Il cumulo soggettivo passivo alternativo in appello: questione rimessa alle Sezioni Unite

Con ordinanza n. 3358 del 06.02.2024, è stato trasmesso il procedimento al Primo Presidente ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., al fine di sottoporre alle Sezioni Unite la questione di natura processuale riguardante il cumulo soggettivo passivo alternativo e l’eventuale obbligo dell’appellato vincitore in primo grado di presentare appello incidentale o riproporre le domande non accolte dal giudice precedente. Tale rimessione si pone come un’opportunità per un revirement della soluzione proposta dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 11202 del 2002.

Corte di Cassazione-sez.lav- ord. n. 3358 del 06-02-2024

Il caso in esame

Un dipendente, precedentemente impiegato presso il Ministero dell’Interno e successivamente presso il Comune di Latina, è stato trasferito all’INPS nel 2003 in seguito a un accordo tra le parti.  Nel 2005, è stato assegnato al ruolo organico della Regione Lazio. Il dipendente ha richiesto il pagamento delle differenze retributive per mansioni superiori svolte, rivolgendo la domanda sia all’INPS che al Comune di Latina e alla Regione Lazio. Il Tribunale di Latina ha accolto la richiesta solo nei confronti dell’INPS. Tuttavia, la Corte d’appello di Roma ha escluso l’INPS dall’obbligo di pagamento, senza esprimersi sulla responsabilità del Comune di Latina e della Regione Lazio, poiché il dipendente non aveva presentato appello incidentale contro di loro. Il dipendente ha quindi presentato ricorso per cassazione.

Cumulo soggettivo passivo alternativo: cosa si intende e come opera

Il cumulo soggettivo passivo alternativo rappresenta un aspetto processuale fondamentale nella controversia: con questo si intende la possibilità per l’attore di rivolgere la sua domanda contro più convenuti, senza specificare chi debba essere effettivamente condannato. In questo scenario, l’attore non esprime una preferenza tra i vari convenuti, ma piuttosto chiede che la sua richiesta sia soddisfatta nei confronti di uno qualsiasi di essi. Questo tipo di richiesta è effettivamente alternativa e non dipende dall’identità soggettiva del convenuto da condannare.
In particolare, si possono distinguere due categorie di cumulo soggettivo passivo alternativo:

  • il cumulo in cui le domande sono legate da un nesso di dipendenza, che obbliga il giudice ad accoglierne una sola escludendo le altre, e
  • il litisconsorzio soggettivamente alternativo, in cui il rapporto giuridico coinvolto è unico e la responsabilità passiva viene determinata alternativamente.

In ogni caso, nel cumulo soggettivo passivo alternativo, la domanda rimane indeterminata solo riguardo al convenuto, mentre la causa petendi e il petitum rimangono uguali.
Dunque, quando in un giudizio l’unico convenuto che ha perso in prima istanza presenta appello, ci sono di fatto tre possibilità:

  • l’attore può proporre appello incidentale condizionato,
  • ripresentare le domande non accolte verso gli altri convenuti,
  • oppure, nel caso in cui sia considerato completamente vincente in prima istanza, attendere la decisione del giudice di secondo grado riguardo al debitore della prestazione richiesta.

Le Sezioni Unite n. 11202 del 29 luglio 2002

I giudici richiamano la sentenza delle Sezioni Unite n. 11202 del 29 luglio 2002 che ha tracciato un principio fondamentale riguardante la gestione delle situazioni in cui una domanda è proposta alternativamente contro più convenuti e viene accolta nei confronti di uno solo di essi, mentre viene rigettata rispetto agli altri. In base a questo principio, l’appello presentato dal convenuto soccombente non comporta automaticamente che il giudice di appello consideri anche la pretesa dell’attore nei confronti del convenuto alternativo.
La decisione delle Sezioni Unite si è caratterizzata per la presenza di due approcci interpretativi differenti che hanno come unico punto in comune il fatto che l’appello del convenuto condannato implichi una rivalutazione della posizione di tutti i convenuti mentre si differenziano per quanto riguarda la necessità della riproposizione della domanda da parte dell’attore.
In base a un primo orientamento, l’attore doveva ripresentare la sua richiesta contro tutti i convenuti, compresi quelli assolti, quando impugnava la sentenza di primo grado. Questo approccio faceva una distinzione tra la soccombenza materiale, verificatasi quando il risultato desiderato non veniva ottenuto, e quella virtuale, che avveniva quando una domanda o un’eccezione non aveva successo, ma il risultato desiderato veniva comunque raggiunto in altro modo. L’appello era considerato necessario solo se l’attore cercava un risultato migliore rispetto a quello ottenuto in primo grado; altrimenti, bastava ripresentare la richiesta non accolta inizialmente.
Il secondo orientamento sostiene che il ricorso del convenuto condannato sia sufficiente per portare l’intera questione, incluso il ricorso contro tutti i convenuti, davanti al giudice d’appello, senza ulteriori azioni richieste all’attore.
Le Sezioni Unite, come noto, nel 2002 hanno optato per la prima soluzione. In sostanza, hanno stabilito che l’appellato vincitore in prima istanza non fosse tenuto a presentare un appello incidentale. Tale decisione si fondava sul concetto che con la sentenza impugnata l’appellato avesse già raggiunto completamente il proprio interesse e che sarebbe stato incoerente richiedergli di presentare un appello incidentale. Invece, ritenevano preferibile la riproposizione delle domande non accettate, poiché ciò non implicava necessariamente una sfida radicale alla sentenza impugnata. Inoltre, hanno argomentato che, nonostante l’unicità del rapporto sostanziale di credito, ciò non escludeva la diversità delle pretese formali contro i diversi convenuti. Di conseguenza, l’attore sarebbe stato ancora considerato soccombente, anche se solo formalmente. In conclusione, le Sezioni Unite del 2002 hanno ritenuto che fosse nel diritto dell’appellato principale determinare il tema della decisione e garantire l’efficienza del procedimento, evitando la trasformazione dell’appello in un nuovo processo.

