Lo ius sepulchri è un istituto di derivazione romanistica che costituisce ancora oggi una componente significativa del nostro ordinamento giuridico. La sua disciplina è direttamente trattata dall’Art. 824 del Codice Civile italiano, che regola i diritti relativi alla sepoltura ed il mantenimento del luogo stesso.
Inquadramento dello ius sepulchri
In materia di ius romanorum, la tutela accordata ai sepolcri rappresentava un aspetto fondamentale della disciplina giuridica, richiedendo una comprensione approfondita dei requisiti e dei limiti spaziali che determinavano la qualificazione religiosa di tali luoghi e il conseguente regime giuridico ad essi associato.
Il titolo VII del libro XI del Digesto offre una prospettiva esaustiva sulle questioni giuridiche legate ai riti funebri e alla sepoltura, delineando le norme e le procedure da adottare. Una delle considerazioni soggettive evidenziate dalle fonti riguarda il carattere religioso del terreno destinato alla sepoltura. Secondo quanto stabilito, un terreno non assume natura religiosa fino a quando non viene utilizzato in modo definitivo per ospitare un defunto. Ciò implica che i luoghi destinati temporaneamente a fungere da ricovero per i resti mortali, così come quelli vuoti e privi di sepolture effettive, mantengono lo stesso status giuridico precedente e rimangono di proprietà dei legittimi proprietari. Il titolo VII del libro XI del Digesto, in aggiunta, affronta anche le questioni concernenti i casi in cui vi sia disaccordo tra i titolari di diritti reali sul terreno scelto per la sepoltura.
Era la presenza definitiva del cadavere che rappresentava un momento cruciale per l’acquisizione potenziale della natura religiosa del luogo di sepoltura, sebbene con una certa elasticità e approssimazione. È proprio il contatto e la vicinanza delle spoglie umane con la terra che consentivano a quel luogo di diventare una sede permanente di sepoltura e, di conseguenza, di diventare pertinenza degli Dei Mani.
Il momento della deposizione della salma e, in particolare il luogo specifico occupato da essa, può determinare la trasformazione dell’area da ordinaria a sacra e religiosa. Questo principio è rintracciabile nei dettami dell’antico giurista romano Ulpiano, il quale sottolineava l’importanza del momento della sepoltura nel conferire carattere sacro a una determinata area di terreno. [1]
Al diritto alla tumulazione, ossia il diritto primario al sepolcro, si affianca il diritto secondario (al sepolcro), il quale si articola nella possibilità, concessa ai familiari ed agli aventi diritto, di accedere al luogo di sepoltura in occasioni specifiche, come le commemorazioni o altri eventi rituali, al fine di onorarne la memoria e preservare l’integrità del sito funerario.
Si ravvisa un’altra forma di tutela, denominata ius nomini sepulchri, che si concretizza nel diritto di apporre il proprio nome sul sepolcro, sia da parte del fondatore che di tutti coloro che hanno diritto di essere sepolti nello stesso. Tale pratica permette di identificare ‒ chiaramente ‒ i defunti tumulati nel sepolcro e di mantenere viva la memoria delle persone ivi sepolte nel corso del tempo.
Parimenti alla tradizione romanistica, l’atto di apporre i nomi sul sepolcro costituisce un segno di rispetto e di riconoscimento nei confronti dei defunti e delle loro famiglie, contribuendo a preservare il legame con le generazioni future.
Differentemente dalla società romana antica, però, la destinazione normale del corpo senza vita o delle sue parti residue era l’illatio mortui, un rituale attraverso il quale il defunto, anche sotto forma di ceneri, veniva restituito alla terra in modo perpetuo.
Ciò significava che la sepoltura rappresentava non solo un atto di rispetto verso l’estinto, ma anche un importante rito religioso con implicazioni giuridiche significative.
Tuttavia, a differenza dei tempi odierni, in cui le opzioni per il trattamento dei resti mortali includono anche la donazione a scopi scientifico-didattici e il trapianto terapeutico, nell’antica Roma l’attenzione era rivolta principalmente alla sepoltura e al rispetto dei defunti secondo i dettami religiosi e culturali dell’epoca.
