La crisi dei “mutui subprime” del 2007 e la successiva crisi finanziaria del 2008, conseguente al fallimento della “Lehman Brother” e delle 120 banche ad essa direttamente o indirettamente collegate, hanno causato gravi conseguenze economiche anche nell’economia reale. Le imprese hanno diminuito la loro liquidità, con tutte le relative conseguenze, nel mancato conseguimento degli utili, nella perdita di fatturato e commesse, ma soprattutto nella difficoltà di pagare i debiti contratti con gli istituti di credito.
Anche i singoli cittadini e le famiglie hanno ridotto il loro reddito, cosi si sono contratti i loro consumi e la propensione al risparmio. Molti cittadini hanno perso il lavoro, causando una sempre minore circolazione di ricchezza tra le classi più deboli.
Tali eventi epocali hanno causato una notevole riduzione, fino alla paralisi, dell’attività economica di una larga parte della popolazione, la quale non è riuscita a pagare i debiti, che aveva contratto con le banche.
Senza qui analizzare le cause di tali eventi, che competono agli analisti economici e finanziari, nel presente contributo vogliamo focalizzare la trattazione di alcuni aspetti giuridici.
Divenuta la situazione finanziaria delle imprese e delle famiglie molto pesante, il Legislatore italiano ha provveduto a promulgare una Legge al fine di proteggere le singole banche, che avevano emesso prestiti, che successivamente i debitori non erano riusciti a ripagare.
Per tali crediti in sofferenza delle banche, il Legislatore italiano ha permesso la loro cartolarizzazione e l’emissione di prestiti obbligazionari da collocare nel mercato, garantendo le banche sulla loro restituzione agli investitori.
A tale scopo il Legislatore ha emesso il decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18, con il quale concede alle banche la possibilità ricevere la garanzia da parte del Ministero dell’Economia e finanze. In esso sono stabilite modalità, termini e condizioni per l’ottenimento di tale beneficio. Tale decreto è diventato la legge 8 aprile 2016 n. 197.
Successivamente con il decreto-legge 25 marzo 2019 n. 22, convertito dalla legge n. 41/2019, tale strumento è stato rinnovato, con alcune modifiche, per ulteriori 24 mesi e poi con successivo, il decreto 18/2016 è stato ulteriormente prorogato fino al 14 giugno 2022.
Tali provvedimenti sono stati emessi con notevoli difficoltà, perché la normativa europea non permette aiuti di Stato sia alle banche, che alle imprese della propria nazione, al fine di non violare le norme sulla concorrenza tra le imprese all’interno dell’Unione europea, sancite agli articoli 107 e 108 del Trattato di Lisbona, approvato in data 13.12.2007, entrato in vigore il 1 dicembre 2009[1].
Tale normativa però pur essendo opportuna dal punto di vista socio economico, a nostro parere essa potrebbe prestarsi ad abusi e ingiustizie manifeste nel campo giuridico, specialmente e come al solito avviene nei confronti i consumatori utenti delle banche.
Il Nuovo correttivo alla crisi di impresa analizza il Decreto Correttivo Ter (D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136) con un commento operativo articolo per articolo. La guida affronta le novità sul Codice della crisi, come la composizione negoziata per superare le crisi aziendali e il potenziamento del ruolo dell’esperto, includendo anche sovraindebitamento e nuovi requisiti per il cram down fiscale.
Come funziona la garanzia
Senza volere approfondire gli aspetti, che non interessano la tutela dell’utente consumatore bancario, con la presente trattazione vogliamo focalizzare il funzionamento di tale fondo e mettere in risalto alcuni aspetti che possono influire le prestazioni del consumatore. Chi volesse approfondire l’argomento in generale rinviamo a chi ha trattato l’argomento.[2]
Al fine di porre rimedio alla notevole quantità di crediti deteriorati, che le banche italiane hanno accumulato dopo la crisi del 2007-2008, dopo una lunga trattativa con le istituzioni europee, si è riusciti a raggiungere un accordo con la quale è stata approvata la normativa di cui al decreto legge decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18 e successive modificazioni e integrazioni.
