.

Quanto enunciato palesa, dunque, l’esistenza di una fattispecie complessa nella quale confluiscono una componente privatistica – rappresentata dalla pattuizione intercorsa tra le parti, cui accede, inoltre, l’atto di asservimento del fondo comportante un vincolo di inedificabilità sullo stesso – ed un elemento pubblicistico costituito dal provvedimento della P.A. competente.

Ed è proprio in tale intrinseca dualità che giace la scaturigine dei due opposti orientamenti dottrinari e giurisprudenziali, consolidatisi nel tempo, sulla esatta natura giuridica da attribuirsi alla fattispecie de qua:

  1. l’uno propugnante la dirimente pregnanza dell’accordo negoziale traslativo quale strumento propriamente realizzativo della cessione di volumetria; in questo caso, il rilascio del permesso di costruire maggiorato costituirebbe semplice elemento integrativo dell’efficacia (qualificabile in termini di condicio iuris o condicio facti, a seconda delle ricostruzioni[6]) di un negozio traslativo già perfetto (cd. ‘tesi privatistica’);
  2. l’altro sostenente la centralità del provvedimento amministrativo quale elemento realmente fondativo dell’attribuzione della cubatura ulteriore; in guisa che proprio detto provvedimento assurgerebbe a vero titolo giuridico in forza del quale la cessione si realizza (cd. ‘tesi pubblicistica’)

Ed è proprio nella risoluzione di tale dicotomia che si sostanzia l’ubi consistam della questione pervenuta all’esame delle Sezioni Unite.

Segue. La nuova cessione di diritti edificatori. La perequazione urbanistica quale fonte dei diritti edificatori

Caratteri diversi presenta la cessione di diritti edificatori stricto sensu intesa.
Con l’introduzione dell’art. 2643 co. 1 n. 2-bis c.c. il legislatore ha espressamente previsto la trascrivibilità dei contratti che «trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale». Non vi è dubbio alcuno sulla efficacia dichiarativa di tale regime pubblicitario, stante il chiaro disposto dell’art. 2644 c.c..

Si fa riferimento solitamente alle potenzialità edificatorie, quale bene autonomamente trasferibile, riconosciute ai titolari dei fondi nell’ambito di una pianificazione urbanistica di tipo perequativo.

La perequazione urbanistica si è diffusa come nuova tecnica pianificatoria finalizzata a contenere le disparità di trattamento a carico dei privati coinvolti da interventi di cd. localizzazione[7] di opere pubbliche tali da avvantaggiare taluni di essi con il riconoscimento della piena edificabilità del proprio fondo e, allo stesso tempo, pregiudicare altri proprietari fondiari che – per effetto di disposizioni vincolistiche che destinano l’area alla realizzazione di servizi e opere di pubblica utilità – si vedono negata l’edificabilità del suolo.

Allo scopo di porre rimedio a siffatti pregiudizi e, quindi, meglio distribuire i vantaggi e gli svantaggi derivanti dalla pianificazione territoriale, la perequazione urbanistica consente di riconoscere un certo indice di edificabilità a tutti i fondi rientranti in una determinata area, ciò indistintamente e a prescindere dal luogo individuato per la realizzazione dei previsti interventi di pubblica utilità.

I diritti edificatori riconosciuti, tuttavia, risulteranno non concretamente esercitabili in quanto determinati in misura inferiore rispetto al limite minimo di edificabilità previsto dalla normativa urbanistica; essi potranno così divenire oggetto di cessione tra i privati in modo tale da consentire a ciascuno di essi di scegliere tra cedere detti diritti, così da monetizzare il pregiudizio subìto, oppure optare per il loro acquisto in modo da raggiungere la soglia minima che consente l’effettivo esercizio dello ius aedificandi.

Invero, il riconoscimento di diritti edificatori da parte del Comune in favore del privato può talvolta derivare anche da interventi di tipo compensativo, in forza dei quali l’espropriazione di un fondo viene ristorata mediante l’attribuzione di diritti edificatori (da esercitare, ovviamente, su altri fondi) in luogo di un indennizzo pecuniario.