Pertanto, comprendere il significato e il contesto della sepoltura nell’antica Roma è cruciale per apprezzare appieno la complessità del regime giuridico dei sepolcri e il loro ruolo nella moderna società.
Origine dello ius sepulchri
Secondo la consuetudine romana, s’imponeva di confinare i defunti al di fuori dei confini della città e di custodirli in necropoli appositamente predisposte o in mausolei familiari situati ai margini di terreni privati, ovvero a una buona distanza dalle abitazioni.
Il termine “sepulchrum”, derivato dal verbo latino “sepelire” (seppellire), indicava il luogo fisico destinato alla sepoltura dei defunti.
Il “sepulchrum”, nel contesto del mondo romano, assumeva un significato profondo e simbolico, poiché rappresentava il punto di convergenza tra la sfera terrena e quella ultraterrena. Questo termine indicava il luogo fisico in cui venivano deposti il corpo o le ossa di un individuo non più in vita, fungendo da punto di transizione, essendo esso il luogo finale di riposo.
Fonti letterarie e giuridiche dell’epoca romana forniscono importanti testimonianze sulla pratica della sepoltura e sulle norme che regolavano i sepulcra.
Opere come le “Institutiones” di Gaio ed i “Digesta” di Ulpiano fungono da fontes iuris romani ed offrono importanti dettagli sulle disposizioni giuridiche relative alla loro proprietà e gestione, nonché sulle responsabilità delle famiglie nei confronti dei propri defunti.
Nel contesto del diritto romano, il sepulchrum era considerato una res religiosa, all’interno della più ampia classe delle res divini iuris[2], ed in quanto tale esso era indisponibile ad essere oggetto di transazioni commerciali tra privati, poiché essi non potevano disporne in alcun modo. Questa peculiarità giuridica rifletteva sia il profondo rispetto e la sacralità attribuita al sepulchrum nell’antica società romana che l’importanza attribuita alla protezione ed alla conservazione dei luoghi di sepoltura, evidenziandone il rispetto per gli antenati.
Tale classificazione, inoltre, indicava che il sepulchrum ‒ in quanto res religiosa ‒era una proprietà destinata agli Dei Manes, gli dei buoni degli Inferi, che fungevano da protettori del nucleo familiare di provenienza, a differenza delle res sacra, di pertinenza degli Dei celesti. Gli individui a cui veniva dedicato un sepulchrum erano coloro che avevano condotto la propria vita con probità e saggezza, e che erano deceduti in modo naturale, ricevendo poi una sepoltura rituale appropriata.
La categorizzazione giuridica evidenzia il significato religioso e sociale del sepulchrum nell’antica società romana[3], tant’è che Gaio specifica che:
«Summa itaque rerum divisio in duos articulos diducitur: nam aliae sunt divini iuris, aliae humani.
Divini iuris sunt veluti res sacrae et religiosae.
Sacrae sunt quae diis superis consecratae sunt; religiosae quae diis Manibus relictae sunt.
Sed sacrum quidem hoc solum existimatur quod ex auctoritate populi Romani consecratum es.
Religiosum vero nostra voluntate facimus mortuum inferentes in locum nostrum, si modo eius mortui funus ad nos pertineat[4]».
Il sepulchrum si definisce, quindi, mediante la nozione di spazio, cioè di divisione tra un territorio dedicato ai vivi ed un altro consacrato ai morti, con il defunto che costituisce così un elemento strutturale del territorio comunitario.
In materia giuridico-religiosa si utilizzava un vocabolario molto preciso per designare i luoghi di riposo dei morti e, questi, si basavano su concetti generici quali la res religiosa (in astratto) ed il locus religiosus (in concreto), corrispondente tecnicamente ad una portio fundi, ossia un appezzamento di terreno privato che il dominus aveva scelto di destinare alla funzione di sepolcro.
Si noti bene, che questa qualificazione del diritto fa percepire un’opposizione tra due spazi distinti, in cui il primo è attribuito agli Dei del contesto mortuario (i sopracitati Dei Manes), ai quali le tombe, secondo Gaio sono (res) religiosae diis manibus relictae sunt, mentre il secondo rimaneva uno spazio per il godimento dell’uomo. Si trattava, semplicemente, della originaria divisio delle res nello ius romanum, ovvero res divini iuris e res humani iuris.