La normativa all’art. 12 del decreto legge 18/16 prevede la creazione di un fondo finanziato dallo Stato, implementato altresì con successivi apporti del Ministero dell’Economia e Finanze, nonché attraverso versamenti da parte delle banche di premi assicurativi, al fine di garantire i crediti che non erano riusciti a incassare. Il premio assicurativo corrisposto dalle banche viene calcolato in base al prezzo di mercato.
Tale fondo è denominato Gacs (garanzia sulle cartolarizzazioni delle sofferenze) gestito da CONSAP, che è una concessionaria di servizi assicurativi totalmente partecipata dal Ministero dell’Economia e Finanze.
Il fondo creato, a garanzia delle banche, ha lo scopo di ridurre il “bid-ask price spread”, che consiste nella differenza tra prezzo richiesto dalle banche e il prezzo, che gli investitori sono disposti a pagare per il credito in sofferenza.
A tale scopo venivano create specifiche società di recupero crediti (SPV – special purpose vehicle), le quali devono avere la forma di società per azioni o società a responsabilità limitata. Tali società devono occuparsi oltre a recuperare i crediti delle banche, anche a collocare sul mercato titoli obbligazionari al fine di cartolarizzare tali crediti art. 4 DL n. 18/20016.
La normativa prevede tre tipologie di categorie a seconda del rating assegnato da agenzie indipendenti e autorizzate dalla BCE art. 5 DL n. 18/2016.
La prima categoria di crediti denominata “senior” riguarda i titoli che rappresentano i crediti maggiormente esigibili, la seconda denominata “junior”, che si riferisce ai crediti dal “rating” più basso e alla fine i mezzanine, che riguarda i crediti, i quali hanno una prospettiva di esigibilità media.
Una volta emessi tali titoli obbligazionari, gli investitori li acquistavano, fornendo una liquidità al sistema e permettendo la cancellazione di crediti in sofferenza dai bilanci delle Banche italiane, le quali riacquistavano credibilità nei mercati. Le banche avevano l’obbligo di emettere i titoli “senior” , ma soprattutto di piazzare sul mercato almeno il 51 per cento dei titoli “junior”. Tale condizione è necessaria per l’ammissione al fondo Gacs, la quale viene formalizzata attraverso un decreto del Ministero dell’economia e finanze.
La garanzia consiste nella eventuale assunzione del debito da parte del Ministero dell’Economia e Finanze, verso gli obbligazionisti, se alla scadenza dei titoli obbligazionari la “SVP” non riusciva a restituire il debito gli obbligazionisti.
All’Art. 11 del decreto legge 18/16 è previsto che se la SVP non restituisce il debito obbligazionario a partire dal novantesimo giorno dopo la scadenza del titolo, gli investitori potevano escutere la garanzia direttamente dal Ministero dell’Economia e finanze entro e non oltre i nove mesi successivi alla scadenza del titolo. Il Ministero successivamente poteva rivalersi sulle “SVP” traendo dal loro portafoglio di titoli “senior”, poiché essi sono di più facile riscossione.
Tale strumento pur costituendo uno strumento indispensabile per garantire la credibilità delle nostre banche, le quali si liberavano di un grosso fardello di crediti inesigibili iscritto nei loro bilanci, tuttavia dal punto di vista del consumatore, tale normativa potrebbe in molti casi costituire un motivo di squilibrio tra le prestazioni del consumatore e i benefici ottenuti dal sistema bancario. Poiché il sistema bancario, nel suo complesso con le SPV potrebbe, alcuni casi, ricevere più di quanto viene indennizzato dallo Stato.
Mentre gli utenti debitori bancari continuano ad essere debitori per l’intera somma del debito, nonostante la banca fosse stata indennizzata. Tutto ciò non è privo di conseguenze per la vita dell’utente bancario, sia in tema di ipoteche sugli immobili, sia in tema di iscrizione nel registro dei cattivi pagatori, condizionando la possibilità di ottenimento del credito.
Ricorrendo ad un ipotetico esempio semplificato, a fronte di un credito deteriorato di 100, la banca riesce a venderlo per 30 alle società di recupero crediti, dal fondo Gacs viene indennizzata pee la perdita subita di 70. Ma il debitore della banca rimane sempre esposto per l’intera somma 100.