In maniera non dissimile, al riconoscimento di diritti edificatori ulteriori quale misura di tipo incentivante, può addivenirsi anche nell’ambito di interventi di cd. premialità edilizia in forza dei quali al privato che agevola le realizzazione di specifici pubblici interessi (ad esempio, con interventi di riqualificazione urbana) viene attribuito un bonus di diritti edificatori in aggiunta a quelli già ordinariamente riconosciuti dalla disciplina urbanistica[8].

Si tratta, in tutte queste ipotesi, di diritti edificatori negoziabili e trasferibili, che dunque possono circolare in via autonoma e disgiuntamente dalla proprietà del fondo.

Segue. Elementi differenziali tra i due strumenti

Emergono allora, in tutta la loro evidenza, delle rilevanti differenze tra le due fattispecie fin qui analizzate che possono essere così sintetizzate:

a) individuazione dei fondi:

  • la cessione di cubatura tradizionale presuppone l’individuazione del fondo al quale la volumetria viene sottratta (c.d. ‘fondo di decollo’) e del fondo in favore del quale essa viene attribuita (c.d. ‘fondo di atterraggio’), risultandone l’inedificabilità (o minore edificabilità) del primo e la edificabilità maggiorata per il secondo;
  • la cessione di diritti edificatori ex 2643 co. 1 n. 2-bis, invece, prescinde dalla individuazione, e finanche dall’attuale titolarità da parte del cessionario, del fondo di destinazione dei diritti in oggetto[9];

b) effetti sul volume edificatorio complessivo esercitabile nell’intera area urbanistica:

  • la cessione di cubatura non incide sulla pianificazione territoriale generale poiché si realizza nell’invarianza della cubatura complessiva esercitabile, verificandosi un mero spostamento da un fondo all’altro della volumetria originariamente prevista, restandone inalterato il quantum[10];
  • diversamente, ben potrebbe una cessione ex 2643 co. 1 n. 2-bis c.c. comportare un incremento della volumetria complessivamente prevista dagli strumenti urbanistici, laddove i diritti edificatori oggetto di cessione conseguano a misure – assunte in sede di pianificazione territoriale – di tipo compensativo o premiali, come innanzi descritte[11];

c) caratteri e modalità dell’intervento della pubblica amministrazione:

  • nella cessione di cubatura tradizionale l’azione amministrativa attributiva della legittimità della fattispecie si sostanzia in un intervento di tipo provvedimentale consistente nel rilascio da parte del Comune del permesso di costruire maggiorato a favore del cessionario della volumetria; si tratta quindi di un intervento concreto e specifico, successivo al negozio di cessione intercorso tra le parti;
  • nella cessione di diritti edificatori ex 2643 co. 1 n. 2-bis c.c. l’intervento amministrativo è di tipo generale e preventivo, dovendo sussistere una previsione da parte degli strumenti di pianificazione urbanistica (o, comunque, della legge statale o regionale);

Le riportate differenze spiegano effetti anche sulla tecnica redazionale del negozio che realizza la volontà dei contraenti:

  • mentre la cessione di cubatura tradizionale deve necessariamente contemplare i passaggi anzidetti (consenso alla cessione, atto di asservimento del cedente verso il Comune, subordinazione dell’efficacia del negozio al rilascio del permesso di costruire maggiorato in favore del cessionario);
  • nella cessione dei diritti edificatori in senso stretto, effettuata ex art. 2643 co. 1 n. 2-bis, la prassi sembra considerare non necessari i suddetti passaggi, dovendosi ritenere sufficiente l’accordo traslativo tra cedente e cessionario, essendo la fattispecie già legittimata a monte, in via generale ed astratta, dalla disciplina urbanistica vigente.

Una distinzione che va mantenuta. La perdurante, seppur residuale, utilità della cessione di cubatura

Le precedenti considerazioni conducono ad affermare quanto segue.

Con l’introduzione dell’art. 2643 co. 1 n. 2-bis il legislatore sembra aver inteso prevedere uno strumento giuridico, tipico e di applicazione generalizzata, in virtù del quale consentire la libera negoziabilità dei diritti edificatori allorché sussista una normativa di legge o uno strumento di pianificazione territoriale che lo consenta.

