In tema di sanzioni amministrative, una questione che ha posto non pochi problemi tra la dottrina e la giurisprudenza, è quella in ordine all’ammissibilità di un’azione generale di accertamento nei riguardi del verbale ispettivo ex art. 14 L.689/1981, con contestuale pagamento e non opposizione della successiva ordinanza-ingiunzione ex art. 22 L. 689/1981.
Per risolvere tale querelle, è bene primis analizzare quali siano le condizioni dell’azione nel nostro ordinamento, e come queste si rapportino alle varie azioni processuali, sub specie all’azione di mero accertamento.
Le condizioni dell’azione
Ai fini dell’accoglimento della domanda giudiziale proposta dall’attore o dal ricorrente, il giudice, prima di entrare nel merito della pretesa di parte, deve sempre verificare la sussistente di due condiciones[1], dette per l’appunto condizioni dell’azione: esse sono la legittimazione ad agire, ossia la titolarità del diritto di azione, – detta anche legitimatio ad causam- e l’interesse ad agire.
L’interesse ad agire è la condizione processuale che subordina la facoltà per un soggetto di richiedere la pronuncia di un provvedimento giudiziale alla concreta possibilità che da esso discendano effetti favorevoli e giuridicamente apprezzabili per il soggetto medesimo; detta condizione è rubricata all’art. 100 c.p.c., nel quale si legge che “per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse“.
Relativamente a detto presupposto la Suprema Corte ha così chiarito: “L’interesse ad agire, in termini generali, costituendo una condizione per far valere il diritto sotteso mediante l’azione, si identifica nell’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice”[2] (Cass. lav., 13 aprile 2011, n. 8464).
Interesse ad agire e le varie azioni processuali
Ciò premesso, è opportuno evidenziare inoltre come, in relazione alle diverse azioni proponibili dalla parte, l’interesse ad agire assuma connotati peculiari e differenti. Ad esempio nell’azione di condanna, l’interesse ad agire si fa valere nell’affermazione dei fatti costitutivi e lesivi del diritto, in caso di tutela di mero accertamento, esso consiste nel vanto o nella contestazione del diritto, mentre nell’azione costitutiva necessaria è nell’affermazione dei fatti previsti dalla norma che impone, al verificarsi di determinate circostanze, il ricorso agli organi giurisdizionali per ottenere la costituzione, modificazione o estinzione del rapporto giuridico.
Infine, nella richiesta di tutela costitutiva non necessaria, l’interesse ad agire consisterà, come nella condanna, nell’affermazione dei fatti costitutivi e lesivi del diritto.
Ammissibilità dell’azione di mero accertamento: una vexata quaestio
Operato questo inquadramento generale, prima di analizzare il peculiare rapporto intercorrente tra azione di mero accertamento negativo ed interesse ad agire, è bene evidenziare come l’ammissibilità dell’azione di mero accertamento sia da tempo oggetto di un acceso dibattito dottrinale.
Da un lato infatti, lo stesso art. 24 Cost, riconoscendo a tutti il potere di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, offre sine ullo dubio un solido sostegno alla tesi della massima ampiezza dell’utilizzo dell’azione di accertamento. Detta norma costituzionale verrebbe così a ricoprire un ruolo di garanzia, assicurando che, di fronte al riconoscimento di nuove situazioni giuridiche sostanziali, l’ordinamento offra quantomeno la possibilità di farle oggetto di un processo di cognizione, per ottenere una dichiarazione giudiziale che faccia certezza della loro esistenza.
D’altro canto, non si può non osservare come lo stesso art. 24 Cost., riferendosi alla «tutela», potrebbe implicare l’esigenza che chi agisce in giudizio esprima un bisogno di tutela giurisdizionale, e quindi, secondo tale interpretatio, la stessa norma codificherebbe la necessità che l’azione sia sorretta dal requisito dell’interesse ad agire inteso come bisogno di tutela a fronte di una lesione.
Vagliando la posizione della giurisprudenza maggioritaria sul punto, si noti come la Suprema Corte, con la sentenza n. 6779 del 19 marzo 2013 [3] ha identificato il duplice presupposto per l’esperibilità dell’azione di mero accertamento: id est che vi sia una situazione di obiettiva incertezza circa un rapporto giuridico e che con tale azione si miri ad un risultato utile.
Detto in altre parole, la giurisprudenza riconosce e ravvisa la condicio dell’interesse ad agire nell’azione di mero accertamento in tutte quelle situazioni in cui l’incertezza sia obbiettiva e attuale, atta a produrre un danno, anche se spesso viene ammessa un concetto di lesione in senso ampio, e dunque anche solo potenziale, ovvero di un pregiudizio concreto e attuale che non sia eliminabile senza l’intervento del giudice [4] ( Cass., 9 maggio 2012, n. 7096; Cass., 20 gennaio 2010, n. 919).
Rilevanza dell’interesse ad agire in ipotesi di impugnazione di un verbale ispettivo con contestuale non opposizione alla successiva ordinanza-ingiunzione
Ciò chiarito, nell’analizzare il peculiare rapporto intercorrente tra interesse ad agire e azione di mero accertamento in ipotesi di impugnazione del solo verbale ispettivo emesso dalla DTL ex art. 14 L.689/1981 e non opposizione della successiva ordinanza-ingiunzione ex art. 22 L.689/1981, rileva quanto segue[5].