Certamente tale ipotesi è semplificata, poichè la realtà è più complessa, ma tale esempio ha lo scopo di comprendere quello che in alcuni casi potrebbe verificarsi. Vediamo in seguito di analizzare la normativa attinente agli istituti giuridici di riferimento, che potrebbero aiutare l’utente bancario a difendersi da tali iniquità. [3]
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Nuovo correttivo alla crisi di impresa
Il presente volume illustra le novità di interesse per gli operatori del settore delle procedure concorsuali contenute nel c.d. Decreto Correttivo Ter (D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136) al Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza. Il commento operativo articolo per articolo si propone di fornire una guida completa all’interpretazione ed all’applicazione delle rilevanti modifiche apportate al CCII, a breve distanza dalla sua entrata in vigore. Tra le principali novità, l’ampliamento della composizione negoziata della crisi come procedura per il superamento della situazione di squilibrio dell’impresa prima che si arrivi all’insolvenza e il potenziamento del ruolo dell’esperto. Rilevanti interventi riguardano anche la disciplina del sovraindebitamento e del concor- dato minore, aperto al debitore sovraindebitato diverso dal consumatore, e i requisiti più rigorosi per ottenere il cram down fiscale, uno dei punti più significativi della nuova disciplina, con cui il Legislatore risponde all’esigenza di conciliare la tutela delle ragioni dei creditori pubblici ed il superamento della crisi d’impresa. Per agevolare la lettura delle novità è riportato a confronto il vecchio ed il nuovo testo in cui sono evidenziati i cambiamenti operati dal legislatore.
Giorgio Cherubini
Avvocato, ammesso al patrocinio innanzi le giurisdizioni superiori, esercita nel settore del diritto commerciale e della crisi d’impresa. Già Presidente e attualmente socio onorario di INSOL Europe, è Vice Presidente dell’ISIR. Founding Partner dell’Associazione professionale Explegal, ricopre incarichi su nomina del Ministero delle Imprese e del Made in Italy in numerose procedure concorsuali. Già curatore fallimentare presso il Tribunale di Roma, commissario liquidatore su nomina dell’IVASS, è autore di pubblicazioni e relatore in conferenze nazionali e internazionali.
Il principio indennitario
La normativa in questione ovvero il decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18, all’art. 12 prevede la creazione di un fondo presso il Ministero dell’economia e Finanze finanziato dallo Stato, che garantisca il pagamento degli investitori sulla restituzione del prestito obbligazionario non rimborsato alla scadenza dalle SPV cessionarie dei crediti deteriorati cartolarizzati.
L’inquadramento di questa normativa pare facile e senza creare molti problemi, essa può essere considerata un contratto di assicurazioni sul rischio di incapacità di rimborsare i titoli obbligazionari da parte della SPV cessionaria del credito.
Secondo la dottrina e la giurisprudenza, a differenza del risarcimento dei danni, l’indennizzo[4] in genere consiste nella corresponsione di una somma di denaro, la quale viene corrisposta ex lege o da previsione contrattuale, per alcuni danni specifici subiti dal beneficiario.[5]
L’importo corrisposto viene calcolato in virtù di specifiche previsioni di legge e dopo l’avverarsi di precise circostanze. L’indennizzo a differenza del risarcimento dei danni, non mira a ricostruire la situazione precedente che aveva il danneggiato, ma viene stabilito in base a precisi parametri riconosciuti dalla legge, che spesso non corrispondono al valore effettivo del danno subito (es. indennità di esproprio). O da contratto (es. assicurazione rca o infortuni calcolato in base alle tabelle di danno biologico). In alcuni casi il nostro codice prevede che esso venga calcolato nel caso concreto dal giudice.
Il ristoro previsto dal DL 18 del 2016 non si può classificare come risarcimento dei danni, perché esso mira a solamente a ristorare il danneggiato, in questo caso la garanzia dello Stato interviene quando la SPV non riesce a rimborsare i titoli obbligazionari alla scadenza.
Ci si pone a questo punto una domanda: se la SVP è stata indennizzata dallo Stato per il mancato rimborso a favore degli investitori, seguendo in virtù del principio indennitario, può incassare una somma superiore all’indennizzo e allo stesso credito originario?
Abuso del diritto
Pur essendo il comportamento delle banche e delle aziende cessionarie del credito factoring, legittimo e previsto dalla legge, esso diventa contrario alle norme sulla buona fede, che deve regolare in ogni caso i rapporti tra i contraenti.