Ciò, beninteso, non destituisce di utilità pratica la figura della cessione di cubatura tradizionale in quanto ad essa – strutturata nelle modalità sopra indicate – si potrà pur sempre far ricorso (quale strumento di tipo residuale e di applicazione generale) laddove manchi una disciplina di legge o uno strumento di pianificazione urbanistica che espressamente regoli e legittimi la cessione di diritti edificatori[12].

La sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 16080 del 2021

La perdurante autonomia della figura della cessione di cubatura tradizionale rispetto alla fattispecie di cui all’art. 2643 co. 1 n. 2-bis viene ribadita, seppur incidenter tantum, anche nella sentenza in commento.

E ciò nel momento in cui il giudice di legittimità, nel prendere le mosse del proprio percorso argomentativo, si trova a dover preliminarmente rilevare che la questione sottoposta all’esame delle SS.UU. non può ritenersi già risolta da altra recente pronuncia resa a Sezioni Unite (n. 23902 del 2020) ed avente ad oggetto proprio la differente ma contigua questione della natura giuridica dei diritti edificatori[13].

La Suprema Corte, dunque, addiviene a confermare la non praticabilità di una reductio ad unum dei due strumenti ritenendo necessaria un’autonoma pronuncia sulla natura giuridica della cessione di cubatura, pur avendo – come detto – recentemente già risolto la questione della natura giuridica dei diritti edificatori.

Le due questioni, dunque, non possono affatto ritenersi sovrapposte e meritano ognuna un apposito esame.

Segue. Il fatto

La vicenda si caratterizza per l’originaria attribuzione da parte del Comune in favore del ricorrente di una volumetria residenziale in via compensativa[14] della cessione di alcuni lotti di terreno per destinarli ad opere di pubblica utilità (parcheggi, verde pubblico, etc.).

L’odierno ricorrente aveva poi ceduto a terzi detta volumetria nell’anno 2009 e quindi prima dell’entrata in vigore dell’art. 2643 co. 1 n. 2-bis; l’atto veniva assoggettato dalle parti alla sola imposta proporzionale di registro con aliquota del 3%.

L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, con proprio avviso di liquidazione sosteneva l’applicazione dell’imposta proporzionale di registro all’8%, dell’imposta ipotecaria del 2% e l’imposta catastale dell’1%.

La Commissione Tributaria provinciale accoglieva le istanze del ricorrente sul presupposto che si trattasse di prestazione a contenuto patrimoniale ex art. 9 Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986, non ravvisando caratteri di realità nei diritti in oggetto.

Al contrario, la Commissione Tributaria Regionale accedeva alla prospettazione dell’Amministrazione finanziaria qualificando il negozio quale atto traslativo a titolo oneroso della proprietà e di diritti reali immobiliari di godimento ex art. 1, primo periodo, della Tariffa citata.

Le parti impugnavano per Cassazione affermando la natura meramente obbligatoria del contratto di cessione di cubatura. L’Agenzia delle Entrate resisteva con controricorso asserendo la riconducibilità della fattispecie al trasferimento di un diritto reale di natura immobiliare.

Segue. L’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite: i due pregressi orientamenti giurisprudenziali

La Sezione Sesta della Cassazione – riconoscendo l’esistenza di un quadro giurisprudenziale contrastante – ravvisava l’esigenza di un intervento chiarificatore in una materia dalle rilevanti ricadute pratiche in termini di corretta tassazione delle fattispecie e, dunque, con propria ordinanza[15] rimetteva la questione all’esame del Primo Presidente ai fini dell’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Detta ordinanza ripercorreva i due contrapposti filoni giurisprudenziali sedimentatisi nella materia in oggetto, i quali possono sintetizzarsi come di seguito riportato.

Un primo indirizzo – tradizionalmente sostenuto dalla Sezione Tributaria – attribuiva alla cessione di cubatura la natura di negozio traslativo di un diritto reale, di volta in volta variamente qualificandolo in termini di diritto di servitù atipica, di diritto di superficie atipico o anche come rinuncia abdicativa da parte del cedente.

Un secondo indirizzo – tendenzialmente riconducibile alla giurisprudenza della Sezione Seconda – riconosceva natura obbligatoria all’atto di cessione, assumendo il cedente un’obbligazione di fare quanto occorrente per consentire il rilascio in favore del cessionario del titolo abilitativo edilizio maggiorato. Secondo questa impostazione l’accordo avrebbe rilevanza meramente interna tra le parti e l’effetto traslativo sarebbe determinato dal provvedimento amministrativo in favore del cessionario richiedente.