Per una comprensione esaustiva della portata della sua natura religiosa, era essenziale individuare i limiti e i confini del sepulchrum, considerando l’inclinazione dei titolari dello ius sepulchri (o dei iura sepulchrorum) a destinargli spazi estesi, che non si limitavano alla tomba in senso stretto.
L’identificazione precisa del perimetro o del volume dei loca religiosa riveste un ruolo importante all’interno del contesto giuridico romano, poiché tali luoghi erano soggetti a un regime giuridico speciale, derivante dalla loro relativa inalienabilità, dovuta alla loro funzione sepolcrale. È verosimile ritenere, infatti, che tale definizione fosse stabilita caso per caso, basandosi sullo spazio effettivamente occupato dal corpo esanime.
Secondo il giureconsulto Ulpiano[5], seguace delle concezioni di Celso[6], il perimetro della sepoltura determinava il suo status giuridico definitivo.
Per comprendere appieno la natura religiosa di tali luoghi, era necessario effettuare almeno una proiezione interna degli spazi occupati dai defunti all’interno delle tombe collettive. In alternativa, si poteva estendere il carattere religioso dell’area sepolturale all’intero monumento, escludendo gli annessi suntuari che non erano destinati a proteggere i corpi, ma a soddisfare le necessità materiali del culto degli stessi, consistente principalmente in libagioni e pasti consumati in comune presso la tomba, a intervalli regolari.
È possibile intuire, dunque, che lo ius sepulchri, inteso come il diritto-dovere alla cura della res religiosa, non rappresentava semplicemente un diritto sul sepolcro stesso, bensì un diritto al sepolcro. Questa distinzione sottolinea che il detentore dello ius non aveva soltanto il diritto di intervenire sul sepolcro, ma anche il dovere di farlo.
Siffatto diritto-dovere era concesso con lo scopo primario di preservare e proteggere il sepolcro nell’interesse comune della familia o degli eredi, nonché nell’ottica di mantenere l’onore dei defunti che lì vi erano sepolti. In tal modo, tale diritto assumeva un ruolo fondamentale nell’assicurare il rispetto e la devozione verso i luoghi di sepoltura.
In tal senso, il regime delle areae adiectae, o aree adiacenti, nell’ambito delle sepolture romane rivestiva un ruolo cruciale nella definizione della res religiosa, ossia dell’area sacra destinata alla sepoltura.
Nel contesto delle aree sepolcrali fondate con rito pontificale, l’intera limitatio agri, ovvero l’intero perimetro del terreno delimitato da cippi, costituiva propria la res religiosa.
Questo includeva non solo i luoghi effettivamente utilizzati per la sepoltura, ma anche eventuali spazi destinati a funzioni accessorie, come giardini o altre strutture.
Tuttavia, in assenza di una fondazione formale del sepolcro, pratica che nel tempo perse progressivamente rilevanza, si generava un’incertezza riguardo a ciò che costituiva effettivamente la res religiosa.
Per di più, la mancata tumulazione rappresentava un evento di grande rilevanza, sia per la sfera privata delle famiglie coinvolte che per l’intera comunità.
Nonostante la pratica dell’illatio mortui, attraverso la quale il defunto veniva restituito alla terra, garantisse un rituale funerario di un certo rilievo, la mancanza di una sepoltura adeguata era considerata un’offesa grave nei confronti del defunto e della civitas stessa.
L’ attuale disciplina dello ius sepulchri
Lo ius sepulchri è, dunque, un istituto di derivazione romanistica che costituisce ancora oggi una componente significativa del nostro ordinamento giuridico.
La sua disciplina è direttamente trattata dall’Art. 824 del Codice Civile italiano, che regola i diritti relativi alla sepoltura ed il mantenimento del luogo stesso.
