Il principio del favor rei e il tempus regit actum nelle sanzioni amministrative.
Come è noto, il principio del favor rei rappresenta un fondamento irrinunciabile del diritto penale, discende dal principio di pari trattamento ed eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. e comporta quale principale corollario applicativo la retroattività dello ius superveniens favorevole.
L’art. 2, commi 2 e 4, c.p., prevede infatti la duplice ipotesi favorevole al reo dell’abolitio criminis (abrogazione della fattispecie incriminatrice) e dell’abrogatio sine abolitio (modifica della fattispecie incriminatrice[1]): “Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali. … Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile”. Il favor rei opera, più in generale, in favore del soggetto afflitto da sanzioni di tipo punitivo-afflittivo[2] e trova una giustificazione nell’esigenza, una volta abrogata o favorevolmente modificata la fattispecie incriminatrice, di assicurare a due soggetti che abbiano compiuto una stessa condotta, anche se in epoche diverse, un trattamento paritario.
Di regola, nel diritto amministrativo tale principio non trova invece applicazione. Il legislatore non avverte, infatti, una simile esigenza per violazioni meno gravi e per sanzioni tipicamente pecuniarie, dotate di un’afflizione minore e normalmente più tollerabili di quelle penali, anche ove retroattive. Così, per le sanzioni amministrative, la legge 24.11.1981, n. 689[3], che per prima intervenne in maniera sistematica nella conversione di alcuni reati in illeciti amministrativi, all’art. 1 sancisce il principio del tempus regit actum: “Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione. Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati”.
Tale disposizione è stata riconosciuta costituzionalmente legittima da una recente sentenza della Consulta[4]. Per i giudici della Consulta, che hanno ritenuto manifestamente infondata la questione, la retroattività favorevole, che prevede l’applicazione del trattamento sanzionatorio più mite per il reo, caratterizza soltanto il sistema penale e non quello amministrativo, che ben può ispirarsi a regole di successione temporale non altrettanto favorevoli. Rientra infatti nella discrezionalità del legislatore, nei soli limiti del principio di ragionevolezza, adottare una disciplina di maggior rigore per le sanzioni, come quelle amministrative, che non comportano un’afflizione tale da incidere su diritti costituzionalmente garantiti. Esse, dunque, ben possono essere dotate di retroazione degli effetti sulla sfera giuridica dei privati. Sicché ben può sussistere un principio come quello del tempus regit actum, con la conseguente applicazione alla violazione amministrativa della sanzione prevista all’epoca della sua commissione e non della norma sopravvenuta, ancorché modificata in melius o addirittura abrogatrice.
Esistono talune eccezioni al sistema della legge n. 689/1981, che prevedono invece l’applicazione dei principi penalistici favorevoli al sanzionato. Esse riguardano tuttavia, sostiene la Corte, quelle singole e specifiche discipline sanzionatorie che, pur qualificandosi come amministrative in senso lato[5], abbiano caratteristiche punitive tali, soprattutto agli occhi dell’ordinamento comunitario, da costituire sanzioni afflittive e de facto penali[6]. Vi rientrano le violazioni tributarie, valutarie e quelle derivanti dalla violazione delle norme previste in materia di antiriciclaggio.
La successione di leggi nel tempo prevista nelle sanzioni da violazioni antiriciclaggio.
Più in particolare, la normativa antiriciclaggio si trova al centro di un’annosa e controversa indagine della giurisprudenza civile, circa la natura di tale impianto punitivo e l’applicazione dei principi penalistici derivanti dalla giurisprudenza del doppio binario.
Il d. lgs. n. 231/2007, infatti, nel testo novellato dal d. lgs. n. 90/2017, reca il nuovo art. 69, rubricato “Successione di leggi nel tempo”, secondo cui “Nessuno può essere sanzionato per un fatto che alla data di entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente Titolo non costituisce più illecito. Per le violazioni commesse anteriormente all’entrata in vigore del presente decreto, sanzionate in via amministrativa, si applica la legge vigente all’epoca della commessa violazione, se più favorevole, ivi compresa l’applicabilità dell’istituto del pagamento in misura ridotta. Dalla data di entrata in vigore del presente articolo, il termine per la conclusione del procedimento sanzionatorio è di due anni, decorrenti dalla ricezione della contestazione notificata all’amministrazione procedente …”.
