Inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione di legge

Il D.lgs. n. 219/2023, attraverso l’innesto dell’art. 7 – quinquies nella L. n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), ha previsto l’inutilizzabilità delle prove, ai fini dell’accertamento amministrativo o giudiziale, acquisite in violazione di libertà costituzionalmente garantite, confermando la medesima conseguenza nei casi di superamento dei limiti temporali nello svolgimento dell’istruttoria che si svolge presso il contribuente.
La disposizione in esame, infatti, in materia di verifiche fiscali, segna una linea di demarcazione netta rispetto all’orientamento giurisprudenziale precedente che, in assenza di un richiamo normativo espresso, era incline a sostenere che il prolungamento dei funzionari dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente oltre i termini (ordinatori) previsti dalla legge non potesse determinare, comunque, carenza di potere ispettivo, né la nullità radicale dell’atto impositivo, ovvero l’inutilizzabilità delle prove (quanto il non uso dei soli elementi reperiti nel periodo extra).
Allo stesso tempo, la chiarezza del riferimento posto in chiusura dalla norma, relativo alle “violazioni di legge”, recepisce l’orientamento della Suprema Corte in tema di inutilizzabilità delle prove nelle ipotesi di acquisizione delle stesse in violazione di libertà fondamentali, quali la libertà personale, l’inviolabilità del domicilio, o la segretezza della corrispondenza (ex artt. 13, 14 e 15 Cost.); interpretazione, quest’ultima, alla quale la giurisprudenza di legittimità era approdata pronunciandosi sull’utilizzabilità dei dati provenienti dalla cd. “lista Falciani”.
Sulla scorta di quanto espresso, appare chiaro che gli sforzi a cui tende la Riforma siano tutti finalizzati al rafforzamento di un rapporto tributario sempre più equo e giusto perché capace di garantire, aldilà della minaccia della sanzione, quell’adesione collettiva spontanea agli obblighi contributivi che rappresenta il fondamento del vivere civile.

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I diritti del contribuente sottoposto a verifiche fiscali secondo la normativa previgente

La verifica fiscale, nell’ambito delle modalità operative attraverso cui si procede ad accertare l’assolvimento degli obblighi tributari da parte del contribuente, costituisce il fulcro dell’attività istruttoria posta in essere dall’Amministrazione finanziaria.

L’attività di controllo, infatti, non si esaurisce nell’esame della determinazione (e regolarità) del presupposto di imposta, ma si estende alla verifica di tutti gli adempimenti (sostanziali, formali e collaterali) funzionali alla costituzione in essere del presupposto medesimo e, comunque, alla prevenzione e contrasto di fenomeni distorsivi, evasivi ed elusivi dell’intero sistema tributario.

Trattandosi di attività invasive della sfera giuridica del soggetto su cui ricadono, inoltre, il Legislatore ha previsto specifici limiti in ordine alle modalità di esecuzione dei poteri di controllo, regolando, rispettivamente:

  • la previsione di limiti espressi;
  • la definizione di forme di tutela relativamente a quegli spazi di discrezionalità riconosciuti in capo all’Amministrazione;
  • l’osservanza dei canoni di ragionevolezza e proporzionalità da parte dei funzionari nell’esercizio delle funzioni ispettive;
  • l’adeguatezza dei mezzi impiegati rispetto al fine da perseguire;
  • la predisposizione di strumenti di censura da esperire a seguito di attività istruttorie ritenute illegittime.

Venendo alla classificazione dei poteri istruttori, si è soliti distinguerli in due macro-categorie, le quali variano in relazione alla diversa pervasività che sono in grado di realizzare nella sfera giuridica del soggetto che ne risulta inciso.

Nel dettaglio, l’Amministrazione finanziaria[1] può esercitare:

  • il potere di richiedere informazioni (al contribuente o a terzi)[2], e si è soliti parlare in questi casi di cd. “attività istruttorie senza accesso”;
  • il potere di effettuare accessi, ispezioni e verifiche (presso il contribuente o presso terzi)[3].

La disciplina inerente alle attività di accesso, ispezione e verifica, di cui ai D.P.R. n. 600/1973 e 633/1972, inoltre, secondo la normativa previgente la Riforma tributaria compiuta ad opera del D.lgs. n.219/2023, si completava attraverso il richiamo all’art. 12, L. n. 212/2000, rubricato “Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”.