In aggiunta, l’Art. 5 cod. civ. ha un impatto indiretto sullo ius sepulchri, in quanto stabilisce disposizioni analoghe per gli atti di disposizione del proprio corpo, includendo il trasferimento del luogo di sepoltura come un atto di disposizione della salma.
La determinazione del diritto al luogo di sepoltura dipende dalla presenza o meno di una volontà esplicita da parte del defunto e dal tipo di sepolcro coinvolto, che può essere ereditario o familiare. Nel caso di una mancata indicazione circa le sue volontà, le norme stabilite dal codice regolano l’assegnazione del diritto di sepoltura.
Questo istituto continua a rivestire una grande importanza nel nostro ordinamento, contribuendo a garantire il rispetto della volontà dei defunti e la tutela dei luoghi di sepoltura secondo le attuali disposizioni di legge.
Il contesto normativo relativo alla gestione delle sepolture private nei cimiteri italiani ha subìto diverse evoluzioni nel corso del tempo, con importanti implicazioni sulle modalità di concessione e cessione dei diritti di sepoltura.
Prima dell’adozione del Codice Civile del 1942, i cimiteri erano comunemente classificati come beni di proprietà comunale, implicando, così, una gestione e una disponibilità limitata da parte delle autorità locali. La costituzione di cappelle private all’interno dei cimiteri non comportava la cessione dello spazio a un privato acquirente, ma piuttosto la concessione di tale spazio da parte dell’autorità comunale.
Un importante punto di svolta normativa è rappresentato dall’Art. 71 del Regio Decreto 21 dicembre 1942 n. 1880 (G.U. 16 giugno 1943), il quale consentiva la cessione delle tombe di famiglia a terzi, a condizione che tale cessione non fosse incompatibile con il carattere del sepolcro e che non contrastasse con i regolamenti comunali o gli atti di concessione. Tuttavia, questo regolamento fu successivamente sostituito dal Decreto del Presidente della Repubblica 21 ottobre 1975 n. 803 (G.U. 26 gennaio 1976), che introdusse un divieto assoluto di cessione dei diritti di uso delle sepolture private[7].
L’Art. 824 del Codice Civile del 1942 confermava il regime giuridico dei cimiteri comunali come parte del demanio pubblico, rendendoli, pertanto, inalienabili ‒ conformemente all’Art. 823 cod. civ. comma 1 (parte prima).
Il riferimento normativo al regime dei beni demaniali, incluso il demanio pubblico, riveste particolare importanza nell’ambito della suddetta disciplina.
In tale contesto, la disposizione pertinente è rinvenibile nell’Art. 816 del cod. civ., sotto la rubrica “Beni delle province e dei comuni soggetti al regime dei beni demaniali”.
Questa norma, al suo interno, contempla l’inclusione dei cimiteri e dei mercati comunali tra i beni soggetti a tale regime.
È importante notare anche che l’Art. 816 cod. civ.. richiama direttamente l’Art. 822 cod. civ., che fornisce una definizione dei beni appartenenti al demanio pubblico.
Perciò, attraverso questo richiamo normativo, si stabilisce che i cimiteri sono considerati parte integrante del demanio pubblico.
Di base, il demanio pubblico rappresenta una categoria particolare di beni che sono sottoposti a un regime giuridico specifico, disciplinato principalmente dallo Stato o dalle entità pubbliche territoriali. Includere i cimiteri all’interno di questa categoria implica che essi sono gestiti e regolamentati secondo le normative vigenti in materia di demanio pubblico, comprese le disposizioni relative alla gestione, all’uso e alla disposizione degli stessi beni demaniali.
Anche se il codice introduceva una nuova conformazione delle aree cimiteriali, tale regime non teneva conto delle situazioni preesistenti e confermava la natura concessoria del diritto di sepoltura. È bene precisare che la cessione di un diritto di sepoltura privata richiede l’intervento dell’autorità concedente e non può essere considerata come una semplice alienazione da privato a privato: ciò è confermato dai princìpi in materia di concessioni e dalla normativa vigente, che stabiliscono che tali diritti sono soggetti a un controllo da parte delle autorità competenti.