Segue. La decisione: il percorso argomentativo delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite compiono un’ approfondita analisi dei due menzionati orientamenti al fine di verificarne la fondatezza e la tenuta logico-giuridica.

Le tesi della c.d. realità

Dapprima il massimo giudice di legittimità si sofferma sull’orientamento che – in forza della diffusa considerazione dello ius aedificandi in termini di qualità intrinseca del fondo e di utilità ad esso strettamente inerente – attribuisce alla cessione di cubatura una consistenza di negozio costitutivo o traslativo di un diritto di tipo reale. Si tratta di un orientamento variamente sostenuto in dottrina, nonché suffragato da numerosi precedenti giurisprudenziali e dalla stessa prassi notarile[16].

Tuttavia, all’interno di questa opzione interpretativa non si riscontra un’unanimità di vedute circa l’esatta qualificazione giuridica da attribuire al diritto in parola. Le Sezioni Unite, infatti, passando in rassegna le diverse opinioni sul punto, rilevano in ciascuna profili di criticità più o meno evidenti.

Non conferente, in primo luogo, viene ritenuta la pretesa assimilazione al diritto di superficie (artt. 952 e ss.), mancando l’essenziale presupposto della configurazione di un diritto di edificare su suolo altrui, esercitando – al contrario – il cessionario della cubatura detto diritto su un fondo di sua proprietà.

Profili di maggiore affinità alla fattispecie in esame presenta, invece, il richiamo allo schema della servitù prediale[17], nelle forme – in particolare – della servitù non aedificandi (nei casi di cessione dell’intera cubatura afferente al fondo ‘di decollo’) e della servitù altius non tollendi (nei casi di cessione parziale). Ciò in quanto l’utilità attribuita al fondo del cessionario è strettamente correlata alla corrispondente limitazione della facoltà edificatoria del fondo del cedente, secondo un meccanismo non dissimile da quello operante nell’ambito delle servitù prediali.

La riconducibilità alla figura in esame – largamente sostenuta anche nella prassi[18] – risulta vieppiù avvalorabile laddove si consideri che nelle servitù volontarie le parti, nell’esercizio dell’autonomia privata, possono variamente determinare il contenuto pratico dei pesi e dei vantaggi a carico ed in favore dei rispettivi fondi. Ne deriverebbe la possibilità di includere tra essi anche l’effetto proprio della cessione di una determinata volumetria.

A dispetto di quanto detto, tuttavia, secondo la Cassazione la riconduzione della cessione di cubatura nell’alveo delle servitù prediali risulta concretamente preclusa allorché si consideri l’esistenza di un elemento estraneo rispetto al consenso negoziale reso dalle parti, costituito dal necessario rilascio di un titolo edilizio da parte della P.A., quale presupposto di operatività della pattuizione.

Trattandosi di elemento tutt’altro che secondario ed accessorio – in quanto la sua mancanza precluderebbe al cessionario l’effettivo esercizio del diritto acquistato – ne deriva, ad avviso della Suprema Corte, una non ammissibile frustrazione dei caratteri di immediatezza e di assolutezza che, invece, devono necessariamente contraddistinguere i diritti reali e che, dunque, impedisce di qualificare la cessione di cubatura in termini di servitù prediale.

La Suprema Corte giunge a chiedersi se la tesi della realità possa essere in un certo senso recuperata attraverso la configurazione della fattispecie – piuttosto che in termini di fenomeno costitutivo o traslativo di un diritto reale immobiliare – quale mera rinuncia abdicativa dei diritti edificatori.

Eppure è agevole rilevare, prosegue la Corte, come nelle operazioni di cessione della cubatura non sussiste una volontà semplicemente dismissiva dei diritti edificatori, considerata anche la rilevanza economica dell’operazione in parola. Ipotizzare, infatti, che a seguito della rinuncia da parte del titolare del fondo ciascun proprietario di un terreno ricadente nella medesima zona urbanistica possa, per ciò solo, richiedere un permesso di costruire maggiorato risulta un’eventualità priva di riscontro pratico.

