Sospensione dal servizio per inadempimento obbligo vaccinale Covid: questioni di legittimità costituzionale

in Giuricivile.it, 2022, 5 (ISSN 2532-201X)

Con il Decreto Legge n. 44 del 1 aprile 2021 è stato introdotto l’obbligo della vaccinazione Anti Covid per tutti gli operatori che svolgono l’attività nelle strutture sanitarie, nelle RSA e nelle comunità pubbliche e private, in farmacie e parafarmacie e studi professionali sanitari.

Il Decreto ha obbligato tutti gli operatori sanitari alla vaccinazione con la finalità di “mantenere le condizioni di sicurezza nella cura e nell’assistenza”, pertanto la vaccinazione è stata considerata un «requisito essenziale» per l’esercizio della professione sanitaria e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati.

Al di là delle legittime esenzioni per motivi di salute, il personale sanitario che non intenda vaccinarsi sarà sospeso dall’esercizio della professione sanitaria finché non adempia all’obbligo vaccinale e comunque fino a che tale obbligo non verrà soppresso, con conseguenziale sospensione della retribuzione e di ogni altro emolumento retributivo. Non si tratta di una misura disciplinare ma di una misura “di tutela dell’incolumità pubblica”, pertanto ai lavoratori interessati sarà conservato il diritto al posto di lavoro.

L’obbligo vaccinale dal 15 dicembre 2021 è stato esteso, altresì, anche per altre categorie di lavoratori, quali, il personale sanitario amministrativo, il personale militare e delle forze dell’ordine e il personale scolastico di ogni ordine e grado.

Da tale data la vaccinazione costituirà, anche per le categorie sopraindicate, il requisito essenziale per lo svolgimento dell’attività lavorativa, pertanto, fatti salvi i casi di documentati pericoli per la salute del dipendente (esenzione dalla vaccinazione anti Covid 19), nei quali il personale interessato potrà essere adibito a mansioni diverse “senza decurtazione della retribuzione”, l’atto di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale determinerà l’immediata sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro.

Con il decreto Legge del 24 marzo 2022, n. 24 sono state ridefinite le sanzioni applicabili al personale sopraindicato nel caso di rifiuto ingiustificato alla vaccinazione anti covid; ovvero fino al 15 giugno resta confermato l’obbligo vaccinale ma il personale coinvolto potrà rientrare in servizio purchè munito green pass base ovvero di tampone molecolare o antigenico, percepire di nuovo la retribuzione e sarà assoggettato esclusivamente ad una sanzione pecuniaria di €. 100,00.

L’obbligo vaccinale resta esteso fino al 31 dicembre 2022 per il personale sanitario a cui continuerà ad applicarsi la sanzione della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.

Obbligo vaccinale tra libertà di autodeterminazione e tutela solidaristica dei “soggetti fragili”: questioni di legittimità costituzionale

Numerosi sono i contenziosi sorti in seguito all’introduzione nel nostro ordinamento giuridico dell’obbligatorietà del vaccino covid e alla conseguente sospensione senza retribuzione del personale coinvolto che, senza giustificata e documentata motivazione, si sia rifiutato di sottoporsi al vaccino.

Tra le motivazioni poste a fondamento dei vari ricorsi presentati all’Autorità Giudiziaria Amministrativa meritano particolare attenzione le questioni di legittimità costituzionale sollevate in merito all’obbligatorietà del vaccino covid.

I ricorrenti hanno contestato la certezza assoluta offerta dalla scienza circa la sicurezza dei vaccini anche nel lungo periodo e pertanto il legislatore dovrebbe lasciare, a loro dire, libero l’individuo di scegliere se accettare o meno il trattamento sanitario secondo il principio costituzionalmente tutelato di libera autodeterminazione e secondo il principio del consenso informato di cui alla Legge n. 219/2017.

Va precisato che la Corte Costituzionale nella sua giurisprudenza ed in particolare nella sentenza n. 5 del 18 gennaio 2018, ha affermato in maniera univoca che la previsione legislativa che impone un trattamento sanitario obbligatorio non è incompatibile con l’art. 32 della Costituzione purchè il trattamento imposto sia diretto a migliorare o preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato e degli altri ma solamente se il trattamento non incide negativamente sullo stato di salute di colui che vi è obbligato e che le eventuali conseguenze siano normali e tollerabili, altresì deve essere prevista una indennità risarcitoria nell’ipotesi remota di un danno ulteriore.

Ovviamente la tecnica della persuasione e della fiducia nella scienza dovrebbe essere la strada maestra adottata dal legislatore per favorire la diffusione di un trattamento sanitario essenziale per la tutela della salute pubblica, ma al legislatore è accordata un’ampia discrezionalità che puo’ contemplare vere e proprie sanzioni volte a garantire l’effettività dell’obbligo, sempre nel rispetto della cosiddetta “riserva di scienza”, ovvero alla luce delle diverse condizioni sanitarie e/o epidemiologiche accertate dall’autorità preposta alla tutela della salute pubblica e lasciandosi guidare dalla scienza.

