Il presente elaborato si prefigge lo scopo di offrire, nell’ambito di una trattazione generale della materia, una visione d’insieme relativamente alle questioni dottrinali e giurisprudenziali afferenti il diritto all’ oblio con specifico riferimento a quelle connesse all’evoluzione tecnologica in atto, fornendone, altresì, un inquadramento sistematico nel novero del più ampio genus dei diritti della personalità.
Come è noto, con la locuzione diritto all’oblio si intende l’interesse dell’individuo a non essere oggetto di una reiterata pubblicazione di notizie se non contestualizzate ed aggiornate, specie se vi è una speculazione commerciale.
Invero, il suddetto diritto – nato come una particolare forma del diritto all’onore ed alla reputazione connessa alla nascita dei primi mezzi di comunicazione di massa – ha assunto negli ultimi anni una sempre maggiore rilevanza a cagione della diffusione delle tecnologie digitali, segnatamente della rete internet e dei social network, in tutte le declinazioni dell’odierna società.
Difatti, lo sviluppo del web ha comportato il consolidarsi di un’imponente attività di raccolta, trasmissione, diffusione e rielaborazione di dati ed informazioni costantemente posta in essere da parte dei provider, dei gestori dei siti internet e dei motori di ricerca.
Di conseguenza, se da un lato ne è scaturita una dispersività delle informazioni che vengono offerte al grande pubblico, il quale spesso non è in grado di selezionare ciò che è realmente rilevante o di valutare l’attendibilità delle fonti, dall’altro ne è conseguito che la “memoria della rete” è in grado di far riemergere in qualsiasi momento un’informazione attinente ad un soggetto, anche se pregiudizievole e risalente nel tempo.
Alla luce di quante sopra, il diritto all’oblio rappresenta una delle questioni giuridiche maggiormente impegnative della nostra epoca, stante la sua stretta connessione con l’evoluzione tecnologica e la necessità di bilanciarlo con altri diritti, quali il diritto alla libertà di espressione, il diritto di cronaca ed il diritto alla rievocazione storica di un fatto.
Indice
1. I diritti della personalità
2. Il diritto all’oblio “tradizionale”3. Le problematiche poste dalla diffusione delle tecnologie informatiche
4. Osservazioni conclusive
1. I diritti della personalità
Come anticipato, il diritto all’ oblio è da inquadrare nell’ alveo dei diritti della personalità, ossia quelli aventi ad oggetto beni immateriali ed immanenti della persona fisica. La cifra distintiva dei diritti in argomento è quella che, a differenza dei diritti reali, sono soggetti ad una costante evoluzione connessa allo sviluppo sociale. Invero, il loro “nucleo fondamentale” è costituito dai diritti della persona comuni alle varie culture giuridiche ed espressamente riconosciuti in varie convenzioni internazionali, come la Dichiarazione universale dei diritti dell’ uomo adottata dalle Nazioni Unite nel 1948, la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’ uomo e delle libertà fondamentali (ratificata dall’Italia con l. n. 848 del 1955) e la Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione Europea – proclamata a Nizza nel 2000 e modificata nel 2007.
Tuttavia, la loro stessa natura ne comporta una mutevolezza in ragione in ragione del contesto sociale e dell’ epoca storica di riferimento.
Nel nostro ordinamento giuridico, i diritti della personalità trovano espresso fondamento costituzionale nell’ articolo 2 della Carta, a tenore del quale “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’ uomo”. La circostanza che la tutela dei diritti della personalità venga posta dalla Costituzione sotto forma di un riconoscimento – ossia assumendo che l’ inviolabilità di tali diritti è una prerogativa anteriore alla garanzia costituzionale, la quale opera come mero strumento per rendere siffatti diritti concretamente operanti e tutelabili nel nostro ordinamento- ha generato un contrasto in seno alla dottrina.