La tesi della cd. obbligatorietà

Le Sezioni Unite prendono in considerazione anche l’opposto orientamento interpretativo che si caratterizza per la negazione della natura reale della fattispecie, attribuendo alla cessione di cubatura una connotazione strettamente obbligatoria[19].

Si tratterebbe di un accordo in forza del quale il proprietario cedente si impegnerebbe esclusivamente a prestare il proprio consenso affinché la cubatura spettante al proprio fondo, o anche solo parte di essa, sia attribuita dall’autorità comunale in favore del fondo del cessionario mediante il rilascio di permesso di costruire comprensivo di tale surplus edificatorio.

La tesi in parola si contraddistingue per essere essenzialmente incentrata sul provvedimento amministrativo di assenso alla costruzione maggiorata; si determinerebbe, quindi, l’esistenza di una fattispecie a formazione progressiva[20] nella quale – pur confluendovi il negozio concluso tra le parti – il titolo giuridico in forza del quale la cessione si realizza sarebbe pur sempre rappresentato dal rilascio del permesso maggiorato da parte del Comune. Da ciò deriverebbe che oggetto del contratto sarebbe la chance edificatoria derivante da «un interesse legittimo pretensivo, situazione giuridica soggettiva correlata a beni della vita, patrimonialmente valutabili, onde la possibilità di una sua circolazione mediante un contratto ad effetti reali»[21].

Le Sezioni Unite, pur mostrando una certa propensione verso l’accoglimento della tesi c.d. obbligatoria, non si spingono al punto di condividere anche gli ulteriori approdi ai quali, invece, giunge spesso –  tra gli altri – la giurisprudenza amministrativa, secondo cui – in forza della natura pubblicistica della fattispecie – un atto negoziale tra le parti non sarebbe neppure necessario, risultando sufficiente l’adesione del cedente che può essere manifestata anche semplicemente sottoscrivendo l’istanza presentata dal cessionario[22], quale mero elemento interno del procedimento amministrativo di rilascio del titolo abilitativo[23].

La Cassazione mostra di non condividere gli esiti da ultimo accennati, in quanto condurrebbero ad un eccessivo spostamento del baricentro della figura in esame verso una connotazione strettamente pubblicistica, dovendosi pur sempre mantenere al centro dell’indagine la rilevanza dell’atto di disposizione patrimoniale corrente tra le parti ed avente ad oggetto un diritto di rilevante valore economico.

Diversamente opinandosi – argomenta la Corte – si finirebbe per negare l’assunto, oggi consolidato nel diritto vivente[24], secondo cui lo ius aedificandi costituisce pur sempre naturale estrinsecazione del diritto di proprietà fondiaria e non un’attribuzione concessoria da parte dell’ente pubblico.

Segue. La rilevanza interpretativa dell’art. 2643 co. 1 n. 2-bis

Le Sezioni Unite non trascurano di considerare la rilevanza del nuovo art. 2643 co. 1 n. 2-bis: se infatti – come innanzi approfondito – la cessione di cubatura tradizionale non può identificarsi in pieno con la nuova cessione di diritti edificatori – la disposizione in parola può cionondimeno rivelarsi foriera di utili contributi ermeneutici – che qui di seguito si riportano – circa la corretta qualificazione giuridica della cessione di volumetria quale species delle operazioni di cessione di diritti edificatori complessivamente intese.

  • Il significato della trascrizione

Ad avviso della Corte l’introduzione del n. 2-bis testimonia la non riconducibilità della cessione di cubatura ad una configurazione connotata di realità: laddove, infatti, la fattispecie avesse comportato la costituzione o un trasferimento di un diritto reale essa avrebbe potuto essere trascritta nelle modalità già previste dall’art. 2643 (ad esempio, ai sensi del co. 1 n. 4, ove si accedesse alla tesi della natura di servitù prediale) e non sarebbe stato necessario un intervento del legislatore per introdurre una nuova ipotesi di trascrivibilità avente ad oggetto i diritti edificatori.

A ciò si aggiunga che l’inclusione di tali negozi nel novero degli atti trascrivibili ex art. 2643 non implica la loro necessaria realità, già contemplando detta disposizione la trascrivibilità di fattispecie aventi pacifico carattere obbligatorio, quale ad esempio la locazione ultranovennale (art. 2643 co.1 n. 8), ben potendo le cessioni di cubatura essere soggette ad un regime di pubblicità nei registri immobiliari pur mantenendo un carattere meramente obbligatorio.