In Italia il legislatore spesso ha preferito la raccomandazione e la persuasione all’obbligo, purtroppo il fenomeno della c.d. esitazione vaccinale (dovuto alla scarsa informazione scientifica, alla diffidenza verso le autorità e la scienza, alla diffusione di fake news soprattutto tramite i social) ha portato all’emanazione del D.L. 73/2017 che ha rintrodotto l’obbligatorietà di alcuni trattamenti sanitari e di alcune vaccinazioni.

Il legislatore continua a preferire la c.d. nudge, ovvero “la spinta gentile” alla vaccinazione attraverso la trasparenza delle informazioni scientifiche, o attraverso incentivi o disincentivi, ricorrendo all’obbligo vaccinale come estrema ratio.

La tutela costituzionalmente garantita alla libera autodeterminazione dell’individuo va però contemperata con altro diritto costituzionale riconosciuto dall’art. 2 della Costituzione: il principio della solidarietà in particolare verso gli individui fragili piu’ esposti alle conseguenze negative del virus pandemico.

Se da un lato, infatti, la giurisprudenza ha sempre rifiutato una concezione “autoritaria e impositiva della cura, calata dall’alto e imposta alla singola persona” ( v. Cons. St Sez III, 2 settmbre 2014, n. 4460), dall’altro ha ritenuto legittimi i trattamenti sanitari imposti ai sensi dell’art. 32, comma secondo, della Costituzione ai fini di tutela della salute pubblica e del benessere collettivo in contrasto alla visione egoistica ed individualistica che ritiene il diritto alla salute “come appannaggio esclusivo dell’individuo” a discapito del principio costituzionalmente tutelato della solidarietà e della tutela  dei piu’ fragili (vedasi il parere n. 2065 del 26 settembre 2017 della Commissione speciale del consiglio di stato sulle vaccinazioni obbligatorie introdotte dal d.l. 73/2017).

Sulle questioni costituzionali sopracitate, sollevate in merito all’obbligatorietà del vaccino anti covid e della sanzione della sospensione dall’attività lavorativa per il personale coinvolto, si è pronunciato il Consiglio di Stato con sentenza n. 7045/2021.

Il Caso: Sentenza del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale n. 7045/2021 

Con la Sentenza n. 7045/2021 Il Consiglio di Stato ha affrontato le varie questioni anche di legittimità costituzionale sollevate da alcuni operatori di Aziende Sanitarie Friulane, sospesi dal servizio e dall’esercizio della professione sanitaria, quale conseguenza della mancata vaccinazione anti covid 19 e in mancanza di giustificati motivi di salute.

Il Giudice Amministrativo innanzitutto e in via preliminare, viste le censure mosse dai ricorrenti sulla presunta inefficacia dei vaccini e potenziale pericolosità anche per le conseguenze a lungo termine, ripercorre le procedure di autorizzazione condizionata ai vaccini anti covid e ribadisce come la sicurezza e l’efficacia dei vaccini sia stata verificata dalla comunità scientifica internazionale con rigorose procedure rispettose di tutti gli standard di ricerca e di sperimentazione e pertanto non può assolutamente ritenersi che il sacrificio imposto ai ricorrenti con la vaccinazione obbligatoria sia sproporzionato e non rientrante nella media tollerabile che giustifica le vaccinazioni obbligatorie.

La vaccinazione persegue un fine solidaristico di tutela dei soggetti piu’ fragili che sono piu’ vulnerabili e assoggettati alle conseguenze pericolose e gravi del virus pandemico, pertanto il diritto del singolo di autodeterminarsi e di non interferenza nella sua vita privata viene meno dinanzi ad una situazione emergenziale e pandemica che necessita di interventi straordinari per la tutela della salute pubblica soprattutto per la tutela dei soggetti piu’ vulnerabili in virtù del principio di solidarietà che giustifica l’imposizione al resto della popolazione dell’assunzione di un “minimo rischio sotto forma di vaccinazione”.

Pertanto, si ritiene legittima la scelta del legislatore che, per assicurare la maggiore copertura vaccinale e l’immunità di gregge, abbia imposto la vaccinazione obbligatoria ad alcune categorie di lavoratori, pur preferendosi sempre l’adesione volontaria all’imposizione autoritativa e sempre chè tale provvedimento sia temporaneo e revocato “qualora non sussista piu’un pericolo significativo per la collettività”.