Il possibile revirement

Il Collegio ritiene opportuno esaminare l’attualità della decisione del 2002 delle Sezioni Unite alla luce dei cambiamenti nella giurisprudenza riguardanti l’appello incidentale e la riproposizione delle domande previste dall’articolo 346 c.p.c.
Un punto centrale della rivalutazione è rappresentato dalla sentenza n. 7700 del 19 aprile 2016 delle Sezioni Unite, la quale fornisce degli approfondimenti relativi ai rapporti tra l’appello incidentale e la riproposizione delle domande secondo l’articolo 346 c.p.c. Questa pronuncia ha chiarito alcuni aspetti relativi alla natura delle situazioni soggettive passive alternative, distinguendo diverse categorie di cumulo soggettivo passivo. In particolare, i giudici hanno analizzato diversi possibili scenari, inclusi i cumuli di domande indipendenti, di domande in alternativa e di domande subordinate.
La sentenza del 2016 si distingue anche per l’approccio interpretativo dell’articolo 346 c.p.c., escludendo ogni ipotesi di domanda o eccezione respinta da tale disposizione.  Ciò in contrapposizione con l’interpretazione adottata dalle sezioni unite del 2002, che aveva affermato che l’articolo 346 c.p.c. comprendesse anche le domande respinte.

Le argomentazioni della Sezione lavoro

Nel caso di cumulo soggettivo passivo alternativo, potrebbe essere ragionevole imporre all’originario attore, convenuto in appello dal soccombente in primo grado, di proporre innanzitutto un appello incidentale contro la parte della sentenza di prime cure che non ha accolto la sua domanda contro gli altri convenuti.
Tale esito sarebbe coerente con la ricostruzione della vicenda che consideri la pronuncia di primo grado, la quale condanna uno dei convenuti alternativi, come una decisione implicita di rigetto della pretesa avanzata nei confronti degli altri.
In questo modo, la domanda avanzata verso più convenuti alternativi creerebbe sia per l’attore sia per i convenuti il diritto a una pronuncia di merito.
Infatti, se il creditore vincitore in primo grado fosse considerato soccombente per i rigetti impliciti delle domande contro i convenuti non condannati, teoricamente potrebbe essere richiesto al creditore di proporre un’impugnazione incidentale condizionata in appello, poiché l’assenza di pregiudizio non escluderebbe l’interesse ad impugnare.
Tuttavia, si potrebbe obiettare che, in realtà, l’attore originario sarebbe integralmente vincitore in primo grado, avendo ottenuto esattamente ciò che ha richiesto. In altre parole, non avrebbe potuto ricevere di più e, in effetti, non lo ha richiesto; quindi, non avrebbe alcun senso imporgli di appellare la sentenza. Inoltre, potrebbe sostenersi che, sebbene siano state proposte domande diverse per ogni convenuto, alla fine l’attore sarebbe stato vincitore su tutta la linea, poiché avrebbe ottenuto l’accertamento di tutte le domande e l’accoglimento di una sola. L’unico vero soccombente sarebbe stato poi il convenuto condannato dal giudice di primo grado, il quale, difendendosi, avrebbe imposto sia all’attore sia agli altri convenuti di agire o resistere in giudizio.Un’altra prospettiva potrebbe emergere se si contestasse che la sentenza di primo grado abbia affrontato nel dettaglio le domande contro i convenuti non soccombenti, sostenendo invece che queste domande siano state assorbite anziché esplicitamente respinte[1]. In questa ottica, il ricorso del convenuto condannato in appello potrebbe ancora avere un effetto devolutivo sul punto assorbito, ma l’assenza di un rigetto potrebbe aprire la porta all’applicazione dell’articolo 346 c.p.c. In alternativa, si potrebbe argomentare che le domande non accolte in primo grado siano state decise attraverso una sorta di dichiarazione di “cessazione della materia del contendere”, il che non escluderebbe l’applicabilità dell’articolo 346 c.p.c., dal momento che non vi sarebbe stata una decisione negativa nel merito.
