Con la sentenza n. 6972 del 17/03/2017, la sesta sezione civile della Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare, con riguardo all’institutio ex re certa e alla successiva alienazione dei beni che ne formano oggetto, due principi di diritto:
1) l’art. 686 c.c. (che prevede la revoca tacita del legato in caso di successiva alienazione del bene che ne forma oggetto) è norma applicabile solamente ai legati, non essendo applicabile analogicamente all’ipotesi in cui sia alienato un bene oggetto di institutio ex re certa dopo la redazione del testamento[1];
2) ciò nonostante, nel caso in cui venga alienato un bene che formava oggetto di institutio ex re certa, la disposizione testamentaria in questione può considerarsi comunque revocata in virtù della stessa natura di tale istituto, una volta che la fuoriuscita del bene dal patrimonio del testatore stravolga del tutto l’assetto tenuto a mente da quest’ultimo per il tempo successivo alla sua morte.
Tale decisione si pone, come stiamo per vedere, su una posizione intermedia rispetto ai due classici orientamenti relativi alla fattispecie in questione.
1. Brevi cenni sull’institutio ex re certa in generale
L’art. 588 comma 1 c.c. fonda la distinzione tra istituzione di erede e legato su un criterio oggettivo: la prima ha ad oggetto l’universalità o una quota dei beni del testatore, il secondo è quello che non abbia tale oggetto.
Il comma 2 di tale disposizione precisa però che ”L’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio”.
In altri termini tale disposizione impone all’interprete di non fermarsi alle espressioni letterali utilizzate dal testatore e all’indicazione di beni determinati da parte di quest’ultimo.
Si avrà dunque un legato solo se i beni determinati sono stati attribuiti nella loro individualità.
Se invece il testatore abbia inteso attribuire beni determinati come quota dell’intero patrimonio, allora si avrà un’istituzione di erede (che viene detta, in questo caso, institutio ex re certa).
Con l’introduzione di tale criterio, il legislatore del 1942 ha aderito a quella corrente dottrinale secondo cui la quota di eredità non deve essere necessariamente espressa in termini numerici (frazione aritmetica), potendo anche essere determinata mediante il raffronto tra il valore di determinati beni assegnati all’erede ed il valore complessivo del patrimonio del testatore.
Per determinare se l’attribuzione di beni determinati integri un legato o un’istituzione di erede ex re certa occorrerà, secondo la costante giurisprudenza di Cassazione, condurre un’indagine di carattere sia oggettivo (riferita al contenuto dell’atto) che soggettivo (riferita alle intenzioni del testatore), la quale è riservata al giudice del merito e non è censurabile in sede di legittimità se congruamente motivata[2].
La riconosciuta possibilità di istituire un soggetto erede, per una quota determinata in base al valore di uno o più beni rispetto all’intero patrimonio, ha suscitato dibattiti in dottrina su alcune questioni:
- il rapporto tra institutio ex re certa e i beni non inclusi nel testamento;
- il rapporto tra institutio ex re certa e divisione fatta dal testatore ex art. 734 c.c.;
- la sorte dei beni oggetto di institutio ex re certa nel caso in cui questi vengano dal testatore alienati dopo la redazione del testamento.
In particolare, la sentenza in commento si occupa di tale ultima questione, che sarà approfondita di seguito.
L’alienazione del bene formante oggetto di institutio ex re certa: i due orientamenti classici
Nel caso in cui il testatore alieni (a titolo oneroso o gratuito) uno o più beni che, in un precedente testamento, aveva destinato a un determinato soggetto a titolo di quota ereditaria, vi sono due distinte teorie in dottrina[3] circa la sorte di tale istituzione di erede ex re certa:
Secondo un primo orientamento, non potendosi applicare analogicamente il suddetto art. 686 c.c. (in quanto norma dettata specificamente per il legato) l’istituzione di erede rimarrebbe in vita.
Di conseguenza, l’erede istituito ex re certa, nonostante siano stati alienati in tutto o in parte i beni che gli erano stati assegnati nel testamento, rimarrà erede e la sua quota dovrà calcolarsi, al momento dell’apertura della successione, in base al rapporto tra il valore dei beni che gli erano stati assegnati rispetto al valore dell’intero patrimonio del de cuius al tempo del testamento.