Il palesato contrasto con l’art. 32 della Costituzione e con il diritto all’autodeterminazione che esso riconosce alla persona, sul presupposto scientifico errato fatto proprio dai ricorrenti che le vaccinazioni non sono sicure ed efficaci e che siano frutto di sperimentazioni, è smantellato completamente dalla sentenza soprarichiamata che affronta anche la questione della sicurezza dei vaccini sulla base delle ricerche scientifiche e della sua efficacia pur non negando che il vaccino, come ogni altro farmaco, non è a rischio zero, ma il rapporto tra rischi e benefici è, secondo condivisa opinione della comunità scientifica internazionale, largamente favorevole pe i soggetti che si sottopongono a vaccinazione.

Deve essere la Scienza ad indicare al Legislatore e al Giudice le opzioni terapeutiche valide e non il singolo individuo secondo il principio di “riserva di scienza”.

Altresì, pur se non previsto espressamente nel D.L. 44/2021, il Consiglio di Stato riconosce a chi eventualmente subisse danni ulteriori dalla vaccinazione, una tutela risarcitoria come per tutti i trattamenti sanitari obbligatori come garantito dall’art. 1 della l. 210/1992.

Nella sentenza, infine, si afferma che l’obbligo vaccinale per il personale sanitario, oltre ad essere giustificato dal principio di solidarietà verso i soggetti fragili (art. 2 della Costituzione), è strettamente correlato alla necessità di garantire “la sicurezza delle cure” impedendo che i soggetti fragili vengano contagiati proprio nel luogo e dagli operatori che dovrebbero curarli e che invece si trasformano in veicoli del virus.

Il diritto alla salute quale principio di interesse collettivo e la necessità di tutelare i piu’ fragili garantendo “sicurezza delle cure” nel bilanciamento con il diritto di ciascun individuo all’autodeterminazione, secondo il Consiglio di Stato, nel caso in specie, rende manifestatamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dai ricorrenti per presunto superamento del limite di ragionevolezza, uguaglianza, proporzionalità del trattamento sanitario obbligatorio imposto.

Infine, l’ultima censura esposta dai ricorrenti, è la contrarietà al diritto al lavoro e alla tutela del principio lavoristico su cui è fondata la Repubblica (art. 1) della sanzione applicata in mancanza di vaccinazione ovvero la sospensione dall’attività lavorativa.

Il Consiglio rigetta anche quest’ultima questione ricordando che in virtù dell’art. 4, comma , del D.l. di che trattasi, la vaccinazione è requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti interessati per le motivazioni di interesse generale soprarichiamate, e che, comunque, il lavoratore sospeso lo è solamente temporaneamente finchè non cesserà lo stato emergenziale e le esigenze di tutela sottostanti l’obbligo di vaccinazione, inoltre in qualsiasi momento potrà essere riammesso all’attività lavorativa adempiendo all’obbligo di vaccinazione anti covid.

Giurisprudenza maggioritaria dei Tribunali Amministrativi Regionali

La Giurisprudenza maggioritaria ha pertanto rigettato i vari ricorsi proposti dai ricorrenti per l’annullamento dell’atto di accertamento di violazione dell’obbligo di vaccinazione e dell’applicazione della sanzione della sospensione dall’attività lavorativa.

A titolo esemplificativo si richiama ad esempio la sentenza n. 2813/2022 del Tar Lazio pronunciatasi sul ricorso presentato da 127 pubblici dipendenti del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico nonché di personale della scuola, che non hanno proceduto ad assolvere l’obbligo vaccinale e pertanto sono stati sospesi dall’impiego.

I ricorrenti sollevano innanzitutto la questione dello sviamento del potere in quanto con l’adozione degli atti impugnati le amministrazioni esercitano il potere per fini diversi da quelli previsti dalla legge.

La sospensione dal servizio e della retribuzione, infatti, non avrebbe alcuna utilità nel tutelare la salute pubblica ma al contrario creerebbe gravi problematiche ai vari dicasteri resistenti che resterebbero privi di personale necessario a garantire il buon andamento della Pubblica Amministrazione.

Viene sollevata altresì la questione della legittimità dei provvedimenti di sospensione in merito ad un vaccino di natura sperimentale e alla sproporzionalità della sanzione applicata al lavoratore (la sospensione della retribuzione) anche in considerazione del fatto che la giurisprudenza consolidata riconosce al dipendente sospeso per procedure disciplinari il 50% della retribuzione.

Il Tar Lazio, senza voler entrare nel dibattito scientifico sull’efficacia del vaccino anti covid, richiama la Sentenza n. 5 del 18 gennaio 2018 della Corte Costituzionale secondo cui ”la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con il parametro costituzionale se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che quelle sole conseguenze che appaiono normali e, pertanto tollerabili”.

Il legislatore italiano ha ritenuto necessario imporre l’obbligatorietà del vaccino per alcune categorie di lavoratori al fine di garantire la tutela della salute e contenere le ospedalizzazioni al fine di garantire le cure non solo ai pazienti covid ma ad ogni malato.