La norma in questione, secondo un orientamento ormai affermato, costituisce una deroga all’art. 1 l. n. 689/1981 e, in materia di sanzioni per violazioni antiriciclaggio, permette l’ingresso del favor rei. Infatti, se un effetto simile all’abolitio criminis può essere individuato nel primo comma, il secondo utilizza invece una formulazione diversa dall’abrogatio sine abolitio, a tratti non riconducibile al quarto comma dell’art. 2 c.p.. Del resto, se è vero che la norma antecedente più favorevole continua ad applicarsi alle violazioni commesse prima dell’entrata in vigore della legge n. 90/2017[7], pare opportuno chiedersi se, invece, nei casi di norma antecedente sfavorevole, il legislatore abbia implicitamente inteso dare ingresso alla disposizione sopravvenuta[8].
In effetti, pur essendo pacifico che l’art. 69 rappresenti una deroga alla legge generale sulle sanzioni amministrative, non è chiara la portata e l’entità di tale deroga, né se essa permette l’ingresso in toto del principio della retroattività favorevole[9]. D’altronde, diversamente dalla formulazione prevista in ambito penale (“si applica la norma più favorevole”), che dispone il crtierio del favor rei per tutti i casi di ius superveniens, la disposizione dell’art. 69 ha riguardo soltanto al caso di una disposizione antecedente favorevole, e non invece all’ipotesi di norma favorevole successiva. Proprio sulla possibilità di dedurlo dal tenore letterale – anche soltanto quale argomento implicito, a contrario – e sistematico – quale eccezione all’art. 1 l. n. 689/1981, e dunque deroga al tempus regit actum – la dottrina e la giurisprudenza si sono divise.
La tesi procedimentale inizialmente condivisa dalla Corte d’appello di Roma
Una prima tesi, originariamente sostenuta dal Ministero dell’economia e delle finanze in diversi giudizi, ritiene che l’art. 69 sancisca sì un principio di retroattività favorevole al reo, ma esclusivamente nell’ambito e nei limiti del procedimento amministrativo. Nel senso che esso potrebbe condurre ad una sanzione più favorevole al reo a condizione che essa non sia già stata irrogata mediante un provvedimento amministrativo sanzionatorio già perfezionato. Di conseguenza, la pubblica amministrazione che irroga la sanzione dovrebbe, in caso di ius superveniens, applicare la norma più favorevole, ma la sanzione non potrebbe più modificarsi se il provvedimento sanzionatorio sia già stato adottato. Sicché, sarebbe una norma destinata più all’amministrazione irrogante che al giudice chiamato a valutarla.
In sintesi, opererebbe il principio del favor rei, ma con il fondamentale limite del termine di conclusione del procedimento amministrativo, decorso il quale ed emanato il provvedimento, dovrebbe piuttosto prevalere un principio di stabilità e certezza del rapporto giuridico e, pertanto, di tempus regit actum. Tale processo avverrebbe con riferimento a tutte quelle violazioni che fossero già state sanzionate in via amministrativa alla data di entrata in vigore del d. lgs. n. 90/2017[10]. Ciò anche nel caso in cui tale provvedimento sia stato oggetto di impugnazione e, pertanto, anche a quei rapporti ancora controversi sub judice.
Sicché, non rileverebbe né che il soggetto sanzionato si sia tempestivamente opposto alla sanzione, impugnandola davanti al giudice ordinario, né che, così facendo, il provvedimento perfezionato non potrebbe dirsi comunque definitivo e incontrovertibile. Così facendo, il rapporto giuridico inter partes potrà certamente ritenersi ancora controverso, stante la precaria esistenza della sanzione sub judice, ma in ogni caso la norma successivamente intervenuta non potrebbe trovare applicazione retroattiva. Nel momento dell’adozione dell’atto sanzionatorio, infatti, il rapporto controverso si cristallizzerebbe nel mondo giuridico, per cui da tale evento troverebbe applicazione unicamente la normativa all’epoca in vigore, se legittimo, o nessuna norma sanzionatoria, se illegittimo. Tale tesi intenderebbe così restringere l’ambito di applicazione del favor rei nelle sanzioni amministrative speciali[11], temperandolo con le prerogative del procedimento di irrogazione della sanzione. Trattandosi, infatti, di violazioni amministrative, generando crediti solitamente pecuniari a seguito dell’esercizio di un potere pubblico, l’applicazione del favor rei non sarebbe integrale ma limitata alla fase di svolgimento di tale potere[12].