Per tali fattispecie è prevista la normativa dell’abuso del diritto, che ora andremo ad analizzare.
L’abuso del diritto dal punto di vista filosofico cominciava ad essere individuato già in epoca greca. I filosofi Platone e Aristotele asserivano che la norma deve mirare al raggiungimento dell’equità, quale giustizia nel caso singolo e concreto.[6]
Sulla stessa linea di pensiero durante di governo dell’imperatore Adriano, il celebre giurista Celso affermò che la norma deve mirare a realizzare la giustizia nel caso singolo, ovvero l’equità[7].
Per il diritto romano “l’exceptio doli” era rimedio generale, che poteva proteggere il cittadino da ogni forma di abuso del diritto.
Nella prima stesura del codice civile del 1942 ci fu il tentativo di inserire una norma generale, la quale regolasse l’abuso del diritto. Il progetto del codice del 1942 prevedeva l’art. 7 delle pre-leggi, il quale recitava che “nessuno può esercitare in contrasto con lo scopo per il quale il diritto medesimo gli è stato riconosciuto”.[8] Ma nella stesura definitiva del codice civile del 1942, tale norma però non fu inserita.
Tuttavia il nostro codice non è rimasto del tutto indifferente a tali ipotesi, prevedendo varie specifiche, le quali possono inquadrarsi nell’abuso del diritto.[9]
Anche in ambito di normativa europea l’abuso del diritto trova riconoscimento, per cui il divieto di abusare del diritto è annoverato tra i principi generali dell’ordinamento comunitario ai sensi dell’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea.
Tale riconoscimento trova conferma anche nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (c.d. Carta di Nizza) che, all’art. 54 recita: «nessuna disposizione della presente Corte deve essere interpretata nel senso di comportare il diritto di esercitare un’attività o compiere un atto che miri alla distruzione di diritti e delle libertà riconosciuti nella presente carta o di imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla presente carta».[10]
«L’abuso del diritto non consiste in una violazione in senso formale della norma, ma la sua applicazione alterata del diritto, il quale viene utilizzato per raggiungere scopi estranei e diversi rispetto a quelli che la norma ha previsto. La Corte di Cassazione ha affermato che, per accertare la sussistenza di un abuso del diritto, è necessario verificare la presenza sia dell’elemento oggettivo, consistente nel mancato raggiungimento dell’obiettivo perseguito dalla normativa, sia dell’elemento soggettivo, accertare che lo scopo essenziale dell’attività giuridica sia diversa rispetto allo scopo che vorrebbe perseguire la legge. [11]
Su tale istituto giuridico la giurisprudenza italiana ha emesso una lunga serie di decisioni, le quali hanno fornito una ricostruzione più ordinata alla materia. Non essendo una norma specifica in proposito i giudici della Corte di Cassazione sono ricorsi al principio di buona fede e alle singole e specifiche ipotesi di abuso del diritto previste dal codice civile, il quale ha sanzionato alcuni comportamenti contrari al principio di “neminem ledere”.[12]
Per regolare tali ipotesi la giurisprudenza ha individuato l’art. art. 2 Cost. e l’art. 41 Cost. Tali norme sanciscono un principio generale solidaristico e di buona fede nei rapporti obbligatori e contrattuali.[13]
Se tale principio viene leso si può chiedere il risarcimento dei danni, attraverso al generale ricorso alla responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c..[14]
Tali norme si pongono quali limiti esterni all’esercizio di un proprio diritto. A tale scopo, al fine di bilanciare gli opposti interessi[15] … Secondo l’orientamento di questa Corte, «come si legge nella Relazione al codice civile, (…) “richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore” (ivi, p. 558). Esso opera, quindi, come un criterio di reciprocità che, nel nuovo quadro di valori introdotto dalla Carta Costituzionale, costituisce specificazione degli “inderogabili doveri di solidarietà sociale” tutelati dall’art. 2 cost. (…): la sua rilevanza si esplica nell’imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge».[16]
Il ricorso al principio della buona deve essere considerato come una sorta di controllo effettuato dal giudice ex post, al fine di modificare e/o integrare la volontà contrattuale delle parti per riequilibrare gli interessi in conflitto[17] che sono sanciti direttamente dalla norma dall’art. 2 della Cost. repubblicana.