Infatti, ad avviso di una più risalente opinione ( c.d. “pluralista”), sussistono tanti diritti della personalità quanti espressamente la legge ne prevede e/o il giudice investito del caso concreto ne individua nel tessuto dell’ ordinamento sociale e giuridico, rintracciando nell’ art. 2 della Carta la copertura costituzionale di tale trama normativa. Aderendo a questa tesi, quindi il riconoscimento legislativo di un determinato diritto della personalità avrebbe una funzione costitutiva, poiché senza di esso il diritto stesso non sussisterebbe.
Per converso, secondo la tesi più moderna (c.d. monista) – oramai maggioritaria ed avallata anche dalla Suprema Corte- sostiene la sussistenza di un unico diritto della personalità espressamente riconosciuto all’ art. 2 Cost., in forza del quale risulta essere direttamente tutelabile in tutte le sue varie manifestazioni, di volta in volta individuate dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
Aderendo alla suesposta tesi, quindi, l’ eventuale riconoscimento legislativo di uno specifico diritto della personalità avrebbe natura meramente dichiarativa, in quanto lo stesso sarebbe tutelabile anche in sua assenza. Di conseguenza, i diritti della personalità costituiscono un vero e proprio “catalogo aperto”.
In linea generale, i diritti della personalità possono essere caratterizzati come diritti:
- Assoluti: ossia opponibili erga omnes
- Necessari: perché acquisiti da ogni singola persona fisica alla nascita e mantenuti sino al decesso
- Imprescrittibili: in quanto l’ inerzia nell’ esercizio del diritto non ne determina l’estinzione
- Indisponibili: ovvero non rinunziabili, né alienabili.
Di recente, proprio a causa del sopradescritto aumento della circolazione delle informazioni riconducibile alla diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, la giurisprudenza ha ricondotto al novero dei diritti della personalità tutelabili ex art. 2 Cost. il diritto all’ identità personale, ovvero il diritto a vedersi rappresentato con i propri reali caratteri, senza travisamenti della propria storia, delle proprie condotte e del proprio patrimonio intellettuale.
A loro volta, risultano essere svariati i diritti che possono essere ricondotti al diritto all’ identità personale, tra i quali spicca il diritto all’ oblio.
2. Il diritto all’ oblio “tradizionale”
In termini generali, il diritto all’ oblio si manifesta come la pretesa di un individuo a riprendere il controllo della propria storia personale,anche con riferimento a vicende oggetto di pregressa divulgazione. Segnatamente, tale diritto si concretizza nel diritto di bloccare la pubblicazione di vicende personali passate e non di interesse pubblico e di ottenere la cancellazione o la rettifica di notizie non più attuali, agendo sulle notizie circolanti riguardo il passato di una persona, al fine di tutelarne la futura percezione sociale e collegandosi, in tal modo, al diritto all’ identità personale di cui all’ art. 2 d.lgs. 196/2003.
Nella sua accezione tradizionale, con riferimento alla carta stampata ed alle trasmissioni radiotelevisive, il diritto all’oblio si configura come l’interesse di un soggetto a non essere oggetto della ripubblicazione a distanza di tempo di notizie pregiudizievoli per la sua reputazione.
Tale diritto deve essere bilanciato con il diritto di cronaca e con il diritto alla rievocazione storica di una vicenda.
Con riferimento al diritto di cronaca, la Corte di Cassazione nella sentenza n. 6919 del 10 marzo 2018 – relativa ad un procedimento intentato da un noto personaggio dello spettacolo nei confronti della RAI a causa della messa in onda di un servizio a suo avviso lesivo della reputazione ed inerente vicende passate – operando anche una ricognizione della giurisprudenza nazionale ed europea in materia di diritto alla riservatezza, ha sancito quali debbano essere i cinque requisiti fattuali ricorrenti affinché il diritto all’ oblio possa subire una compressione in favore del diritto di cronaca.
