Irrisorietà della pretesa creditoria e ragionevole durata del processo

Con ordinanza n. 3970 del 2024, la Corte di Cassazione ha chiarito il concetto di irrisorietà della pretesa che diventa fondamentale quando si tratta di valutare l’impatto della prolungata durata dei processi. La legge n. 89 del 2001 stabilisce una presunzione di inesistenza del pregiudizio derivante da questa durata quando la pretesa o il valore della causa sono considerati ‘irrisori’. Tuttavia, determinare cosa costituisce un’irrisorietà richiede un’analisi attenta delle circostanze specifiche del caso concreto, bilanciando elementi oggettivi e soggettivi.

Corte di Cassazione-Sez.II civ. ord. n. 3970 del 13-02-2024

La questione

Il ricorso intentato da Bonatti S.p.A. contro il Ministero della Giustizia è stato esaminato in camera di consiglio della Corte d’Appello di Napoli, in conformità agli articoli 375, comma 2, 4-quater, e 380-bis.1 del c.p.c. La Corte d’appello di Napoli ha accolto l’opposizione del Ministero della Giustizia contro il decreto del magistrato designato, il quale aveva condannato il Ministero al pagamento di un’indennità di €9.000,00 alla Bonatti S.p.A. per la durata (diciotto anni) di una procedura fallimentare in cui la società era coinvolta. Tuttavia, in sede di opposizione, la Corte d’appello di Napoli ha applicato la presunzione di mancanza di pregiudizio dovuto alla prolungata durata del processo, come previsto dall’articolo 2, comma 2-sexies, lettera g), della legge n. 89 del 2001. Tale decisione si è basata sull’accertamento dell’irrisorietà della pretesa, valutata anche “in relazione alle condizioni personali della parte”.
Secondo i giudici dell’opposizione, questa disposizione è strettamente correlata alle cd. “cause bagatellari” e si allinea con l’articolo 35, c. 3, lettera b) della CEDU, che stabilisce l’irricevibilità del ricorso nel caso in cui il ricorrente non abbia subito un “pregiudizio importante”. Infatti, il decreto oggetto di contestazione ha confrontato il credito ammesso al passivo  con la situazione finanziaria della società ricorrente. Per questi motivi, la società ha proposto ricorso in cassazione.

Il motivo di ricorso 

Il ricorso avanzato dalla Bonatti S.p.A. si concentra sull’asserita violazione e mancata applicazione dell’art. 2, comma 2-sexies, lettera g) della l. n. 89 del 2001, in relazione agli articoli 6, par. 1 e 13 della CEDU e agli articoli 24 e 111 Cost. Si contesta alla Corte d’appello di Napoli di aver escluso alla ricorrente la possibilità di richiedere e ottenere l’equa riparazione, nonostante l’irrisorietà del suo credito ammesso al passivo nel fallimento della società CO.MA.PRE S.p.A., in confronto alla robusta situazione economica e finanziaria della Bonatti S.p.A. In particolare, la società ricorrente sostiene che l’interpretazione della legge n. 89 del 2001 non sia in linea con la giurisprudenza della CEDU, poiché il confronto diretto tra l’importo del credito oggetto della controversia e il valore patrimoniale della società ricorrente dimostra una sproporzione tale da escludere l’applicabilità della presunzione di sussistenza del pregiudizio non patrimoniale derivante dalla violazione del termine di ragionevole durata del processo, come previsto dall’articolo 6 par. 1 della C.E.D.U. Secondo la ricorrente, il decreto impugnato non ha tenuto conto dell’intangibilità del diritto alla ragionevole durata del processo anche a favore degli enti associativi, indipendentemente dalla loro natura personale o patrimoniale.

Le argomentazioni della Corte

Il ricorso è fondato. L’articolo 2, comma 2-sexies, lettera g), della l. n. 89 del 2001,  stabilisce una presunzione di inesistenza del pregiudizio derivante dall’irragionevole durata del processo, salvo prova contraria, nel caso di “irrisorietà della pretesa o del valore della causa, valutata anche in relazione alle condizioni personali della parte“. Questa disposizione fornisce un elenco di presunzioni “iuris tantum” di inesistenza del pregiudizio, che costituiscono prove “complete” cui il giudice di merito può legittimamente fare riferimento, anche in via esclusiva. Tuttavia, è necessario che il giudice motivi  il proprio convincimento e esamini eventuali elementi indiziari contrari all’assenza del pregiudizio derivante dall’irragionevole durata del processo.
L’analisi e la valutazione della prova contraria, necessaria per superare le presunzioni di inesistenza del pregiudizio derivante dall’irragionevole durata del processo, come definite dall’articolo 2, comma 2-sexies, comportano un’indagine di fatto tipicamente assegnata al giudice di merito dalla legge, ma soggetta a revisione in sede di legittimità ai sensi dell’articolo 360, comma 1, numero 5, del codice di procedura civile (cfr. Cassazione, sentenza numero 25542 del 2019).