Il Tribunale di Roma ha respinto, in un primo momento, la ricostruzione operata dal Ministero e sostenuta dall’Avvocatura Generale dello Stato.
Essa ha invece ottenuto la condivisione della Corte d’appello di Roma, che con talune pronunce[13] ha sancito che l’art. 69, quale principio avente “natura eccezionale in quanto derogatoria del principio generale tempus regit actum vigente in materia di sanzioni amministrative … impone un’applicazione strettamente aderente al dettato normativo”, e dunque in combinato disposto con le regole della l. n. 689/1981, specie l’art. 1. Nella prima sentenza richiamata, valorizzando il dato letterale del testo normativo, la Corte d’appello ribadisce che la successione di leggi nel tempo è regolata comunque dal principio di cui all’art. 1 l. n. 689/1981, per cui le disposizioni sanzionatorie introdotte con la l. n. 90/2017 sarebbero sì più favorevoli, ma troverebbero applicazione soltanto alle violazioni commesse dopo la loro entrata in vigore (4.7.2017).
Nella seconda sentenza, con motivazione più articolata, la Corte sostiene che per poter applicare la successiva norma più favorevole anche alle violazioni antecedenti[14] occorrerebbe un’espressa previsione di deroga al tempus regit actum[15], in particolare nel caso di provvedimenti sanzionatori già adottati. Inoltre, dato che la direttiva europea 2015/849/UE[16] non richiama il principio di retroattività della legge più favorevole tra i criteri che ne ispirano il disegno, né quest’ultimo può trarsi dalla giurisprudenza comunitaria, che lo riferisce perlopiù alla sanzione penale, da ciò deriverebbe la sua inapplicabilità alla normativa sulle sanzioni antiriciclaggio.
Soggiunge poi la Corte d’appello che “il raffronto dell’art. 69 con l’art. 3 co. 3 d.lgs. 472/97 in materia tributaria, ove è espressamente previsto che unico limite all’applicazione del principio del favor rei sia costituito dalla definitività del provvedimento sanzionatorio, e la riconosciuta necessità di una applicazione restrittiva della norma, impongono di applicare il canone ubi lex voluit dixit ubi noluit tacuit”.
Pare opportuno tuttavia precisare che l’art. 69 non prevede né il solo limite del giudicato (come l’art. 2, comma 4, c.p.), né quello previsto in materia tributaria, secondo cui “le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo” e ove la definitività è pacificamente intesa come inoppugnabilità giudiziale.
L’orientamento sostanziale del Tribunale di Roma.
Sul punto, già in una pronuncia dell’ottobre 2017, poi sovvertita dall’orientamento contrario della Corte d’appello, il Tribunale di Roma si era trovato in disaccordo con la tesi appena illustrata ed aveva ritenuto che “il favor rei riguarda anche e soprattutto la fase della tutela giurisdizionale”[17], per cui ben potrebbe trovare applicazione alle sanzioni che non siano definitive, poiché impugnate dinanzi al giudice.
La seconda sezione civile del Tribunale di Roma è tornata ad occuparsi dell’argomento in numerose pronunce[18], confermando la propria originaria posizione. Sicché, ha rigettato in toto la tesi del favor rei limitato al solo corso del procedimento amministrativo, adottando una posizione tendente all’applicazione del principio del favor rei, ma non sposandone ogni tratto per via della formulazione letterale della norma, più prudente. I Giudici di Roma hanno infatti optato per un principio di lex mitior. I motivi addotti dall’orientamento di sezione sono molteplici.
Anzitutto, il testo dell’art. 69 cit., derogando al principio fondamentale dell’art. 1 l. n. 689/1981, che regola la successione di norme sanzionatorie amministrative nel tempo, prevede espressamente la non sanzionabilità di un fatto non più previsto come illecito (abolitio), nonché l’applicazione della legge vigente all’epoca della violazione, se più favorevole (lex mitior). Così facendo, il tenore letterale della normativa antiriciclaggio non recepirebbe integralmente il principio del favor rei di stampo penalistico, come invece espressamente sancito in materia valutaria e tributaria[19], né i suoi effetti.