Il diritto sepolcrale conferisce al titolare della concessione cimiteriale il diritto di essere tumulato nel sepolcro. Lo ius garantisce al concessionario ampi poteri di godimento del bene e assume la natura di un diritto reale nei confronti dei terzi.
Questa conformazione giuridica implica che, nei rapporti tra privati, la tutela della situazione giuridica è completa, assumendo le caratteristiche tipiche dei diritti reali assoluti di godimento.
Però, quando questo diritto riguarda un manufatto costruito su un terreno demaniale, non si esclude l’esercizio dei poteri autoritativi da parte dell’amministrazione pubblica concedente: è, infatti, possibile configurare interessi legittimi quando vengono emessi atti di autotutela. In questa prospettiva, la natura demaniale del bene comporta una sua intrinseca suscettibilità di cessione, derivante dalla concessione amministrativa su un bene pubblico.
Distinguiamo, per una maggiore chiarezza, due diritti associati alla sepoltura in luoghi demaniali, come i cimiteri gestiti dalle autorità pubbliche, all’interno del contesto giuridico. Il primo già menzionato diritto, lo “ius sepulchri”, ossia il diritto di essere sepolti in un luogo specifico all’interno del cimitero. Coloro che detengono questo diritto hanno il privilegio di essere sepolti in una tomba, un loculo o un’altra forma di sepoltura all’interno del terreno cimiteriale. Esso implica l’attribuzione di uno spazio fisico destinato alla sepoltura di sé stessi o dei propri familiari.
Il secondo diritto, denominato “ius inferendi mortuum in sepulchro”, riguarda invece il diritto di seppellire qualcun altro in un luogo specifico del cimitero, anche se il richiedente non è il titolare del diritto di sepoltura. Chi detiene questo diritto può ottenere l’autorizzazione a seppellire un individuo deceduto in uno spazio cimiteriale assegnato, pur non essendo il proprietario dello ius stesso.
La distinzione tra questi due diritti è rilevante sia per gli individui che intendono pianificare la loro sepoltura, sia per coloro che si occupano dell’amministrazione e della gestione dei cimiteri pubblici.
Si specifica, in aggiunta, l’esistenza del concetto di ius eligendi sepulchrum, o electio sepulchri, che si riferisce alla facoltà di scelta spettante ad ogni individuo riguardo alle modalità e al luogo della propria sepoltura.
Si tratta di un diritto che rientra nell’ambito dei diritti della personalità ed in quanto tale non può formare oggetto di trasferimento mortis causa. Esso consente a ciascun individuo di determinare autonomamente il luogo dove desidera essere sepolto e le relative modalità.
Nel contesto romano, sebbene non esista un’esatta corrispondenza con il concetto contemporaneo di ius eligendi sepulchrum, è possibile individuare analogie nel concetto di pietas, che rifletteva il dovere filiale di rispetto e di devozione anche verso i propri mores. La sepoltura e l’onoranza dei defunti erano considerate pratiche sacre e di estrema importanza sociale e religiosa, e la possibilità di scegliere il luogo della propria sepoltura potrebbe essere vista come una manifestazione di questo dovere.
Nel moderno diritto, l’importanza della scelta del luogo di sepoltura riflette il valore attribuito alla volontà individuale e alla dignità della persona anche dopo la morte.
Nel caso di specie, la sentenza 23/05/2006 n° 12143, emessa dalla Corte di Cassazione, sancisce il principio fondamentale secondo il quale ogni individuo ha il diritto di scegliere liberamente le modalità e il luogo della propria sepoltura. I giudici supremi, sul punto, fanno riferimento all’Art. 587, comma 2, del Codice Civile, il quale disciplina la facoltà di scelta[8].
Aspetti conclusivi in materia giurisprudenziale
In materia, interessanti sono le pronunce giurisprudenziali che affrontano la questione della cessione del diritto al sepolcro. Secondo l’orientamento consolidato, tale cessione, sia essa relativa al diritto primario di sepoltura che al diritto sul manufatto, deve essere interpretata come una voltura della concessione demaniale.