In particolare, le garanzie contenute all’interno dello Statuto del contribuente attengono, non a caso, al momento più delicato dell’attività di verifica, ossia quello avente ad oggetto il tempo in cui si realizza l’accesso dei verificatori presso i locali destinati all’esercizio dell’attività del contribuente[4]; con ciò, prevedendo un doveroso contemperamento tra le esigenze di controllo fiscale e la tutela della libertà inviolabile del domicilio, ex art. 14 Cost.

In particolare, sempre in materia di accesso, il comma 5 dell’art. 12, L. n.212/2000 specifica che l’attività di verifica presso la sede del contribuente non può protrarsi oltre i 30 giorni lavorativi, prorogabili per altri 30 giorni nelle ipotesi di particolare complessità, le quali devono essere debitamente motivate dal dirigente dell’Ufficio. Entrambi i termini, poi, sono ridotti a 15 giorni lavorativi nei casi in cui la verifica sia svolta presso la sede di imprese a contabilità semplificata e i lavoratori autonomi, con l’ulteriore precisazione che i suddetti controlli devono essere contenuti nell’arco di non più di un trimestre[5].

Se questo era il quadro normativo, allora, occorre domandarsi quali effetti si producevano nelle ipotesi in cui la verifica fiscale, posta in essere dall’Amministrazione, si protraeva oltre i termini di permanenza previsti dallo Statuto.

Ebbene, pur in presenza di un vizio di legittimità tout court procedimentale, ed in assenza di una disposizione espressa (diversamente da quanto previsto in sede penale[6]) che rendesse invalidi gli atti compiuti, si era soliti circoscrivere l’inidoneità degli elementi probatori a quelli reperiti oltre il termine di permanenza previsto dalla norma.  Detto in altri termini, la violazione dei termini previsti dal Legislatore per eseguire l’accesso (considerati dalla giurisprudenza di legittimità ordinatori[7], e non perentori), ad ogni modo, non aveva la forza di determinare né la nullità dell’atto impositivo, né la drastica inutilizzabilità di ogni elemento acquisito e neanche la menomazione del potere di accertamento ispettivo riconosciuto in capo all’Amministrazione.

Invero, prima dell’intervento riformatore del Legislatore, il Supremo Collegio ha costantemente affermato che la violazione del suddetto termine “non determina la decadenza del Fisco dal potere-dovere di accertare il debito del contribuente e, quindi, non inficia la validità dell’accertamento, poiché non si tratta di un termine perentorio, in mancanza di una specifica disposizione in tal senso  e attesa l’incongruità di una siffatta qualificazione rispetto alla sua ratio ed alla possibilità di deroga con il mero consenso motivato del dirigente interno[8]”.

Sul punto, recentemente, la giurisprudenza di legittimità aggiungeva che la violazione non è in grado di determinare alcuna “carenza del potere di accertamento ispettivo, né l’invalidità degli atti compiuti o l’inutilizzabilità delle prove raccolte, atteso che nessuna di tali sanzioni è stata prevista dal Legislatore, la cui scelta risulta razionalmente giustificata dal mancato coinvolgimento di diritti del contribuente costituzionalmente tutelati[9]”.

Vizi dell’istruttoria all’indomani della Riforma: l’inutilizzabilità delle prove per violazione di legge

La prassi invalsa, caratterizzata dall’assenza di previsioni sanzionatorie che potessero derivare dalla trasgressione del termine previsto dal Legislatore durante lo svolgimento delle verifiche fiscali, ha subito una battuta d’arresto con l’avvento del D.lgs. n. 219/2023 che ha introdotto l’art. 7- quinquies all’interno della L. n. 212/2000, secondo cui “Non sono utilizzabili ai fini  dell’accertamento amministrativo o giudiziale del tributo elementi di prova acquisiti oltre i termini di permanenza dei verificatori in sede di verifica fiscale di cui all’art. 12, comma 5, o in violazione di legge”.

Nel dettaglio, sulla scorta della riforma, il Legislatore delegato sceglie di prendere una posizione netta a tutela del contribuente, introducendo il richiamo positivizzato all’inutilizzabilità delle prove quale rimedio da poter esperire nelle ipotesi in cui l’attività di verifica dell’Amministrazione sia inficiata da vizi (in procedendo) lesivi di diritti e libertà costituzionalmente garantiti.