In altri termini, qualora Tizio istituisca erede Caio assegnandogli, a titolo di quota ereditaria, un immobile di valore pari ad un terzo del suo patrimonio (al tempo del testamento), e successivamente Tizio alieni detto immobile, alla sua morte Caio avrebbe comunque diritto ad un terzo del patrimonio relitto.
Secondo un altro orientamento, viceversa, all’ipotesi in questione sarebbe applicabile analogicamente l’art. 686 c.c. dettato per il legato, e ciò perché la quota dell’erede istituito ex re certa potrebbe calcolarsi solo a posteriori, al momento dell’apertura della successione.
Nell’esempio fatto, dunque, alla morte di Tizio risulterebbe revocata l’istituzione d’erede in favore di Caio, che non avrebbe diritto ad alcunché, a titolo testamentario, sul patrimonio relitto.
3. La posizione intermedia presa dalla Cassazione
Ebbene, venendo alla decisione in commento, a ben guardare la Suprema Corte si colloca in una posizione intermedia rispetto a tale diatriba, poiché:
- da una parte conviene con la prima delle suddette teorie circa la non applicabilità in via analogica dell’art. 686 c.c. alla fattispecie in esame;
- dall’altra perviene a risultati contrari rispetto a quelli della prima teoria, e coincidenti invece con quelli della seconda in quanto, anche a suo giudizio, l’alienazione del bene formante oggetto di institutio ex re certa comporta il venir meno di quest’ultima.
La Corte di legittimità, tuttavia, perviene a tale conclusione seguendo un iter argomentativo differente rispetto alla seconda delle esposte teorie.
Il venir meno dell’institutio ex re certa, in tale ipotesi, sarebbe infatti dettato non dall’applicazione analogica dell’art. 686 c.c. (che, come detto, viene recisamente escluso dallo stesso Collegio giudicante), bensì dalla stessa natura dell’istituto, allorché “la fuoriuscita del bene stravolga del tutto l’assetto tenuto presente dal de cuius”.
In altre parole, il ragionamento seguito dalla Corte è il seguente: se il testatore aveva in mente un certo assetto del proprio patrimonio dopo la sua morte, nel quale la quota da assegnare ad un erede doveva essere determinata rapportando il valore di un bene assegnatogli con l’intero patrimonio, ne consegue che la successiva alienazione di tale bene va a stravolgere irrimediabilmente tale assetto patrimoniale tenuto a mente dal de cuius al momento del testamento, e dunque nessun valore potrebbe attribuirsi a tale disposizione testamentaria al momento della sua morte.
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[1] A dire il vero, il giudice di legittimità era già intervenuto con sent. n. 8780/1987 della II sez. ad affermare la non applicabilità in via analogica dell’art. 686 c.c. alla fattispecie in questione ma, a differenza che nella decisione in commento, esso non aveva preso posizione in merito a quale fosse la sorte dell’institutio in tale ipotesi, limitandosi ad escludere la suddetta analogia.
[2] In tal senso v. Cassaz. civ., sez. II, 25/10/2013, n. 24163; Cassaz. civ., sez. II, 01/03/2002, n. 3016; Cassaz. civ., sez. lav., 12/07/2001, n. 9467.
[3] Per i sostenitori delle due teorie e per un loro approfondimento v. G. CAPOZZI – Successioni e donazioni – IV ediz. a cura di A. Ferrucci e C. Ferrentino, Milano, Giuffré, 2015, 85 e ss.
eppure io non sono d’accordo (si può mai essere in disaccordo con la suprema corte? sì, quasi sempre!), perché se è pur vero che l’applicazione analogica dell’art. 686 c.c. all’istitutio ex re certa era ed è un’aberrazione, è anche vero che la volontà del testatore va SEMPRE ricercata ed analizzata per cui se il de cuius ha donato il bene oggetto di istitutio ex re certa forse, ma solo FORSE, effettivamente voleva ANCHE estromettere l’istituìto dal testamento, ma se l’ha venduto ed il prezzo l’ha conservato, in tutto o in gran parte, ritenere l’automaticità dell’esclusione dal testamento dell’istituìto ex re certa è altrettanto un’ABERRAZIONE alla quale mai ci abitueremo nonostante i numerosi tentativi dei supremi giudici