Ricorrendo ad alcune ipotesi si può affermare che è considerato abuso del diritto per esempio il ricorso abuso della personalità giuridica quando essa costituisca una scappatoia per eludere l’applicazione corretta della legge.[18]
Per esempio la divisione di un credito in più domande giudiziarie da proporsi ad un giudice inferiore per competenza, invece che rivolgersi per l’intero credito ad un giudice di competenza superiore per rispetto per l’intero credito ricorrendo ai principi di buona fede e correttezza (artt. 1175 e 1375 c.c.).[19]Anche se la Cassazione sezioni unite successivamente ritenuto valido il frazionamento del credito, poiché tale frazionamento non sacrifica i diritti di difesa del debitore, il quale rimane colpevole di inadempimento dell’obbligazione contrattuale, mentre è meritevole di tutela la richiesta di parziale del credito.[20]
L’abuso del diritto può esercitarsi anche attraverso il processo, quale strumento di giustizia fondamentale per la convivenza civile: il quale viene utilizzato per fini diversi da quello di ottenere giustizia. [21] Su tale materia ha esercitato ancora una volta un ruolo determinante la giurisprudenza.[22]
Ingiustificato arricchimento
Analizzando l’esempio che abbiamo ripetuto varie volte, possiamo notare, che il debitore subisce una perdita e l’azienda cessionaria del credito un vantaggio economico ingiustificato.
L’azienda cessionaria del credito factoring (SPV), che ha acquistato un credito per 30, in realtà acquisisce un credito nominale di 100. Il debitore nonostante lo Stato abbia indennizzato la SPV per 70 gli rimarrà da pagare sempre un debito di 100, con tutte le conseguenze in tema di ipoteca ed iscrizioni nei registri dei cattivi pagatori.
Una volta indennizzata e soddisfatta la SPV cessionaria, che riceve il pagamento da parte dello Stato il debito obbligazionario, perché il debitore deve pagare il debito di 100? Può la banca insieme all’azienda cessionaria factoring (SPV), ricevere un guadagno superiore a quando è stata indennizzata? Ma soprattutto può il debitore pagare la somma intera del debito per il quale la banca e la SPV è stata interamente indennizzata?
Analizzando la norma scritta nel codice civile all’articolo 2041 esso recita: “Chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona, è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale. Qualora l’arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata colui che l’ha ricevuta è tenuto a restituirla in natura, se sussiste al tempo della domanda[23].
Anche su tale materia esistono nel nostro codice alcune previsioni specifiche che possono essere ricondotte alla norma in generale sull’arricchimento senza giusta causa.[24]
Si può intraprendere l’azione arricchimento senza giusta causa, quando esiste un nesso di causalità tra l’arricchimento di una parte, che ha causato direttamente l’impoverimento dell’altra. Esso deve essere unico e ingiusto, Secondo la dottrina il depauperamento e il conseguente arricchimento può essere anche indiretto, purchè tra i due fenomeni vi sia una relazione storica, l’uno si è verificato perché è esistito l’altro.[25]
Tale azione ha lo scopo di restituire a chi ha perso colui, che ci ha guadagnato senza giusta causa una somma che non spettava, rompendo l’equilibrio delle due prestazioni. Esso può avvenire anche a seguito di diversi atti o fatti giuridici.
L’azione può mirare sia ad ottenere la restituzione in forma specifica, ma se la restituzione è divenuta impossibile (esempio per perimento della cosa), il debitore deve restituire la somma equivalente in denaro.[26]
Il caso del possessore che ha migliorato la cosa del proprietario ha diritto di agire ai sensi dell’art, 1150 per la parte in cui il proprietario si è arricchito. Il diritto del debitore che ha pagato prima della scadenza il proprio debito ha diritto alla restituzione dell’avvenuto arricchimento senza giusta causa.
Per impoverimento viene inteso il danno patrimoniale subito dal soggetto che agisce: che può riguardare la perdita di un bene, nella mancata utilizzazione di esso o nella mancata remunerazione di una prestazione resa ad altri.