Questo aspetto implica che per la sua validità è necessaria l’autorizzazione preventiva da parte dell’ente concedente, ovvero il Comune, come esplicitamente affermato in diverse decisioni giurisprudenziali, tra cui la sentenza della Corte di Cassazione civile, sezione II, del 25 maggio 1983 n. 3607, nonché dai pronunciamenti dei TAR della Calabria del 26 gennaio 2010 n. 26, della Sicilia di Catania, sezione III, del 24 dicembre 1997 n. 2675, della Puglia di Bari, sezione I, del 1 giugno 1994 n. 989, e della Lombardia di Brescia del 30 aprile 2010 n. 1659.
L’autorizzazione, inoltre, rappresenta – a ben vedere ‒ un nuovo esercizio del potere discrezionale dell’ente concedente di attribuire la concessione a terzi e, pertanto, deve rispettare il regime giuridico vigente al momento della sua pronuncia.
Il diritto sul sepolcro, una volta costituito, assume la natura di un diritto soggettivo perfetto di natura reale, assimilabile al diritto di superficie. In tale ottica, esso può essere oggetto di possesso e trasmissione sia inter vivos che per via di successione mortis causa.
Tale diritto è opponibile agli altri privati, poiché deriva da una concessione amministrativa che trasferisce un’area di terreno o una parte di edificio all’interno di un cimitero pubblico di natura demaniale.
Nei confronti della pubblica amministrazione, il diritto sul sepolcro può essere soggetto ad affievolimento, degradando a interesse legittimo, qualora esigenze di pubblico interesse, finalizzate alla tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero, richiedano o suggeriscano all’amministrazione di esercitare il potere di revoca della concessione, come precisato dalla sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, del 26 giugno 2012, n. 3739.
Le disposizioni normative riguardanti l’estumulazione dei feretri e la concessione di aree per la costruzione di sepolture sono regolate dal Decreto del Presidente della Repubblica (d.P.R.) n. 285 del 1990. Secondo l’Art. 88, comma 1 di questo decreto, il Sindaco può autorizzare l’estumulazione dei feretri destinati a essere trasportati in un’altra sede, a condizione che il coordinatore sanitario verifichi la buona condizione degli stessi e dichiari che il loro trasferimento non costituisce un rischio per la salute pubblica.
Per quanto riguarda la concessione di aree per la costruzione di sepolture, invece, l’Art. 90, comma 1 del d.P.R. stabilisce che “il Comune può concedere a privati e enti l’uso di aree per la costruzione di sepolture a sistema di tumulazione individuale, per famiglie e collettività”. Inoltre, questi privati ed enti possono trasformare tali sepolture in campi di inumazione, purché siano dotati di adeguati ossari.
Le concessioni di aree per sepolture sono a tempo determinato e possono durare fino a 99 anni, con possibilità di rinnovo, come specificato nell’Art. 92 del d.P.R.
È importante notare che, nonostante il termine “perpetue” possa essere utilizzato, la giurisprudenza ha chiarito che tali concessioni possono essere revocate o trasformate in concessioni a tempo determinato in base a specifici presupposti e condizioni stabilite dalla legge (sent. C.G.A.R.S., 10 settembre 2020, n. 762).
Il diritto di uso delle sepolture concesse è riservato alle persone dei concessionari ed ai loro familiari, nel caso delle concessioni a persone fisiche e, nel caso delle concessioni ad enti, alle persone contemplate dall’ordinamento e dall’atto di concessione.
Questo diritto può essere esercitato fino al completamento della capienza del sepolcro.
Quest’ultimo, inoltre, può assumere due forme principali: individuale e collettivo.
Nel sepolcro individuale, il diritto di sepoltura spetta a colui che detiene un diritto di natura reale sul sepolcro stesso. Al contrario, il sepolcro collettivo è progettato per ospitare i resti di più individui ed il diritto ad essere seppelliti in esso è strettamente personale, non consentendo a terzi estranei di beneficiare dell’uso del sepolcro.
Questa caratteristica conferisce al sepolcro un’inalienabilità intrinseca.
Solitamente, si distinguono due tipi di sepolcri collettivi: ereditario e familiare o gentilizio. Nel sepolcro ereditario, il diritto di sepoltura viene trasmesso come qualsiasi altro bene, sia per atto inter vivos che mortis causa, anche a persone estranee alla famiglia (Cass. civ., sez. II, 8 maggio 2012, n. 7000).