In particolare, affinché possa legittimamente operare il suddetto bilanciamento, la diffusione notizia deve arrecare un effettivo contributo ad un dibattito di interesse pubblico, sussistendo, altresì, un interesse pubblico concreto ed attuale alla sua propalazione ed un elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, per la peculiare posizione rivestita nella vita pubblica del Paese. Inoltre, la notizia deve essere diffusa adoperando modalità non eccedenti lo scopo informativo e deve essere scevra da opinioni e/o considerazioni personali. Infine, deve essere esperita, nei confronti del soggetto rappresentato, una preventiva opera di informazione circa la pubblicazione o la trasmissione della notizia risalente nel tempo, in modo tale da consentirgli di esercitare il diritto di replica prima della divulgazione della stessa al pubblico.
A ben vedere, i primi quattro requisiti individuati dall’ organo di nomofilachia richiamano quelli individuati nella storica sentenza della Cassazione 5259/1984 (c.d. “decalogo del giornalista”) e, segnatamente, i primi tre sono ispirati al requisito della” rilevanza”, il quarto a quello della “continenza”, mentre il quinto presenta un carattere eminentemente procedurale, di guisa che permanevano alcune incertezze in merito.
In seguito sono intervenute sul punto le Sezioni Unite con la sentenza n. 19681/2019 le quali hanno definito quale sia il confine tra diritto all’ oblio, diritto di cronaca e diritto di rievocazione storica di una vicenda.
Precisamente, l’ organo di nomofiliachia nella sua massima composizione ha sancito che traducendosi la mera rievocazione storica in un’ attività nella quale il giornalista richiama una notizia già pubblicata, essa – non essendo connotata dal requisito dell’ attualità – non gode della stessa garanzia costituzionale prevista di cui gode il diritto di cronaca. Di conseguenza, una notizia già pubblicata potrà essere rievocata esclusivamente mantenendo l’ anonimato riguardo al soggetto ivi rappresentato poiché nessuna utilità potrebbero trarre i fruitori della notizia dalla circostanza che siano individuati con precisione coloro i quali hanno posto in essere gli atti ivi narrati, salvo che il giudice non ritenga sussistere un interesse qualificato anche alla pubblicazione del nome del soggetto rappresentato, da valutarsi anche in ragione del tempo trascorso dal momento in cui si sono verificati i fatti.
Diversamente, quando un avvenimento del passato viene riportato da un organo dinformazione perché vi sono delle sopravvenienze fattuali che ne giustificano la rievocazione, tale attività rientra pienamente nel diritto di cronaca di guisa che dovranno essere rispettati solamente i principi di pertinenza, continenza e rilevanza di cui al suddetto “decalogo del giornalista”.
3. Le problematiche poste dalla diffusione delle tecnologie informatiche.
La sopracitata pronuncia della Suprema Corte ha avuto, inoltre, il merito anche di evidenziare e risolvere talune delle questioni problematiche inerenti il diritto all’ oblio derivanti dalla diffusione delle tecnologie informatiche. Infatti, la rete internet ha parzialmente modificato la natura del diritto all’ oblio. Invero, se con riferimento ai tradizionali mezzi di comunicazione di massa esso si concretizzava sostanzialmente come un diritto di carattere oppositivo volto a bloccare la propalazione di notizie pregiudizievoli per la reputazione di un soggetto, stante il diverso grado di obsolescenza del supporto nel quale è contenuta la notizia, il diritto all’ oblio riguardante notizie pubblicati sul web si atteggia, di converso, come una pretesa alla cancellazione, alla deindicizzazione o all’ aggiornamento dell’informazione. Difatti, atteso che una volta pubblicata in un indirizzo URL ed inserita tra i risultati di un motore di ricerca la notizia vi permane per un tempo potenzialmente indefinito, risulterebbe del tutto inutile bloccarne una nuova pubblicazione se quella originaria può essere trovata in qualsiasi momento o fatta circolare nuovamente. Ai fini di una corretta tutela della parte che si assume lesa dalla notizia, invece, risulta necessario che la stessa venga cancellata dal sito sorgente, deindicizzata dal motore di ricerca oppure ne vengano ricondotti correttamente all’ attualità i contenuti.