Ai sensi dell’art. 2041 ai fini della quantificazione della somma da restituire essa deve corrispondere alla minor somma tra l’arricchimento del soggetto responsabile e l’impoverimento del soggetto che ha subito il danno.[27] Per tale ragione non è prevista la restituzione del lucro cessante[28]
L’arricchimento ingiusto può consistere sia in un incremento patrimoniale, che in un risparmio della spesa dell’arricchito[29]
Tra arricchimento e impoverimento deve esistere un nesso di causalità, e tale arricchimento deve essere senza giusta causa. Secondo la dottrina l’impoverimento deve consistere solo in utilità consistenti in una valutazione economica.[30]
Sull’argomento esistono due tesi opposte una restrittiva e l’altra con una interpretazione estensiva.
Alla tesi restrittiva seguita per lo più seguita più dalla giurisprudenza [31]ne segue un’altra più estensiva, sebbene minoritaria.[32]
Più complessa è l’ipotesi di un arricchimento senza giusta causa nei casi di rapporti trilaterali, in tale caso il legittimato passivo è il beneficiario ultimo.[33]
Secondo l’opinione tradizionale, l’obbligazione di restituire l’arricchimento senza causa presupporrebbe, che quest’ultimo persista nel patrimonio del soggetto responsabile fino al momento della domanda.[34]
Ai sensi dell’articolo 2042 intitolato “sussidiarietà dell’azione”, il quale recita: “L’azione di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un’altra azione per farsi indennizzare dal pregiudizio subito.”
Dalla lettera del 2041 si desume che il ricorso all’ingiustificato arricchimento è un rimedio equitativo, come un rimedio generale e residuale a favore di chi si è impoverito dal rapporto giuridico. Tale azione generale e residuale è esperibile se il danneggiato non ha altro tipo di azioni specifiche.[35]
Secondo le Sezioni unite della Corte di Cassazione 5 dicembre 2023 n. 33954 in ossequio all’art. 2042 del codice civile ha confermato il principio secondo il quale resta precluso l’esercizio dell’azione di arricchimento, in caso l’altra azione possibile sia stata disattesa o caduta in prescrizione o decadenza.
Questo al fine di evitare che l’azione di ingiustificato arricchimento diventi una scappatoia per eludere limiti di altri rimedi e la loro avvenuta prescrizione.[36]
Tuttavia quando il ricorso ad azioni diverse è cumulativo, il ricorso all’azione di ingiustificato arricchimento non è escluso.[37] Tale azione si ritiene che sia possibile anche quando la restituzione non è integrale.[38]
Nella domanda di ingiustificato arricchimento possono essere aggiunti anche gli interessi e la rivalutazione monetaria.[39]
Il diritto all’azione di arricchimento senza giusta causa ai sensi dell’art. 2946 si prescrive in dieci anni [40] e la prescrizione inizia a decorrente nel giorno in cui si è verificato l’avvenuto arricchimento.[41]
Conclusioni
A norma dell’art. 1264 del codice civile, nella cessione del credito, il debitore ceduto può opporre tutte le eccezioni, che avrebbe potuto opporre al cedente, ovvero tutte quelle che riguardano il rapporto originario di credito-debito, quindi sia il pagamento, la nullità, l’annullabilità, che la prescrizione. Tali eccezioni non si estendono al rapporto intercorrente tra chi vende il credito e l’azienda factoring che lo compra, come per esempio la nullità, annullabilità e/o comunque invalidità.[42]
Ripetendo l’esempio che abbiamo adottato nei paragrafi precedenti, vediamo che il debito originario di euro 100, se viene ceduto a 30, il fondo Gags indennizza il debito originario cartolarizzato per l’importo di 70.
Non si capisce perché l’azienda factoring, il cessionario ha facoltà di richiedere un credito di euro originario di 100.
Ritornando all’esempio precedente se ho subito un danno di 100 e vengo indennizzato dal danneggiante per 70, posso chiedere all’assicurazione il pagamento della somma intera del danno di cento? In tale caso io riceverei una somma totale di 170.
In virtù del principio indennitario tale ipotesi produrrebbe un arricchimento da parte del soggetto danneggiato, che sarebbe contrario al principio dettato dalla norma 1882 del codice civile, previsto in caso di contratto assicurativo.
Ma nell’esposizione precedente ci troveremo di fronte ad un evidente abuso del diritto, poiché con tale norma risulta evidente in primo luogo, che il creditore originario viene indennizzato per l’intera somma (nell’esempio precedente 100), l’azienda factoring acquista un per 30 un credito nominalmente realizzabile di 100.
