Con sentenza del 26 aprile 2017, n. 10297, la Corte di Cassazione ha confermato che il recesso del promissario acquirente è da ritenersi legittimo quando l’immobile oggetto del contratto preliminare presenta abusi edilizi insanabili.
Il caso in esame
A seguito della stipula di un contratto preliminare per la vendita di un immobile da adibire a civile abitazione, il promissario acquirente scopriva che l’immobile in questione risulta essere viziato da abusi edilizi insanabili.
Circostanza, tra l’altro confermata dal fatto che mancava il parere favorevole alla concessione della sanatoria.
Pertanto, il promissario acquirente decideva di recedere da siffatto contratto e chiedere al giudice di condannare il promissario venditore al pagamento del doppio della caparra.
Inadempimento del contratto preliminare
Sia il Tribunale, che la Corte d’Appello e la Suprema Corte (nella sentenza in commento) hanno stabilito che sussiste l’inadempimento del promissario venditore, con conseguente condanna al pagamento del doppio della caparra in favore del promissario acquirente.
Infatti, si ha inadempimento del preliminare nel caso in cui siano inadempiute le prestazioni che ne formano l’oggetto.
Prestazioni che consistono, immediatamente, nell’obbligo di concludere il contratto definitivo e, in via mediata, nelle prestazioni dedotte nel definitivo medesimo[1].
Invero, oggetto del preliminare di vendita non è semplicemente la prestazione di concludere il contratto definitivo nel giorno prefissato, ma è costituito
- dalla prestazione traslativa prefigurata a carico del promittente venditore
- e dalla prestazione pecuniaria prefigurata a carico del promissario compratore.
Se l’oggetto del preliminare, quindi, consiste nel trasferire il bene in capo al promissario acquirente, è ben possibile estendere analogicamente anche a siffatto contratto le norme sulla vendita e in particolare (per quanto riguarda il caso affrontato dalla sentenza in commento) l’art. 1490 c.c.
Tale norma, al primo comma, stabilisce che “Il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore”.
È dunque evidente che il promittente venditore, obbligandosi a vendere un immobile privo di vizi, si sia reso inadempiente.
Infatti, l’immobile oggetto del contratto presentava dei vizi edilizi insanabili tali da renderlo abusivo e di fatto incommerciabile, considerato anche il rigetto dell’istanza di condono.
Possibili rimedi
A fronte di tale inadempimento il promissario acquirente può chiedere o la risoluzione del contratto (art. 1453 c.c.) o l’adempimento, ai sensi dell’art. 2932 c.c., con contestuale riduzione del prezzo di vendita.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 26943/2006, ha stabilito che il promissario acquirente che non voglia domandare la risoluzione del contratto, può agire chiedendo l’adempimento e l’eliminazione dei vizi ovvero, in alternativa, la riduzione del prezzo.
Queste due azioni, infatti, mirando entrambe ad assicurare, in modo alternativo tra di loro, il mantenimento dell’equilibrio del rapporto economico di scambio previsto dai contraenti, costituiscono mezzi di tutela di carattere generale che, in quanto tali, devono ritenersi utilizzabili anche nel contratto preliminare, non rinvenendosi nel sistema positivo, né nel disposto dell’art. 2932 c.c., ragioni che impediscano di estendere anche a tale tipo di contratto la tutela stabilita a favore della parte adempiente dai principi generali in tema di contratti a prestazioni corrispettive[2].
Tuttavia, nel caso in esame, il promissario acquirente, avendo dato una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria alla promittente venditrice, aveva optato per il recesso dal contratto preliminare di compravendita, ai sensi dell’art. 1385 c.c., chiedendo altresì la restituzione del doppio della caparra.
Nel caso specifico, sussistendo un inadempimento contrattuale ed essendo già stata versata una somma di denaro a titolo di caparra, il promissario acquirente, avendo evidentemente escluso la possibilità di chiedere l’adempimento in forma specifica del preliminare ex art. 2932 c.c., ha dunque optato per la soluzione meno onerosa.
Infatti, scegliendo di esercitare il recesso e di chiedere il doppio della caparra versata, quest’ultimo ha evitato di dover dimostrare che l’inadempimento non aveva scarsa importanza (requisito richiesto dall’art. 1455 c.c. in tema di risoluzione) e soprattutto il quantum del risarcimento.
Con l’azione di recesso, invece, si ha il diritto alla restituzione del doppio della caparra (o alla ritenzione della caparra se la parte non inadempiente è quella che l’ha ricevuta) senza dover dimostrare di aver subito un danno effettivo, che siffatto danno sia imputabile alla parte inadempiente e che non sia di scarsa importanza.
Tuttavia la parte non inadempiente che, avendo versato la caparra, recede dal contratto per l’inadempimento dell’altra e chiede il pagamento del doppio, ai sensi dell’art. 1385, comma 2, c.c., accetta tale somma a titolo di integrale risarcimento del danno e non può pretendere ulteriori e maggiori danni, neppure sotto forma di rivalutazione monetaria della caparra stessa (Cass. n. 28573/2013)[3].
Nullità del contratto ex art. 40, L. 28 febbraio 1985, n. 47
La Cassazione, nel caso in esame è stata adita dalla promittente venditrice, la quale ha chiesto di dichiarare il contratto preliminare nullo in quanto in violazione dell’art. 40 della legge n. 47/1985.
Tale disposizione, al secondo comma, stabilisce che “gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di servitù, relativi ad edifici o loro parti, sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell’articolo 31 […]”.