Procedendo con ordine, rileva dire che, secondo l’opinione della giurisprudenza maggioritaria sul punto, il verbale ispettivo ex art. 14 L.689/1981, configurandosi quale atto interno e prodromico all’emanazione dell’ordinanza- ingiunzione, non è ex se annoverabile all’interno del genus dei provvedimenti amministrativi.
Calzanti sono al riguardo due pronunce, emesse sia dal Supremo Consesso, ove si è chiarito che “in tema di opposizione a sanzioni amministrative, il verbale di accertamento della violazione è impugnabile in sede giudiziale unicamente se concerne l’inosservanza di norme sulla circolazione stradale, essendo in questo caso soltanto idoneo ad acquisire il valore e l’efficacia di titolo esecutivo per la riscossione della pena pecuniaria nell’importo direttamente stabilito dalla legge; quando, invece, riguarda il mancato rispetto di norme relative ad altre materie, il verbale non incide “ex se” sulla situazione giuridica soggettiva del presunto contravventore, essendo esclusivamente destinato a contestargli il fatto e a segnalargli la facoltà del pagamento in misura ridotta, in mancanza del quale l’autorità competente valuterà se vada irrogata una sanzione e ne determinerà l’entità, mediante un ulteriore atto, l’ordinanza di ingiunzione, che potrà formare oggetto di opposizione ai sensi dell’art. 22 della L. n. 689 del 1981″ [6] (Cass. Sez. Un. 4/1/2007 n. 16) che dal Consiglio di Stato, il quale ha brillantemente precisato che “l’atto con cui il funzionario ispettivo, nella sua qualità di ufficiale di polizia giudiziaria, accerta, […] la fattispecie contravvenzionale e contestualmente dispone prescrizioni all’impresa datrice di lavoro, fissando un termine per l’eliminazione delle irregolarità, non è annoverabile tra i provvedimenti amministrativi[7] […]” (Cons. di Stato, Sez. VI, 31 ottobre 2011, n. 5821).
Conclusioni
Il verbale ispettivo emesso ai sensi dell’art. 14 L.689/1981 si identifica sempre quale atto interno, prodromico al procedimento amministrativo, del tutto privo di autonoma efficacia lesiva, considerato inoltre che è solo l’ordinanza-ingiunzione, conclusiva del relativo procedimento amministrativo, che conduce ad una pretesa validamente azionabile.
In definitiva è dunque possibile concludere affermando che in tutti quei casi in cui l’ordinanza-ingiunzione venga ritualmente pagata e non opposta, il requisito dell’incertezza del rapporto giuridico, requisito necessario per la configurabilità dell’interesse ad agire di fronte ad azione di accertamento, non risulta affatto presente, in quanto da un lato la PA ha concluso il procedimento de quo emanando l’ordinanza- ingiunzione, dall’altro la parte ricorrente, con un comportamento univoco e concludente, ossia la non impugnazione, ha dimostrato una carenza di interesse ad agire.
[1] G. BALENA in “Istituzioni di Diritto Processuale Civile”, volume I, seconda edizione, Cacucci Editore 2012.
[2] Cass. lav., 13 aprile 2011, n. 8464.
[3] “L’interesse ad agire, art. 100 c.p.c., è una condizione dell’azione – da apprezzare in relazione alla prospettazione di parte, prescindendo dalla sua fondatezza – e consiste nell’esigenza di ottenere un risultato utile. Nelle azioni di mero accertamento esso presuppone uno stato di incertezza oggettiva – su diritti soggettivi – tale da arrecare all’interessato un pregiudizio concreto ed attuale, anche se non implicante necessariamente la lesione di un diritto.
Deve incidere, quindi, su diritti soggettivi – e/o obblighi corrispondenti – l’incertezza obiettiva e pregiudizievole che l’azione di mero accertamento intende eliminare e che – in uno con la necessità imprescindibile del richiesto intervento del giudice per evitare il paventato pregiudizio – concorre ad integrare l’interesse ad agire e a rendere, perciò, ammissibile l’azione stessa.
In tema di interesse ad agire con un’azione di mero accertamento è sufficiente, dunque, uno stato di incertezza oggettiva sull’esistenza di un rapporto giuridico o sull’esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti, non superabili se non con l’intervento del giudice. Perché la situazione di incertezza si obiettivizzi, è necessario che su di essa intervenga un atto o fatto esteriore che conferisca attualità e concretezza a quello stato di dubbio del quale si vuole rimuovere l’effetto pregiudizievole, cioè il danno che l’attore soffrirebbe senza la pronuncia di accertamento del giudice; atto o fatto esteriore che non è altro che la contestazione attuale che altri faccia del diritto vantato dall’attore, conseguendo solo a tale contestazione un pregiudizio concreto e non meramente potenziale” (Cass, sent. 19 marzo 2013, n. 6779)
[4] Cass., 9 maggio 2012, n. 7096; Cass., 20 gennaio 2010, n. 919
[5] “Azione generale di accertamento nel processo civile e verbali di notificazione di illecito amministrativo delle Direzioni Provinciali del Lavoro emessi ai sensi della Legge 24 novembre 1981 n. 689”, Avv. Angela GIORGIO, DRL di Aosta
[6] Cass. Sez. Un. 4,gennaio,2007 n. 16
[7] Cons. di Stato, Sez. VI, 31 ottobre 2011, n. 5821