Tant’è che l’applicazione di questo principio “non travolge i provvedimenti divenuti definitivi, ma si limita a prevedere l’applicazione della norma vigente all’epoca della violazione soltanto se più favorevole. Segno che, ove più sfavorevole, sarà doveroso applicare la legge sopravvenuta. Vero è che il caso della norma successiva più favorevole non è menzionato, ma è altrettanto vero che la sua necessaria applicazione discende, secondo un criterio di interpretazione logica che non tollera contraddizioni interne, dallo stesso tenore della previsione dell’art. 69 riguardante la lex mitior. Dovendosi infatti presumere che il legislatore abbia dettato la norma in esame con consapevolezza e specifica volontà innovativa, è opportuno rilevare che l’inciso “se più favorevole” – appositamente aggiunto ad una norma che sarebbe stata altrimenti identica all’art. 1 l. n. 689/1981 e perciò inutilmente adottata – deve necessariamente comprendere anche il suo opposto”.
Anche in successive pronunce[20], il Tribunale di Roma ha sostenuto che l’unica interpretazione possibile della norma, per non privare di significato tale inciso, sia quella per cui si applichi la legge in vigore all’epoca della violazione soltanto se più favorevole, dovendosi preferire altrimenti la norma sopravvenuta. Una diversa lettura della norma, di contro, condurrebbe “ad una contraddizione con il senso letterale … ad un’inutile duplicazione dell’art. 1 l. n. 689/1981 e ad una sostanziale interpretatio abrogans dello stesso art. 69”.
Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte d’appello, nel caso di lex mitior non occorrerebbe una previsione che faccia salvi gli effetti delle sanzioni definitive[21], in quanto, divenuto definitivo il provvedimento, non ne è più possibile l’impugnativa in sede giurisdizionale e, perciò, non si porrebbe neppure il problema dell’applicazione o meno della norma favorevole sopravvenuta. Quanto al richiamo a Cass. n. 4114/2016 (in tema di sanzioni amministrative in materia di intermediazione finanziaria di cui alla parte V del d. lgs. n. 58/1998), il Tribunale non lo riterrebbe del tutto calzante[22].
Il Ministero, poi, aveva sostenuto che nell’eventualità di doversi applicare la norma più favorevole, essa avrebbe potuto avere ad oggetto il solo procedimento sanzionatorio non ancora concluso, e non anche i provvedimenti già adottati. Contro tale tesi, secondo il Tribunale di Roma, militerebbero taluni argomenti. In primis, l’art. 6, comma 12, d. lgs. n. 150/2011 – come peraltro già in precedenza l’art. 23 l. n. 689/1981 – attribuisce al giudice civile il potere di rideterminare la sanzione dovuta, senza circoscriverlo entro limiti edittali o temporali che lo svuoterebbero di significato. Si consideri poi che la tesi del Ministero, sostenuta dalla Corte d’appello, condurrebbe a far dipendere l’applicazione della norma più favorevole dal grado di efficienza della p.a., sicché la norma di favore si applicherebbe solo se sopraggiunta prima della conclusione del procedimento sanzionatorio, la cui tempistica dipende appunto dalla stessa amministrazione.
In merito poi all’art. 74 d. lgs. n. 231/2007, che prevede la clausola di invarianza finanziaria delle nuove norme, il Tribunale ha precisato che la copertura finanziaria delle leggi dello Stato ben può essere assicurata da sanzioni amministrative definitive, in quanto ormai inoppugnabili in sede giurisdizionale, ma non per quelle non ancora definitive che, non essendo state ancora incamerate, ove non confermate dal giudice non comporterebbero alcuna “nuova uscita” per lo Stato[23].
Infine, la concorde opinione secondo cui il giudizio in materia di opposizione a sanzione amministrativa[24] ha ad oggetto non tanto e non solo l’atto emanato, ma il rapporto tra le parti, e la natura essenzialmente afflittiva che caratterizza le sanzioni in materia finanziaria e di prevenzione dei delitti (quale è l’antiriciclaggio) inducevano il Tribunale di Roma a ritenere applicabile il principio della lex mitior. Ciò anche in virtù della recente giurisprudenza comunitaria[25], soprattutto con riguardo alle sanzioni amministrative “sostanzialmente penali” a carattere finanziario.
Il recente intervento della Suprema Corte
Il feroce dibattito in merito alla portata dell’art. 69 e delle sanzioni amministrative in materia di antiriciclaggio, destinato a protrarsi nella giurisprudenza di merito, ha ricevuto un recentissimo contributo della Corte di Cassazione, che ha ribaltato l’orientamento affermatosi presso la Corte d’appello di Roma, dando al contempo alla normativa antiriclaggio una lettura drasticamente più favorevole di quella del Tribunale di Roma.