Al contrario, nel sepolcro familiare o gentilizio, il diritto è attribuito in base alla volontà del testatore, considerando strettamente la cerchia dei familiari come riceventi del sepolcro. Questo diritto viene acquisito da ogni membro della famiglia sin dalla nascita, in base al legame di parentela previsto nell’atto di fondazione o nelle regole consuetudinarie, e non può essere trasferito per atto tra vivi, mortis causa o per prescrizione.
Per distinguere tra lo ius sepulchri iure sanguinis e quello iure successionis (diritto derivante dalla successione) è necessario interpretare la volontà del fondatore del sepolcro al momento della sua edificazione. In mancanza di diverse disposizioni, si presume che il sepolcro sia destinato al fondatore e alla sua famiglia.
Una volta stabilito questo carattere familiare, il diritto al sepolcro viene acquisito individualmente da ciascun familiare, costituendo una forma speciale di comunione tra i contitolari. Alla morte dell’ultimo superstite della cerchia familiare, il diritto si trasforma da familiare a ereditario, soggetto alle normali regole di successione mortis causa (Cass. civ., sez. II, 29 maggio 1990, n. 5015).
Nel contesto del diritto romano, i concetti legati alla disposizione dei luoghi di sepoltura e alla trasmissione del diritto di sepoltura presentano interessanti analogie con le pratiche correnti. Di base, la transizione del sepolcro da una condizione familiare, basata sui legami di parentela, a una condizione ereditaria dopo l’estinzione della cerchia familiare evidenzia la natura dinamica del diritto stesso.
Questo passaggio riflette il cambiamento nella titolarità del diritto, che passa dai membri specifici della famiglia agli eredi del defunto.
La disposizione, sia in termini di assegnazione ereditaria che di possibili variazioni consentite dal regolamento di polizia mortuaria (d.P.R. n. 285 del 1990)[1], amplia ulteriormente la gamma dei possibili destinatari della concessione di sepoltura.
Dalla riflessione su questa interessante e, sotto certi versi, articolata materia emerge chiaramente l’evoluzione del concetto di ius sepulchri, che affonda le sue radici sì nel diritto romano, per poi trovare, però, una collocazione precisa nell’ordinamento giuridico attuale.
Inizialmente regolamentato dalle norme consuetudinarie romane, il diritto alla sepoltura si è trasformato nel corso dei secoli, assumendo una rilevanza sempre maggiore nell’ambito dell’ordinamento civile contemporaneo. L’attuale quadro normativo, che trova il suo fondamento nel codice civile e nei regolamenti, conferisce al diritto di sepoltura una duplice natura, sia reale che personale, e prevede precise modalità di concessione e gestione delle aree cimiteriali. Infine, è stato evidenziato come il diritto di sepoltura possa essere soggetto a varie forme di trasferimento e revoca, pur nel rispetto delle disposizioni normative e delle decisioni delle autorità competenti.
La sua ricostruzione storica è indispensabile, al fine di coglierne anche le più minuziose sfumature, poiché mediante essa emerge come lo stesso sia stato costantemente oggetto di regolamentazione da parte del legislatore, per garantire il rispetto dei princìpi fondamentali della dignità della persona e, latu senso, del suo ius sepolchrum.
Note
[1] Ulp., D., 11.7.2.5.
[2] Gai, Inst., 2.2-3: «Summa itaque rerum divisio in duos articulos diducitur: nam aliae sunt divini iuris, aliae humani. Divini iuris sunt veluti res sacrae et religiosae». Vd. Anche Gai 2.8: «Sanctae quoque res, velut muri et portae, quodammodo divini iuris sunt».
[3] Sul punto, per un approfondimento vd. C. BEZZI, “Res sacrae e religio“, Rivista di diritto romano 45 (1998): pp. 119-154.