Sulla sicurezza dal vaccino si è espressa la comunità scientifica internazionale e, tra l’altro, gli appellanti non hanno fornito alcuna prova scientifica sui paventati effetti collaterali anche a  lungo termine di tale gravosità e sproporzionalità da non giustificare l’obbligatorietà del trattamento sanitario.

Va detto, altresì, che il legislatore avrebbe anche potuto imporre coattivamente la somministrazione o privare della libertà personale chi non vi si sottopone imponendo l’isolamento sociale, mentre la sanzione scelta della sospensione dal servizio è frutto del bilanciamento degli interessi costituzionalmente tutelati: il diritto all’autodeterminazione del singolo in materia di trattamenti sanitari e la necessità di contenere contagi e ospedalizzazioni per la tutela della salute pubblica e del principio di solidarietà verso i piu’ fragili.

La sospensione della retribuzione è conseguenza logica e naturale de mancato servizio.

Il bilanciamento degli interessi contrastanti in gioco è altresì garantito da una limitazione temporale dell’obbligo (fino al 15 giugno 2022 ad eccezione del personale sanitario il cui obbligo persiste fino al 31 dicembre 2022), prova che il legislatore abbia voluto ridurre al minimo il sacrificio richiesto ai lavoratori che liberamente hanno deciso di non vaccinarsi.

Sulla questione della illegittimità costituzionale, il Tar Lazio richiama la succiata Sentenza n. 7045/2021 del Consiglio di Stato.

Il ricorso dei ricorrenti avverso i provvedimenti adottati dalle Pubbliche Amministrazioni di appartenenza di accertamento della mancata ed ingiustificata vaccinazione anti covid e della conseguenziale sospensione dal servizio è pertanto rigettato con spese compensate in considerazione della complessità della questione affrontata.

Bilanciamento dei valori costituzionali: riconoscimento assegno alimentare ai dipendenti sospesi dal servizio e dalla retribuzione 

Sempre in un’ottica di bilanciamento dei diritti costituzionalmente garantiti, il Giudice Amministrativo ha in alcuni casi accolto parzialmente le richieste dei ricorrenti riconoscendo agli stessi il diritto a percepire un assegno alimentare pari al 50% della retribuzione fino alla decisione nel merito della questione sollevata.

In tal senso si è pronunciato, tra gli altri, il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche con decreto n. 95/2022 in ordine ad un ricorso presentato da un dipendente pubblico sospeso dal servizio per inadempimento dell’obbligo di vaccinazione di cu all’art. 4 del DL 44/2021.

Il Giudice Amministrativo ha ritenuto, in attesa di una decisione approfondita nel merito della complessa questione, di riconoscere al ricorrente un assegno alimentare pari alla metà del trattamento retributivo in godimento al fine di assicurare allo stesso un sostegno economico vitale “idoneo a sopperire alle esigenze essenziali di vita”, ritenendo che la completa privazione della retribuzione ( tra l’altro di natura non disciplinare) è un pregiudizio grave ed irreparabile tale da giustificare l’adozione del provvedimento cautelare(in tal senso si è espresso altresì il Tar Lazio con Ordinanza 1234/2022).

In alcuni casi il Giudice Amministrativo ha riconosciuto la corresponsione dell’intera retribuzione a favore del personale sospeso fino alla decisione nel merito (vedasi decreto n. 726/2022, n. 721 /2022 e 724/2022 del TAR Lazio).

In realtà il diritto alla retribuzione e all’assegno alimentare è escluso categoricamente dall’art. 4, comma 5, del DL 44/2021 che espressamente prevede:” per il periodo di sospensione non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento”.

Pertanto la Giurisprudenza non è univoca, e per casi analoghi sono stati emessi provvedimenti contrastanti ed opposti nel contenuto.

Per quanto suesposto, recentemente il Tribunale di Catania, considerata la complessità dell’argomento trattato e la necessità del bilanciamento di diritti costituzionalmente garantiti e soprattutto il contrasto giurisprudenziale, ha, con ordinanza del 14 marzo 2022, sollevato la questione della legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 5, del DL 44/2021 nella parte in cui sospende dal servizio senza retribuzione e senza assegno alimentare.

La questione è pertanto rimessa alla Consulta per l’eliminazione definitiva delle incertezze giurisprudenziali sul diritto alla retribuzione o assegno comunque denominato per la tutela della dignità della persona come riconosciuto da parte della giurisprudenza anche se minoritaria, diritto espressamente negato dalla normativa vigente sull’obbligatorietà del vaccino covid per alcune categorie di lavoratori.

Parole chiave: pandemia Covid 19 – Obbligo Vaccinale – Riferimenti normativi

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