Infatti, con una pronuncia dell’agosto 2018, relativa a sanzioni antiriciclaggio risalenti alle previgenti norme antiriciclaggio della legge n. 5.7.1991, n. 197, la Suprema Corte ha stabilito che “ritiene il Collegio che le norme de quibus[26] possano essere applicate alla fattispecie … partendo comunque evidentemente dal presupposto comune secondo cui si tratterebbe di disposizione che avrebbe esteso in tale campo il principio del favor rei, riconoscendo, accanto alla regola secondo cui la successiva abrogazione della norma sanzionatoria opera anche per gli illeciti commessi in epoca anteriore, anche l’applicabilità della normativa sopravvenuta in tema di determinazione della sanzione, ove ritenuta più favorevole al trasgressore”[27]. Dunque, anzitutto la Corte riconosce che il principio consacrato all’art. 69 cit. non può rappresentare altro che un’applicazione specifica del favor rei.
Ciò posto, la difesa erariale aveva proposto, nel giudizio in questione, una lettura restrittiva dell’art. 69 d. lgs. n. 231/2007, pari a quanto fatto nei giudizi dinanzi gli Uffici di Roma, ossia condizionata alla mancata conclusione del procedimento sanzionatorio.
Sul punto, anzitutto, il Collegio ha reputato di non aderire alla tesi dell’Avvocatura dello Stato per un’interpretazione letterale della disposizione: “in primo luogo depone l’elemento letterale della norma in esame, destinato ad assumere carattere prevalente ex art. 12 delle preleggi, stante l’inequivoco tenore letterale della previsione che fa riferimento in generale alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore della novella, senza contenere alcun riferimento alla ricorrenza altresì del requisito della mancata adozione del provvedimento sanzionatorio. Né può deporre in senso contrario il richiamo alla diversa previsione di cui all’art. 11 sempre delle preleggi”.
In secondo luogo, per quanto riguarda il carattere di definitività del provvedimento sanzionatorio, cui si riferiscono i richiamati art. 3 d. lgs. n. 472/1997 ed art. 23-bis d.P.R. n. 148/1988 in tema di favor rei nelle sanzioni tributarie e valutarie, la Corte di Cassazione ne dà una semplice lettura, secondo cui “… entrambe le previsioni … prevedono che l’unico limite alla regola del favor rei è rappresentato dal fatto che il provvedimento sanzionatorio abbia acquisito il carattere della definitività, carattere che evidentemente presuppone anche che sia esaurita l’eventuale fase di impugnazione in sede giurisdizionale”. Pertanto, anche nella fase giudiziale ben potrebbe applicarsi l’eventuale ius superveniens di modifica favorevole della cornice sanzionatoria, così riconoscendo che la definitività del provvedimento amministrativo sanzionatorio non possa essere riconosciuta quando vi sia ancora una contestazione giurisdizionale della sanzione, neppure ai soli fini dell’individuazione della norma applicabile ratione temporis in caso di potere pubblico già esercitato. Sino al passaggio in giudicato della sentenza che vaglia l’azione amministrativa, il provvedimento è da ritenersi precario e suscettibile di venir meno.
Infatti, anche con riguardo all’invarianza finanziaria e agli oneri della finanza pubblica, secondo la Suprema Corte si deve escludere che l’eventuale riduzione delle sanzioni possa incidere sulle entrate od uscite dello Stato, “… occorrendo considerare che trattandosi di procedimenti ancora in corso anche gli importi correlati alla loro definizione non assumer[anno] il carattere della certezza se non allorquando il provvedimento che li abbia decisi abbia acquisito il carattere della definitività”.
Così facendo, la Suprema Corte si è pronunciata definitivamente per l’applicabilità del favor rei nella materia delle sanzioni finanziarie antiriciclaggio, e sulla natura derogatoria dell’art. 69 rispetto alla normativa generale in tema di sanzioni amministrative: “ritiene il Collegio che le norme de quibus [quelle introdotte con la l. n. 90/2017, fra cui l’art. 69: n.d.r.] possano essere applicate alla fattispecie, in relazione all’affermazione, anche per le sanzioni per cui è causa, del principio dell’immediata applicabilità dello ius superveniens più favorevole al trasgressore”.