  • La mancanza di tipicità

Non meno rilevante, secondo la Corte, è il tenore letterale del n. 2-bis in parola nei limiti in cui riconosce la trascrivibilità di tutti i diritti edificatori, comunque denominati, previsti non solo a livello di legislazione statale ma – altresì – dalle singole leggi regionali e dagli strumenti di pianificazione urbanistica, con l’effetto di palesare in tutta la sua problematicità una difficile, se non impossibile, compatibilità col principio di tipicità dei diritti reali, in forza del quale in tanto possono esistere diritti reali limitativi dell’altrui proprietà in quanto essi siano riconosciuti come tipici dall’ordinamento per poter essere resi opponibili erga omnes a mezzo della trascrizione.

Il carattere indeterminato e non tassativo delle ipotesi di cui al n. 2- bis colliderebbe, dunque, irrimediabilmente con la prospettazione della loro realità.

  • La rivalutazione dell’elemento privatistico

Il disconoscimento della realità della fattispecie non impedisce alle Sezioni Unite di riportare nel giusto rilievo il contratto di cessione stipulato tra le parti.

Pur non trascurandosi la perdurante rilevanza del provvedimento amministrativo di assenso alla costruzione maggiorata quale elemento legittimante l’esercizio effettivo del diritto ceduto, ad avviso della Corte l’espresso tenore letterale dell’art. 2643 co. 1 n. 2-bis – nel momento in cui si esprime riferendosi ai «contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori» – sembra non lasciare spazio a dubbi quanto alla riconducibilità dell’effetto traslativo della volumetria al contratto stesso di cessione in esplicazione del generale principio consensualistico di cui all’art. 1376 c.c.

In altri termini, è pur sempre il contratto di cessione e non il permesso di costruire a costituire il titolo giuridico in forza del quale la cessione si realizza.

Conseguentemente il ruolo rivestito dal provvedimento amministrativo di assenso al progetto edificatorio viene dalla S.C. ricondotto nella sua esatta dimensione di elemento che concorre, non già all’astratto trasferimento del diritto, ma alla sua concreta usufruibilità da parte del soggetto che ne è divenuto cessionario.

Il principio di diritto

All’esito della compiuta disamina, ritenendo destituite di fondamento le tesi che sottendono la natura reale della cessione di cubatura ed accogliendo la prospettazione dei ricorrenti, le Sezioni Unite giungono ad enunciare il seguente principio di diritto:

«La cessione di cubatura, con la quale il proprietario di un fondo distacca in tutto o in parte la facoltà inerente al suo diritto domenicale di costruire nei limiti della cubatura assentita dal piano regolatore e, formandone un diritto a sé stante, lo trasferisce a titolo oneroso al proprietario di altro fondo urbanisticamente omogeneo, è atto:

– immediatamente traslativo di un diritto edificatorio di natura non reale a contenuto patrimoniale;

– non richiedente la forma scritta ad substantiam ex art. 1350 c.c.;

– trascrivibile ex art. 2643, n. 2 bis c.c.;

– assoggettabile ad imposta proporzionale di registro come atto ‘diverso’ avente ad oggetto prestazione a contenuto patrimoniale ex art. 9 Tariffa Parte Prima allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 nonché, in caso di trascrizione e voltura, ad imposta ipotecaria e catastale in misura fissa ex artt. 4 Tariffa allegata al d.lgs. n. 347 del 1990 e 10, comma 2, del medesimo d.lgs.».

 Conclusioni

L’approdo giurisprudenziale in commento consente di enucleare le seguenti considerazioni conclusive.