Un’altra linea di pensiero, proposta da una dottrina minoritaria, suggerisce che l’attore in primo grado abbia rinunciato preventivamente alle domande diverse da quella accettata, con l’effetto che si sia verificata una sorta di “cessazione della materia del contendere” per i convenuti non condannati.L’orientamento che sostiene la riproposizione delle domande non accolte ai sensi dell’art. 346 c.p.c. presenta tuttavia alcune insidie. In primo luogo, la sentenza n. 7700 del 19 aprile 2016 ha respinto chiaramente l’idea che l’art. 346 c.p.c. possa applicarsi alle domande respinte in primo grado. Inoltre, l’orientamento maggioritario della dottrina sembra propendere per l’interpretazione secondo cui le domande contro i convenuti non condannati in primo grado siano state effettivamente respinte nel merito, posizione conforme con le decisioni delle Sezioni Unite n. 11202 del 29 luglio 2002 e n. 7700 del 19 aprile 2016.
Un punto da considerare è che la sentenza di primo grado ha analizzato la situazione di tutti i convenuti, anche se ha emesso una condanna nei confronti di uno solo di essi.
Tra le ulteriori prospettive, ve n’è una alternativa che proporrebbe che l’attore che ha vinto in primo grado non sia tenuto né a presentare un appello incidentale né a riproporre le domande contro gli altri convenuti non condannati ai sensi dell’art. 346 c.p.c.
Secondo questa interpretazione, l’appello presentato dal convenuto soccombente rappresenterebbe l’intera questione controversa che coinvolge tutti i partecipanti al processo. Solo una rivalutazione complessiva delle posizioni di tutti i soggetti consentirebbe di determinare la responsabilità di ciascun convenuto già in prima istanza.
Un’ulteriore considerazione è la competenza del giudice d’appello nell’esaminare la questione nel suo complesso e le decisioni strettamente connesse a quella oggetto di impugnazione. Questo potere potrebbe spiegare l’insorgenza di un litisconsorzio processuale successivo anche nei confronti dei convenuti precedentemente assolti in primo grado, poiché la controversia è divenuta indivisibile.
Inoltre, la prospettiva dell’attore originario, che ha formulato fin dall’inizio la richiesta di accoglimento di una sola delle sue domande, propone che l’accettazione di tale richiesta avrebbe comportato implicitamente il rigetto delle altre domande rivolte agli altri convenuti, in quanto fondate sullo stesso presupposto che ha portato all’accettazione.
Questo ragionamento trova sostegno nel codice di procedura civile, il quale disciplina l’effetto di una riforma o cassazione parziale di una sentenza articolata in diverse parti. In tal contesto, l’accoglimento dell’impugnazione relativa alla parte principale comporterebbe la caducazione anche della parte dipendente, secondo il principio di congiunzione delle sentenze.
Tali considerazioni trovano sostegno anche nella giurisprudenza di legittimità, come dimostrato dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 21691 del 27 ottobre 2016: questa sentenza chiarisce che l’effetto espansivo interno derivante dalla riforma o dalla cassazione parziale della sentenza si applica anche ai capi della pronuncia non impugnati autonomamente ma necessariamente dipendenti da un altro capo impugnato.

Conclusioni

Alla luce delle questioni trattate, la Sezione Lavoro della Cassazione propone di rimettere alle Sezioni Unite la questione riguardante l’obbligo dell’appellato vincitore in primo grado, in presenza di un appello principale del convenuto soccombente nello stesso grado, di presentare un appello incidentale o riproporre ex art. 346 c.p.c. le domande non accolte dal giudice precedente. La questione, considerata di particolare importanza ai sensi dell’art. 374 c.p.c., soddisfa le condizioni per la remissione al Primo Presidente, al fine di valutare l’opportunità di assegnare la trattazione e la decisione del ricorso alle Sezioni Unite civili.

Note

[1] Visione che sembra essere minoritaria nella dottrina

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