Per le suesposte motivazioni, il diritto all’ oblio su internet si articola, infatti, a sua volta nel diritto all’ aggiornamento, alla deindicizzazione ed alla cancellazione.
Con riferimento al diritto all’ aggiornamento però, parte della dottrina, trovando conferma anche nella giurisprudenza di legittimità, ha sostenuto che lo stesso non sia riconducibile al diritto all’ oblio in quanto la parte che agisce in giudizio non fa valere il diritto “ad essere dimenticato”, ma chiede l’ attualizzazione di una notizia. Ovviamente, in tali casi il legittimato passivo è il gestore del sito web ove appare la notizia e non il motore di ricerca.
Molto più problematico è risultato essere il diritto alla deindicizzazione (c.d. delisting) ossia la facoltà per il privato che assume di essere stato leso dalla pubblicazione di una notizia di domandare che la stessa non appaia più nei risultati mostrati da un motore di ricerca.
In primo luogo, inizialmente non era pienamente chiaro chi dovesse essere il legittimato passivo di tale richiesta. Tuttavia, la Corte di Giustizia Europea ha chiarito nella sentenza del 13.05.2014 – nota come sentenza Costeja Gonzalèz o sentenza Google Spain- che la richiesta deve essere avanzata nei confronti del motore di ricerca, riguardando lo “scollegamento” tra quest’ultimo ed il sito sorgente e traducendosi l’ attività di indicizzazione di un determinato risultato in un trattamento di dati personali.
Inoltre, nella citata pronuncia viene affrontata anche la tematica afferente ai presupposti ed alle modalità di esercizio del diritto all’ oblio. Al riguardo, la Corte statuisce, richiamando agli artt. 6 e 12 della direttiva comunitaria sui dati personali del 1995, che un privato può chiedere al motore di ricerca la deindicizzazione delle informazioni che lo riguardano quando dimostri che il loro trattamento è eccessivo rispetto alle finalità della raccolta. In caso di mancato riscontro alla richiesta, il cittadino potrà, poi, adire l’ Autorità Giudiziaria, la quale avrà facoltà di ordinare la deindicizzazione.
Ciò sembrerebbe conferire ai motori di ricerca un’ enorme responsabilità, poiché si consente ad un soggetto privato di inibire o consentire l’ accesso a determinati contenuti informativi sulla base di una richiesta proveniente da un altro privato.
Un altro fattore di criticità è stato rappresentato dall’ approvazione e dall’ entrata in vigore del regolamento UE 679/2016 (convenzionalmente denominato GDPR – acronimo di General Data Protection Regulation).
Invero, la sentenza Costeja fonda il diritto all’ oblio sui predetti articoli 6 e 12 della direttiva comunitaria del 1995, tuttavia nel 2016 la normativa in materia è stata emendata dal GDPR, che all’ articolo 17, rubricato “diritto all’ oblio” prevede espressamente il diritto alla cancellazione dei dati dal sito sorgente quando sono cessate le finalità della raccolta oppure quando è stato revocato il consenso al trattamento del dato, senza pero menzionare nella norma il diritto alla deindicizzazione di conseguenza che parte della dottrina si è domandata se il diritto al delisting continuasse ad essere tutelato dalla normativa comunitaria.
Tuttavia, l’ opinione prevalente è che l’ art. 17 GDPR debba essere applicato anche alle richieste di deindicizzazione alla luce del fatto che il considerando – ossia la motivazione sintetica sotto forma di articolato che precede il contenuto dell’ atto normativo- n. 66 del regolamento UE 679/2016 espressamente parla del delisting.