  • Benché la cessione di cubatura tradizionale – così come elaborata nella prassi negoziale consolidatasi prima dell’introduzione dell’art. 2643 co. 1 n. 2-bis – risulti legata alla figura generale della cessione dei diritti edificatori da un rapporto di continenza della seconda nei confronti della prima, non si verifica una piena identificazione dell’una con l’altra per tutte le ragioni sopra enunciate; da ciò deriva, che anche a seguito dell’introduzione della previsione di cui all’anzidetto n. 2-bis, l’istituto della cessione di cubatura non è da ritenersi totalmente superato, potendo le parti farvi ricorso in particolare nei casi di mancanza di una disciplina di legge o strumenti di pianificazione territoriale che legittimino il ricorso allo strumento della cessione dei diritti edificatori stricto sensu intesa di cui al n. 2-bis anzidetto.
  • La pronuncia delle Sezioni Unite, pur respingendo le prospettazioni dogmatiche fondate sulla realità della natura giuridica della cessione di cubatura ed accogliendone una caratterizzazione in senso tendenzialmente obbligatorio – con tutti i corollari, anche dal punto di vista tributario, che da ciò derivano – mostra di non appiattirsi passivamente sulle posizioni (tradizionalmente sostenute anche dalla giurisprudenza amministrativa) che asseriscono la subalternità del negozio di cessione tra le parti rispetto al provvedimento amministrativo che abilita lo sfruttamento del surplus edificatorio oggetto di cessione. Secondo la Cassazione, invece, il titolo giuridico in forza del quale tale trasferimento si realizza resta pur sempre il contratto di cessione, mentre il rilascio del permesso di costruire maggiorato in favore del cessionario costituisce un elemento meramente integrativo dell’efficacia del negozio.

[1] In questo senso si è esprime la stessa sentenza in commento al § 5.2.

[2] In tal senso Cass. pen., sez. III, sent. 20 maggio 2009, n. 21177, secondo cui «l’istituto del c.d. “asservimento di terreno per scopi edificatori” (o cessione di cubatura) consiste in un accordo tra proprietari di aree contigue, aventi la stessa destinazione urbanistica, in forza del quale il proprietario di un’area “cede” una quota di cubatura edificabile sul suo fondo per permettere all’altro di disporre della minima estensione di terreno richiesta per l’edificazione, ovvero di realizzare una volumetria maggiore di quella consentita dalla superficie del fondo di sua proprietà. Gli effetti che ne derivano hanno carattere definitivo ed irrevocabile, integrano una qualità oggettiva dei terreni e producono una minorazione permanente della loro utilizzazione da parte di chiunque ne sia il proprietario».

[3] Si veda E. MICHETTI, Il significato di “adiacenza” dei fondi ai fini dell’asservimento, in Gazzetta Amministrativa, n. 1/2011, p. 62 e ss..

[4] Prima dell’entrata in vigore dell’art. 2645-quater c.c. (introdotto dall’art. 6 del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, convertito in L. 26 aprile 2012, n. 44) nella prassi si tendeva a ricorrere alla trascrizione ex art. 2643 n. 4 c.c., assimilando la fattispecie alla costituzione di una servitù di non edificare.

[5] In tal senso F. GAZZONI, La trascrizione degli atti e delle sentenze, in Trattato della trascrizione, diretto da E. GABRIELLI e F. GAZZONI, II, Torino, 2012, p. 230; G. RIZZI, La trascrizione degli atti costitutivi di vincolo (art. 2645quater c.c.), notaitriveneto.it.. Contra G. PETRELLI, Trascrizione immobiliare e Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in Rivista di Diritto Civile, 2014, II, pp. 338-339.

[6] Sul punto si veda Consiglio Nazionale del Notariato, Il trasferimento di cubatura, Studio n. 1763, a cura di M. Leo, approvato dalla Commissione Studi Civilistici in data 29 settembre 1999.

[7] Si veda G. CLEMENTE DI SAN LUCA, Approfondimenti di Diritto Amministrativo, Editoriale scientifica, Napoli, 2012, II, p. 394 e ss..

[8] Si veda R. GAROFOLI, Compendio di Diritto Amministrativo, Nel Diritto Editore, Bari, 2020, IX edizione, p. 449 e ss..

[9] Resta fermo, comunque, che i diritti edificatori ceduti dovranno pur sempre essere esercitati su un’area rientrante nella medesima zona urbanistica.

[10] In tal senso si è esprime anche la sentenza in commento al § 5.2.