Ne deriva che, attraverso una specifica eccezione proposta nel ricorso introduttivo, il contribuente che lamenta la violazione di diritti costituzionali durante lo svolgimento dell’attività di verifica posta in essere dall’Amministrazione finanziaria potrà chiedere l’inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite, superando quanto finora affermato dalla giurisprudenza di legittimità e a prescindere dalla difesa del contribuente. L’inutilizzabilità dei dati, infatti, è correlata alla violazione dei diritti costituzionali e delle garanzie previste dalla disciplina dell’accertamento, e si pone come la sanzione più severa in ambito probatorio.

Si tratta di una soluzione che pare non ammettere compromessi e che estende la sanzione dell’inutilizzabilità delle prove alle “violazioni di legge”, con ciò inglobando, volutamente con formula generica, sia le violazioni di legge sostanziale sia processuale.

Concludendo, lo spirito che ha animato la Riforma ha fatto emergere la necessità che le verifiche fiscali si realizzino in un contesto di piena legalità (formale e sostanziale), nel rispetto del bilanciamento tra le istanze di verifica dell’Amministrazione finanziaria ed i principi costituzionali, i quali trovano indiscussa protezione anche nella dimensione della giurisprudenza euro-unitaria e della Cedu.

Note

[1] L’Amministrazione finanziaria svolge la propria attività di controllo ed accertamento attraverso gli Uffici finanziari e la Guardia di Finanza, alla quale è stata riconosciuta una potestà ispettiva generale nei confronti di tutti i tributi, oltreché ampi margini di autonomia operativa.

[2] Nel dettaglio, artt. 32, D.P.R. n. 600/1973 e 51, D.P.R. n.633/1972.

[3] In particolare, artt. 33, D.P.R. n. 600/1973 e 52, D.P.R. n. 633/1972.

[4]È previsto che l’accesso debba essere autorizzato con un ordine firmato dal capo dell’Ufficio fiscale deputato ad effettuare il controllo. Nella realtà, si tratta di una tutela non particolarmente incisiva, giustificata dal fatto che, in questa tipologia di locali, non si svolgono attività private del soggetto. Viceversa, quando si tratta di eseguire accessi presso studi dei professionisti, ovvero locali ad uso promiscuo (destinati sia allo svolgimento di attività economiche sia ad uso abitativo) all’autorizzazione dell’Ufficio fiscale deve far seguito, necessariamente, l’ulteriore autorizzazione dell’Autorità giudiziaria.

[5] Art. 12, comma 5, L. n.212/2000: “La permanenza degli operatori civili o militari dell’amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell’indagine individuati e motivati dal dirigente dell’ufficio. Gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell’ufficio, per specifiche ragioni. Il periodo di permanenza presso la sede del contribuente di cui al primo periodo, così come l’eventuale proroga prevista, non può essere superiore a quindici giorni lavorativi contenuti nell’arco di un trimestre, in tutti i casi in cui la verifica sia svolta presso la sede di imprese a contabilità semplificata e lavoratori autonomi. In entrambi i casi, ai fini del computo dei giorni lavorativi, devono essere considerati i giorni di effettiva presenza degli operatori civili o militari dell’amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente”.

[6] Art. 407, comma 3, c.p.p.: “Salvo quanto previsto dall’art. 415-bis, non possono essere utilizzati gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine per la conclusione delle indagini preliminari stabilito dalla legge o prorogato dal giudice”.

[7] Cass. sentenza n.10773/2023.

[8] Cass. sentenza n.16323/2014 e ancora, similmente, Cass. sentenza n.17002/2012; Cass. sentenza n.7584/2015 e Cass. sentenza n.2055/2017.

[9] Cass. sentenza n. 6779/2022.

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Luigi Tramontano
Giurista, già docente a contratto presso la Scuola di Polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza è autore di numerosissime pubblicazioni giuridiche ed esperto di tecnica legislativa, curatore di prestigiose banche dati legislative e direttore scientifico di corsi accreditati di preparazione per l’esame di abilitazione alla professione forense.

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