[4] Gai, Inst., 2.3-6: «La suprema classificazione delle cose si esprime in una dicotomia: alcune invero sono di diritto divino, altre di diritto umano. Sono di diritto divino ad esempio le cose sacre e le cose religiose. Sacre sono quelle consacrate agli dei superi; religiose quelle lasciate agli dei Mani. Ma, si considera sacro solo ciò che è consacrato d’autorità del popolo Romano. Religioso, invece, rendiamo di nostra volontà un luogo nostro seppellendoci un morto, se al funerale di quel morto siamo tenuti noi».
[5] Ulp., D., 11.7.2.5.: «Sepulchrum est, ubi corpus ossave hominis condita sunt. Celsus autem ait: non totus, qui sepulturae destinatus est, locus religiosus fit, sed quatenus corpus humatum est».
[6] Secondo il giurista romano Celso, non ogni porzione del fondo destinata alla sepoltura diventava automaticamente religiosa. Piuttosto, l’attribuzione di tale carattere si limitava alla zona effettivamente occupata dal corpo, cioè quella parte specifica che conteneva il feretro.Questa precisa distinzione indicava che non era l’intera estensione del terreno destinato alla sepoltura a ricevere la connotazione religiosa, bensì solo l’area concreta che ospitava il corpo. Tale interpretazione puntualizzava l’importanza di definire con precisione il confine del sepulchrum, evidenziando la distinzione tra lo spazio sacro e quello profano.
[7] Riferimento normativo è l’Art. 91 del suddetto decreto, ai sensi del quale: «il diritto di uso delle sepolture private è riservato alla persona del concessionario ed a quelle della propria famiglia ovvero alle persone regolarmente iscritte all’ente concessionario, fino a completamento della capienza del sepolcro».
[8] La norma riguarda le disposizioni testamentarie non patrimoniali e comprende una serie di casi in cui è consentito agli individui di esprimere la propria volontà su questioni non legate al patrimonio.Tra questi casi rientrano l’atto costitutivo di fondazione (Art. 14 c.c.), il riconoscimento del figlio naturale (Art. 254 c.c.), la designazione del tutore o del protutore del minore (Artt. 348 e 355 c.c.), la riabilitazione dell’indegno (Art. 466 c.c.), la revocazione del testamento (Artt. 680 e 681 c. c.) e altre disposizioni simili.La sentenza in esame interpreta questa disposizione nel senso che il testamento può contenere anche altre disposizioni non patrimoniali non esplicitamente previste dalla legge. Tra queste, rientrano quelle relative alle modalità e al luogo di sepoltura del defunto. Pertanto, il testatore può includere nel proprio testamento istruzioni specifiche riguardanti la propria sepoltura, come ad esempio indicazioni sul luogo in cui desidera essere sepolto o sul tipo di cerimonia funebre da svolgere.Questa interpretazione estensiva della disposizione dell’Art. 587, comma 2, del Codice Civile conferma il principio fondamentale della libertà testamentaria, che consente al testatore di esprimere la propria volontà su una vasta gamma di questioni personali, comprese quelle relative alla sepoltura.
[9] Norma di riferimento è l’ Art. 93 del Regolamento di Polizia Mortuaria, secondo cui «1. Il diritto di uso delle sepolture private concesse a persone fisiche è riservato alle persone dei concessionari e dei loro familiari; di quelle concesse ad enti è riservato alle persone contemplate dal relativo ordinamento e dall’atto di concessione. In ogni caso, tale diritto si esercita fino al completamento della capienza del sepolcro. 2. Può altresì essere consentita, su richiesta di concessionari, la tumulazione di salme di persone che risultino essere state con loro conviventi, nonché’ di salme di persone che abbiano acquisito particolari benemerenze nei confronti dei concessionari, secondo i criteri stabiliti nei regolamenti comunali».
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Riccardo Mazzon
Avvocato Cassazionista del Foro di Venezia. Ha svolto funzioni di vice-procuratore onorario presso la Procura di Venezia negli anni dal 1994 al 1996. È stato docente in lezioni accademiche presso l’Università di Trieste, in corsi approfonditi di temi e scritture giuridiche indirizzati alla preparazione per i Concorsi Pubblici. Autore di numerose pubblicazioni giuridiche.