[1] Più spesso nella sola cornice sanzionatoria, altre volte nel precetto.
[2] Previste sia dalla normativa penale che da altri plessi giuridici.
[3] Legge Depenalizzazioni, comunemente nota come la legge generale che regola il regime giuridico delle sanzioni amministrative.
[4] Corte Cost. 20.7.2016, n. 193, che ha fondamentalmente negato la tesi secondo cui la norma sarebbe incompatibile con gli artt. 3 e 117 Cost., con riferimento agli artt. 6 e 7 CEDU, laddove non dispone che debba applicarsi la successiva norma più favorevole al destinatario della sanzione.
[5] Almeno secondo l’ordinamento interno.
[6] Il c.d. doppio binario sanzionatorio, perlopiù frutto dell’elaborazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
[7] In ragione dell’entrata in vigore della legge di modifica e l’assenza di un particolare regime transitorio.
[8] Occorre pertanto verificare se, nonostante la formulazione, di fatto la norma conduca ad un risultato parificato a quello della abrogatio sine abolitio.
[9] Ossia, nella sua duplice accezione di retroattività dell’abolizione e retroattività della modifica in senso più lieve, ovvero nell’unica conseguenza di tale retroattività favorevole solo se abrogativa, ovvero ancora una retroattività favorevole con precisi margini temporali.
[10] Con riferimento, evidentemente, alla data di adozione del provvedimento sanzionatorio.
[11] Quam lege n. 689/1981.
[12] Una volta che l’amministrazione abbia preso posizione sull’opportunità del punire, prevarrebbero le esigenze di certezza e di stabilità degli atti amministrativi.
[13] App. Roma, 14.2.2018, n. 630; App. Roma, 6.3.2018, n. 313.
[14] Purché sub judice.
[15] Richiamando, a tal fine, quanto espresso da Cass. n. 4114/2016.
[16] Recepita con il d. lgs. n. 90/2017, intervenuto a modifica del d. lgs. n. 231/2007.
[17] Trib. Roma, 18.10.2017, n. 17193.
[18] Trib. Roma, 18.10.2017, n. 17193; Trib. Roma, 2.5.2018, n. 2505; Trib. Roma, 11.5.2018, n. 7545.
[19] ”Per le violazioni tributarie l’art. 3 d. lgs. n. 472/1997, per le violazioni valutarie l’art. 23-bis d.P.R. n. 148/1988, alla stregua delle quali, verificandosi la successione temporale di norme sanzionatorie, nessuno può essere assoggettato ad una sanzione per fatti che non costituiscono più violazioni e, se la legge vigente all’epoca della violazione e le leggi posteriori sono diverse, si applica la norma più favorevole, salvi i provvedimenti divenuti definitivi”.
[20] Trib. Roma, n. 8054/2018 R.G. n. 80026/2015; Trib. Roma, n. 8733/2018, R.G. nn. 81429/2015 e 81723/2015.
[21] Come invece dovrebbe ritenersi necessaria nel caso di pieno e integrale favor rei.
[22] Quella decisione – oltre a ribadire il generale principio del tempus regit actum nel campo delle sanzioni amministrative – ha sancito che le modifiche al regime sanzionatorio apportate dal d. lgs. n. 72/2015 si applicano alle sole violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni di attuazione adottate dalla Consob, perché così espressamente prevede l’art. 6 d. lgs. n. 72/2015 cit.. Nei casi in esame dell’antiriciclaggio, invece, come già osservato, il testo modificato dell’art. 69 d. lgs. n. 231/2007 prevede una deroga espressa al principio tempus regit actum. Per le stesse ragioni, non rileverebbe il fatto che la normativa comunitaria cui il d. lgs. n. 90/2017 ha dato attuazione non prevedesse il recepimento del principio del favor rei, che infatti non troverebbe riscontro nell’antiriciclaggio.
[23] Pacifica, infatti, l’inapplicabilità di principi quali il solve et repete: nelle sanzioni amministrative, il pagamento di regola estingue la sanzione e ne impedisce la ripetizione e la contestazione.
[24] E, più in generale, il giudizio sugli atti amministrativi e sul non corretto o mancato esercizio del potere pubblico.
[25] In materia di ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio (art. 50 Carta di Nizza).
[26] Ossia, quelle della l. n. 90/2017.
[27] Cass. II, 8.8.2018, n. 20647 (est. Criscuolo).