In tale caso l’azienda Factoring (SPV) ha acquistato il credito per 30, avendo ricevuto un indennizzo di 70, potrebbe ricevere un ingiustificato arricchimento di 100, perché tale è il titolo creditorio che la SPV cessionaria può realizzare e talvolta integralmente specie quando il debito dell’utente consumatore bancario è garantito da ipoteca o da fideiussione.
Tale complessa normativa, che permette di sforare le norme sul principio indennitario, pur essendo applicabile formalmente, secondo il principio della buona fede riconosciuto dalla Costituzione agli art. 2 e 41 e nell’art. 1175 del codice civile provoca un ingiustificato arricchimento per l’azienda factoring (SPV), che ha la possibilità di incassare una somma superiore al debito originario di 100 e una perdita del debitore il quale si trova ad avere un debito nominale sempre di 100, nonostante la SPV cessionaria sia stata indennizzata dal Ministero Economia e Finanze.
Vero è che il Ministero può rivalersi sulla SVP cessionaria sui titoli “senior”, ma sta di fatto che il cliente bancario, per il suo debito singolarmente inteso, può pagare una somma dove la SVP ha già ricevuto un indennizzo. Il fatto che tale guadagno può non essere conseguito nel suo complesso dalla SVP, nel rapporto tra le prestazioni cliente ed SVP rimane uno squilibrio tra le due prestazioni.
Sull’argomento le sezioni unite della Corte di Cassazione hanno emesso una sentenza che in virtù del principio indennitario, ha vietato l’accumulo di risarcimento e indennità, fino a all’ingiustificato arricchimento del danneggiato.[43]
Nel caso di fondo Gags, invece l’impoverimento del debitore è evidente e l’arricchimento del duo Banca e azienda (factoring) SPV cessionaria del credito è del tutto ingiustificato giuridicamente, sebbene realizzato attraverso un meccanismo di triangolazione.
La SPV se non comunica che in parte è stata indennizzata dallo Stato per il pagamento del suo credito in sofferenza, si comporta contro i principi di buona fede che devono ispirare i rapporti tra i clienti., in violazione degli articoli 2 e 41 della Costituzione e si espone all’azione di abuso del diritto.
In ogni caso per l’ingiustificato arricchimento nei limiti in cui non sarebbe possibile iniziare un’azione di abuso del diritto come indicata nei paragrafi precedenti, sarebbe possibile esercitare come ultima ipotesi residuale sempre l’azione di ingiustificato arricchimento, per la parte di debito pagato superiore tra quanto indennizzato e il prezzo di realizzo del credito.
In tale caso se il debitore paga 120, per la somma di 20 potrà esercitare l’azione.
Ne può essere invocata la circostanza che il fondo Gags è stato creato per le banche, anche perché i soldi sono della comunità nazionale, per indennizzare le banche per una crisi internazionale, peraltro causata dalle banche stesse. Non si capisce perché di tale fondo anche in via indiretta non ne deve usufruire anche il cittadino e le imprese, in palese violazione dell’art. 3 della Costituzione e dell’art. 42 quale norma che riconosce alla proprietà e non solo quella immobiliare una funzione sociale.
Ma non si escludono neanche azioni di tipo penale, quale truffa ai danni dello Stato. Ma non essendo un penalista. Non voglio entrare in un campo, che non mi è familiare.
Peraltro il mancato pagamento del debito, trova anche un concorso di colpa anche della Banca, la quale ha valutato male la concessione del credito all’utente consumatore, nonostante abbia tanti parametri e tutte le garanzie che riesce ad imporre al debitore, anche in virtù di una responsabilità professionale ai sensi dell’art. 1176 cc.
Inoltre anche il mancato pagamento di un debito può essere visto anche come un fattore di rischio aziendale statistico e per tale ragione la banca sarebbe opportuno che si assicurasse.
Si tratterebbe peraltro di un rischio professionale, che per un’attività così tanto delicata occorrono requisiti molto stringenti.
Note
[1] Senza considerare che, mentre le altre nazioni aiutarono le proprie banche fino al 1 dicembre 2009, data dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il governo italiano aspetterà fino al 2016 per intervenire, con tutti i problemi e le restrizioni che la normativa del trattato europea imponeva.