Secondo la Suprema Corte, la norma citata non può tuttavia applicarsi al caso affrontato in quanto la stessa trova applicazione solo nei contratti con effetti traslativi e non anche nei riguardi dei contratti con efficacia obbligatoria (come, appunto, il contratto preliminare).
La Corte di legittimità è arrivata a tale conclusione sia in base al tenore letterale della norma, sia dalla circostanza che successivamente al contratto preliminare può comunque intervenire la concessione in sanatoria degli abusi edilizi commessi o può essere prodotta la dichiarazione sostitutiva di atto notorio, prevista sempre dal secondo comma dell’art. 40, ove si tratti di immobili costituiti anteriormente al 1° settembre 1967.
Ne consegue che pur avendo per oggetto un immobile privo della concessione edificatoria, il relativo contratto preliminare non viola la legge e, pertanto, si ritiene costituito tra le parti un valido vincolo giuridico (Cass. n. 28456/2013).
La Corte ha altresì specificato che al caso di specie non è neppure applicabile l’art. 15 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, che prevedeva la nullità degli atti giuridici aventi ad oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione edilizia, salvo che si provi che l’acquirente fosse a conoscenza della mancata concessione.
Infatti, il contratto preliminare di compravendita era stato stipulato nel 2006, quindi sotto la vigenza della legge n. 47/1985 sopra richiamata, la quale ai sensi dell’art. 2 ha sostituito proprio l’art. 15 della legge n. 10/1977.
Mancanza del certificato di agibilità
La sentenza in commento offre lo spunto anche per affrontare il caso, frequente nella prassi, in cui al momento della stipula del contratto definitivo, il promittente venditore non consegni al promissario acquirente il certificato di agibilità, previsto dall’art. 24 T.U. Edilizia[4].
A tal riguardo, l’art. 1477, comma 3, c.c., dispone che tra gli altri obblighi, il venditore ha anche quello di consegnare, al compratore, i titoli e i documenti relativi alla proprietà e all’uso della cosa.
Tra questi documenti, la Cassazione ha più volte ribadito che, per un immobile con destinazione residenziale, debba essere aggiunto anche il certificato di abitabilità: si tratta infatti di un documento necessario a comprovare la regolarità amministrativa dell’immobile (ex multis, Cass. n. 12556/2000).
In particolare, la Cassazione ha stabilito che il venditore di un immobile destinato ad abitazione ha l’obbligo di consegnare all’acquirente il certificato di abitabilità, senza il quale l’immobile stesso è incommerciabile.
La violazione di tale obbligo può legittimare sia la domanda di risoluzione del contratto, sia quella di risarcimento del danno, sia l’eccezione di inadempimento (Cass., n. 1701/2009).
Tale documento costituisce infatti requisito giuridico essenziale del bene venduto o promesso al compratore, poiché vale a incidere sull’attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico-sociale, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità.
Di conseguenza, in assenza di tale certificato, il promissario acquirente potrà agire nei modi già accennati.
Tuttavia, qualora quest’ultimo dovesse optare per la risoluzione del contratto, dovrà essere verificata in concreto l’importanza e la gravità dell’omissione in relazione al godimento e alla commerciabilità del bene.
Infatti, se in corso di causa si accerta che l’immobile promesso in vendita presentava tutte le caratteristiche necessarie per l’uso sui proprio e che le difformità edilizie rispetto al progetto originario erano state sanate a seguito della presentazione della domanda di concessione in sanatoria, del pagamento di quanto dovuto e del formarsi il silenzio-assenso sulla relativa domanda, la risoluzione non può essere pronunciata (Cass. n. 13231/2010).
Si rileva infine che, in alcune ipotesi, la Suprema Corte ha altresì escluso la configurazione dell’ipotesi di vendita di aliud pro alio anche in caso di rilascio del certificato di agibilità successivamente alla vendita, con la conseguenza che l’originaria mancanza può essere soltanto fonte i danni risarcibili (Cass. n. 6548/2010).
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[1] Così il Bianca, secondo il quale, “chi assume un obbligo in ordine alla conclusione di un contratto assume per ciò stesso l’impegno in ordine alle prestazioni che ne sono oggetto” (C. M. Bianca, Il contratto, II ed., Milano, 2000, p. 185). Più in aderenza al caso che stiamo esaminando, il Galgano sostiene che “oggetto del preliminare, anche quello puro, non è il fatto in sé della conclusione di un contratto traslativo della proprietà, ma è la conclusione di contratto traslativo della proprietà di quel dato bene, avente quelle determinate qualità, sicché anche queste entrano nel rapporto di corrispettività fra le prestazioni dedotte nel contratto preliminare e possono essere fatte valere dai contraenti” (F. Galgano, Trattato di diritto civile, vol. II, Padova, 2015, p. 332).
[2] Principio espresso, negli stessi termini, anche da Cass. n. 477/2010. In altre pronunce della S. C. (ex multis, Cass. n. 3383/2007) si legge, inoltre, che il promissario acquirente può agire per la risoluzione del contratto oppure può esperire (anche cumulativamente all’azione di adempimento in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo) l’azione di accertamento dei vizi e delle difformità, contestualmente chiedendo la condanna del promittente venditore alla loro eliminazione in forma specifica ovvero per equivalente (mediante riduzione del prezzo di acquisto ovvero imposizione dell’obbligo di sopportare la spesa necessaria). Cfr. anche Cass. n. 23162/2013.
[3] Infatti, il ritardo nell’adempimento del relativo credito, di natura pecuniaria e assoggettato al principio nominalistico fino alla data del pagamento, può essere causa di un’obbligazione risarcitoria del debitore solo in presenza dei presupposti indicati dall’art. 1224 c.c.
[4] D.P.R. n. 380/2001.