Sul punto si è espressa anche la CGUE con le sentenze “gemelle” del 24 settembre 2019 n. 507 e 136, nelle quali la Corte, pur riconoscendo che uno dei casi in esame ricadesse ratione temporis , sotto la vigenza della direttiva comunitaria del 1995, espressamente afferma che il contenuto normativo degli artt. 6 e 12 di tale direttiva è stato inglobato dall’ art. 17 del GDPR, sancendo, così implicitamente, il riconoscimento del diritto all’ oblio da parte del Reg. Ue 679/2016.
Inoltre, in tali pronunce viene anche delineata l’ applicabilità territoriale dell’ ordine di deindicizzazione ai soli stati membri dell’ Unione Europea, in quanto le versioni dei motori di ricerca operanti in Stati non comunitari non devono rispettare il diritto europeo
Per quanto concerne invece, il diritto alla cancellazione dell’ informazione dal sito sorgente esso, come anticipato, ai sensi dell’ art. 17 del regolamento UE 679/2016 consiste nella facoltà di chiedere l’ oscuramento o la cancellazione dell’ informazione dal sito ove è stata pubblicata. Ai sensi del suddetto articolo 17 GDPR esso è esercitabile quando sono cessate le finalità della raccolta oppure quando è stato revocato il consenso al trattamento del dato. Più precisamente, quando il trattamento del dato personale è basato sul consenso, nel momento in cui lo stesso viene revocato, il soggetto ha la possibilità di ottenere l’oscuramento o la cancellazione del dato dal sito sorgente.
Tuttavia, la norma pone un importante limite all’ esercizio del suesposto diritto, in quanto stabilisce che la cancellazione dell’ informazione dal sito sorgente non può mai essere domandata quando il trattamento di quel dato è necessario per l’esercizio della libertà di espressione e di informazione oppure quando il trattamento avviene per fini di pubblico interesse e quindi per fini di ricerca scientifica o storica. Inoltre, dato che ai sensi del 66° considerando l’ articolo 17 si applica anche ai casi di delisting, tale previsione normativa risolve anche la questione trattata in precedenza relativa al pericolo che, qualora il motore di ricerca destinatario della richiesta di deindicizzazione vi aderisse direttamente, potrebbero essere acriticamente oscurate informazioni di interesse pubblico poiché tale richiesta non potrebbe mai essere fondatamente avanzata quando sussistono motivi inerenti l’ esercizio della libertà d’ espressione e di informazioni o quando il trattamento avviene per fini di pubblico interesse.
4. Osservazioni conclusive.
Tutto quanto sopra esposto, ci consente di comprendere come il diritto all’oblio rappresenti probabilmente la maggiore ripercussione in campo giuridico dell’evoluzione tecnologica in atto.
Invero, la sempre maggiore pervasività degli strumenti digitali nelle nostre vite, ha generato un vero e proprio diritto all’identità digitale, intesa come la reputazione di un soggetto formatasi sulle informazioni reperibili online, con la conseguente necessità di tutelare la reputazione dell’ individuo anche dalla nuova pubblicazioni di dati e notizie pregiudizievoli risalenti nel tempo.
In tale ambito, il compito del legislatore, a livello sia nazionale sia comunitario, sarà quello di osservare attentamente la digital transformation in atto e le nuove esigenze di tutela ad essa conseguenti, approntando tempestivamente gli strumenti normativi a garanzia dei diritti dei cittadini.
La pubblicazione oggetto del post in commento offre molteplici e interessanti spunti di riflessione in materia di diritto all’oblio.
Ha il pregio di offrire un’apprezzabile visione d’insieme della materia in relazione agli orientamenti della dottrina e della giurisprudenza sul diritto all’oblio, con specifico riferimento alle questioni legate all’evoluzione tecnologica. Di particolare interesse risulta, inoltre, l’inquadramento sistematico del diritto stesso nel più ampio “genus” dei diritti della personalità.