Iscrizione all’Albo degli avvocati stabiliti: le Sezioni Unite chiariscono i requisiti necessari

Con la sentenza n. 4252 del 4 marzo 2016, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione hanno dato un importante chiarimento in materia di iscrizione all’Albo degli avvocati stabiliti, affermando che essa sia subordinata esclusivamente al possesso dei requisiti di cui all’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 96 del 2001, senza che sia opponibile la mancanza delle altre condizioni prescritte dall’ordinamento forense nazionale, salvo che la condotta del richiedente non sia qualificabile come abuso del diritto.

Nel caso di specie, un abogado aveva infatti visto rigettata la sua richiesta di iscrizione all’Albo degli avvocati stabiliti a causa di un precedente penale ritenuto vincolante ai sensi dell’art. 653, comma 1 bis, c.p.p. e incompatibile con il possesso del requisito della condotta specchiatissima dal Consiglio dell’Ordine territorialmente competente e dal Consiglio Nazionale Forense.

Come noto, il d. lgs. n. 96 del 2001 ha dato attuazione alla direttiva 98/5/CE, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale, mediante un procedimento di “stabilimento/integrazione”il soggetto munito di equivalente titolo professionale di altro Paese membro può infatti chiedere l’iscrizione nella Sezione speciale dell’Albo italiano del foro nel quale intende eleggere domicilio professionale in Italia, utilizzando il proprio titolo d’origine (ad es., quello, spagnolo, di “abogado”) e, al termine di un periodo triennale di effettiva attività in Italia (d’intesa con un legale iscritto nell’Albo italiano), può chiedere di essere “integrato” con il titolo di avvocato italiano e l’iscrizione all’Albo ordinario, dimostrando al Consiglio dell’Ordine effettività e regolarità dell’attività svolta in Italia come professionista comunitario stabilito.

A tal riguardo, le Sezioni Unite hanno ribadito che l’iscrizione nella sezione speciale dell’Albo degli avvocati comunitari stabiliti, ai sensi dell’art. 3, comma 2, della direttiva 98/5/Ce e dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 96 del 2001, è subordinata al possesso dei soli requisiti specificamente elencati nell’art. 6, comma 2, citato. Secondo la Corte, ha pertanto errato il CNF subordinando l’iscrizione nella sezione speciale al possesso, da parte del richiedente, degli ulteriori requisiti prescritti per l’iscrizione all’Albo degli avvocati e, nel merito, del requisito di onorabilità, e su tale base respingendo la domanda di iscrizione alla sezione degli avvocati stabiliti del ricorrente.

Questo perchè l’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 96 del 2001, prevede che la verifica degli altri requisiti previsti dalla legislazione nazionale per l’iscrizione all’albo degli avvocati debba essere effettuata, con riguardo agli avvocati iscritti alla sezione speciale degli avvocati stabiliti, solo nel momento in cui questi chiedano l’iscrizione all’albo degli avvocati, come è loro consentito fare dopo un triennio di effettivo svolgimento della professione in Italia con il titolo acquisito in altro Stato membro. Solo in tale circostanza sorge, dunque, l’obbligo, per il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di verificare la sussistenza di tutti gli altri requisiti di iscrizione, ivi compresi quelli di onorabilità.

L’iscrizione all’elenco degli avvocati stabiliti consente infatti l’esercizio della professione con la qualifica conseguita nello Stato membro nel quale il titolo è stato conseguito. Al contrario, nel momento in cui l’iscritto all’elenco speciale chieda l’iscrizione all’albo degli avvocati il potere dei Consigli dell’ordine di verificare la sussistenza dei requisiti di iscrizione al detto albo può essere esercitato con riferimento a tutti i requisiti previsti dall’ordinamento forense. Eventuali incompatibilità che dovessero essere rilevate con lo svolgimento dell’attività professionale in Italia, ancorché con la qualifica derivante dal titolo conseguito in altro Stato membro, potranno essere portate a conoscenza del competente organismo dello Stato membro per le determinazione che esso intenderà assumere con riguardo al titolo rilasciato in quello Stato.

La Suprema Corte ha inoltre specificato che il potere di verifica in ordine alla sussistenza dei requisiti di iscrizione può invece svolgersi nel caso in cui la richiesta di iscrizione appaia connotata da abusività in ordine al requisito della “condotta irreprensibile”: la legittimità della condotta del cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea che si rechi in altro Stato membro per acquisirvi la qualifica di avvocato e poi rientri nello Stato d’origine per esercitarvi la professione “non impedisce infatti ai Consigli dell’ordine di verificare se tale percorso sia diretto a consentire l’esercizio della professione in condizioni preclusive per l’ordinamento italiano, perché caratterizzate da abuso del diritti“.

Sulla scorta di quanto affermato, le Sezioni Unite hanno pertanto formulato il seguente principio di diritto:

“In base alla normativa comunitaria volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale, il soggetto munito di un titolo equivalente a quello di avvocato conseguito in un Paese membro dell’Unione europea, qualora voglia esercitare la professione in Italia, può chiedere l’iscrizione nella sezione speciale dell’albo degli avvocati del foro nel quale intendere eleggere domicilio professionale in Italia. L’iscrizione è subordinata al possesso dei requisiti di cui all’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 96 del 2001 e in sede di iscrizione il Consiglio dell’ordine degli avvocati non può opporre la mancanza di diversi requisiti – segnatamente quello della condotta specchiatissima e illibata (art. 17 r.d.l. n. 1578 del 1933), ovvero, oggi, della condotta irreprensibile (art. 17 della legge n. 247 del 2012) – prescritti dall’ordinamento forense nazionale, salvo il caso in cui la condotta del richiedente possa essere qualificata come abuso del diritto”

In conclusione, la Corte ha pertanto accolto il ricorso e cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa al Consiglio Nazionale Forense.

Leggi la sentenza integrale: Corte di Cassazione, SS. UU civili, sentenza n. 4252 del 4 marzo 2016

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