Irrisorietà della pretesa secondo la giurisprudenza CEDU

La nozione di “irrisorietà della pretesa o del valore della causa” deve essere interpretata in conformità della giurisprudenza consolidata della Corte EDU, dalla quale il giudice nazionale non può discostarsi nell’applicazione dell’articolo 6, par. 1, della CEDU, poiché la legge n. 89 del 2001 fornisce unicamente un rimedio giurisdizionale interno che garantisce la sussidiarietà dell’intervento del giudice convenzionale. La Corte EDU, nel valutare le condizioni di ricevibilità ai sensi dell’articolo 35 par. 3, lettera a) della Convenzione, stabilisce che un ricorrente abusa del ricorso individuale presentato ai sensi dell’articolo 34 se il ricorso è manifestamente privo di una reale finalità, riguarda una somma di denaro irrisoria o non incide minimamente sui legittimi interessi del ricorrente. Pertanto, un ricorso per equa riparazione a causa della durata non ragionevole del processo che coinvolge una somma di denaro irrisoria è considerato manifestamente privo di una reale posta in gioco.  Il concetto di “posta in gioco” è significativo non solo per determinare il diritto a un’equa riparazione, ma anche per stabilire l’entità del danno e quindi l’importo dell’indennizzo, in base all’effettiva influenza della durata del procedimento sulla vita delle parti coinvolte. Tale criterio porta all’esclusione dal risarcimento delle violazioni dei termini di durata ragionevole relative a procedimenti di scarso rilievo, considerando anche la condizione sociale e personale del richiedente, dove la posta in gioco è minima e i rischi sostanziali e processuali connessi appaiono trascurabili. (Cfr. Cassazione, sentenze n. 974 del 2014; n. 26497 del 2019; n. 2995 del 2017; n. 633 del 2014; n. 5317 del 2013; con particolare riguardo all’esclusione dell’operatività della presunzione di inesistenza del pregiudizio prevista dall’articolo 2, comma 2-sexies, lettera g), della legge n. 89 del 2001, Cassazione, sentenza n. 5918 del 2020).
Il ricorso alla presunzione di inesistenza del pregiudizio dovuto alla prolungata durata del processo, come definito nell’articolo 2, c. 2-sexies, lettera g), della l. n. 89 del 2001, si basa sull’assunto che la richiesta avanzata o il valore della controversia siano “irrisori”, cioè manifestamente privi di una reale rilevanza, tenendo conto anche delle circostanze personali della parte coinvolta. Per determinare se la richiesta o il valore della controversia siano effettivamente irrisori, la legge non stabilisce criteri rigidi, ma richiede una valutazione che consideri sia l’oggettiva scarsa rilevanza del bene oggetto della controversia, sia le specifiche condizioni personali della parte interessata.Il riferimento alle “condizioni personali della parte” assume un significato specifico quando si tratta di richiedere un risarcimento equo per la prolungata durata del processo a favore di persone giuridiche, come le società di capitali, considerando il danno subito dai dirigenti dell’azienda o dai suoi membri (conforme alle indicazioni delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo del 6 aprile 2000, Comingersoll SA c. Portogallo; 8 giugno 2004, Clinique Mozart s.a.r.l. c. Francia). Le necessità di adeguata capitalizzazione di tali entità, derivanti dalla loro natura imprenditoriale, non devono automaticamente escluderle dalla possibilità di ottenere un’indennità.
In conclusione, la Corte d’appello di Napoli ha determinato l’assenza di pregiudizio derivante dalla prolungata durata del processo in virtù della scarsa importanza della questione in gioco, confermando così le condizioni per l’applicazione della presunzione “iuris tantum” di inesistenza del pregiudizio, come prescritto dall’articolo 2, comma 2-sexies, lettera g), della le. n. 89 del 2001. Tuttavia, tale valutazione è stata condotta considerando esclusivamente la situazione economica e finanziaria della società convenuta, senza attribuire la dovuta rilevanza all’aspetto obiettivo costituito dal valore non trascurabile del credito controverso (29.309,91 euro). Pertanto, i giudici ermellini hanno accolto il ricorso e annullato, con rinvio, il decreto impugnato alla Corte d’appello di Napoli.

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