[11] Preme qui rilevare che, secondo le SS. UU., la circostanza che nel caso in esame la volumetria in oggetto fosse originariamente pervenuta al cedente a titolo ‘compensativo’ risulta irrilevante ai fini della risoluzione della questione, in quanto detta cubatura era stata attribuita dal Comune – già precedentemente e in via definitiva – ad uno specifico fondo in titolarità del cedente, divenendo qualità intrinseca dello stesso; ne deriva che l’origine compensativa dei diritti in oggetto «costituisce un mero antefatto o, se si vuole, un semplice presupposto della cessione di cubatura, rimanendo in quanto tale esterna a quest’ultima».

[12] In tal senso L. GENGHINI – S. PERTOLDI, I singoli contratti, in “Manuali Notarili”, Wolters Kluwer CEDAM, I, Padova, 2020, pp. 135 e 136.

[13] È la stessa citata Cass. SS.UU., sent. 29 ottobre 2020, n. 23902 a tener distinte le due categorie, così esprimendosi: «esterna al perimetro dei diritti edificatori propriamente detti deve invece ritenersi la fattispecie, di più risalente vaglio dottrinale e giurisprudenziale, della cessione di cubatura. In tal caso il trasferimento (totale o parziale) della capacità edificatoria del fondo avviene – tra privati – a favore di un’area fin dall’inizio ben determinata, se non necessariamente contigua quantomeno prossima, e di destinazione urbanistica omogenea. Non vi è incidenza sulla pianificazione generale, attesa l’invarianza della cubatura complessiva, l’omogeneità delle aree coinvolte e l’estraneità alla cessione in sé della PA (per questo la si ritrova talvolta definita come intervento di “micropianificazione urbanistica ad iniziativa privata”), alla quale sarà tuttavia demandato di assentire il rilascio, a favore del cessionario, del permesso di costruire maggiorato della quota di cubatura trasferita. Dibattuta è la natura giuridica dell’istituto – rilevante per varie imposte, dirette ed indirette – tra realità ed obbligatorietà; ma si tratta di questione sulla quale queste SS.UU. dovranno prossimamente tornare ex professo a seguito dell’ordinanza di rimessione recentemente emessa dalla Sezione Tributaria (n. 19152 del 15 settembre 2020), alla cui ampia ricostruzione interamente qui si rinvia». La pronuncia a Sezioni Unite (all’epoca solo futura) appena menzionata è proprio la sentenza, poi effettivamente emanata, che in questa sede si commenta.

[14] Sul punto si rinvia alla nota 11.

[15] Cass., sez. VI, ord. 15 settembre 2020, n. 19152.

[16] Si veda T. CAMPANILE – F. CRIVELLARI – L. GENGHINI, I diritti reali, in Manuali Notarili, CEDAM, I, Padova, 2011, p. 275 e ss..

[17] In tal senso Cass., sez. II, sent. 21 agosto 2012 n. 14580.

[18] Si veda C. CARBONE, Formulario Notarile Commentato, Atti Mortis Causa – Atti tra vivi, in Manuali Notarili – Serie Operativa, a cura di L. GENGHINI, Padova, I, 2016 p. 1744 e ss..

[19] In tal senso A. BUSANI, Gli atti traslativi della cubatura (o volumetria), in Corriere Tributario, n. 4/2017, p. 1095 e ss..

[20] Si veda F. GAZZONI, La trascrizione immobiliare. Artt. 2643-2645 bis, I, in Il codice civile. Commentario, diretto da P. SCHLESINGER, Milano, 1988, p. 660.

[21] Così F. GAZZONI, Cessione di cubatura, “volo” e trascrizione, in Giust. civ., 2012, II, p. 101.

[22] Sulle problematiche che potrebbero derivare da una simile prospettazione, ad esempio in termini di rischi di falsificazione dell’adesione del cedente, si veda L. GENGHINI, I diritti reali, cit., p. 288.

[23] Si veda, ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. V, sent. 28 giugno 2000, n. 3637.

[24] Si veda Corte Cost., sent. 25 gennaio 1980, n. 5 in forza della quale fu sconfessato l’orientamento che attribuiva natura concessoria al titolo abilitativo edilizio, all’epoca denominato ‘concessione edilizia’ dalla legge n. 10/1977; secondo il censurato orientamento, infatti, lo ius aedificandi avrebbe dovuto considerarsi come non incluso nel diritto di proprietà ma, al contrario, attribuito dalla P.A. solo a seguito del rilascio del provvedimento favorevole.

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