[2] Federico Onnis Cugia, La garanzia dello Stato per le operazioni di cartolarizzazione di crediti classificati come sofferenze. Profili civilistici e giuseconomici, in Rivista di diritto bancario, dottrina e giurisprudenza commentata, Pubblicazione Trimestrale ISSN: 2279–9737, gennaio – marzo 2018, consultabile in www. Rivista.dirittobancario,it.
[3] Potrebbe sussistere qualche difficoltà per individuare il prezzo pagato per il debito del singolo consumatore, all’interno del gruppo di debiti è stato inserito. Poiché tale debito rientra in una massa informe di debiti della banca senza che possa essere individuato. Tuttavia basta una semplice rapporto di proporzione matematica tra il debito del singolo cliente consumatore, all’interno del complesso dei crediti in cui è stato inserito.
[4] Secondo P. Perlingeri, La responsabilità civile tra indennizzo e risarcimento, ESI in rassegna di diritto civile n. 4 2004, p. 1067, la differenza tra risarcimento e indennizzo si può individuare: «nel diverso criterio della valutazione del danno conseguente ad un giudizio di valore che l’interprete esprime, ritenendo quell’atto gravemente lesivo di un interesse peculiarmente tutelato dall’ordinamento»; si veda anche c. buonauro, Responsabilità da atto lecito dannoso, Milano, 2012, pp. 139 ss. secondo tale autore il risarcimento viene per un danno ingiusto, invece l’indennità si chiede per danni anche per atti e comportamenti leciti. Sul tema dell’indennizzo, si vedano anche P. Perlingeri, La responsabilità civile tra indennizzo e risarcimento, in Rass. dir. civ., 2007, p. 1061; G. Pedrazzi, La parabola della responsabilità civile tra indennità e risarcimento, in Liber amicorum. Dedicato a Francesco Busnelli, Milano 2008, p. 651
[5] A volte la commisurazione di tale indennizzo è rimessa all’apprezzamento del giudice come nel caso di colui che agisce in stato di necessità e per salvare la vita o maggior danno altrui art. 2045 codice civile è causa danno altrui a prescindere che sia stato commesso da un comportamento illecito da parte del debitore, In Giurisprudenza Cassazione civile 23275/ 2010. Si veda anche l’art. 1226 cc Cassazione civile n. 25051 del 2020.
[6] Platone filosofo e politico Greco nato ad Atene tra il 427 e il 428 morto ad Atene tra il 347 e il 348. Si veda L. Brisson, La bibliografia platoniva dal 2000 al 2014; Omia Platonis Opera. Venise 1534; Platone opere complete a cura di G. Giannantoni, Laterza , Roma Bari 1982 1984 (vol 9); Aristotele, filosofo greco, nato a Stagira 384 AC e morto a Calcide 322, si veda Diogene Laerzio , Vita e dottrine dei più celebri filosofi, Bompiani Milano 2006; La metafisica a cura di R. Borghi, Milano F.lli Bocca 1942; Etica Nicomachea a cura di C. Mazzarelli, Milano Rusconi 1979.
[7] Publio Giuvenzio Celso tra il 67 e il 130 dC. Durante l’imperatore Adriano era componente del Consilium principis di Adriano. SI veda G. Scherillo e A. Dell’Oro, Manuale di Storia del diritto romano ed. Cisalpino; E. Alison Cooley, The Cambridge Manual of Latin epigraphy, Cambridge University press 2012.
[8] Tali norme sono previste nel codice di procedura civile Francese art. 32, comma 1; nel codice civile Svizzero all’art. 2 entrato in vigore 1.1.2011; e codice civile tedesco ci sono vari richiami espliciti di abuso del diritto agli artt.226-242-262 e 826.
[9]Si vedano gli artt del codice civile n. 330; n. 1015 ; n. 2793; n. 1059, comma 2; n. 1993, comma 2. Cosi pure gli artt. 1175 e 1375.
[10] C.G.U.E., 05 luglio 2007, causa C-321/05: «l’art. 11, n. 1, lett. a), che richiama la Direttiva 90/434, la quale vieta l’abuso del diritto. “I singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme di diritto comunitario”. Si vedano anche: C.G.U.E., 21 febbraio 2006, causa C-255/02; C.G.U.E., 9 marzo 1999, causa C-212/97.
[11] Si veda: Cass., sez. III, 18 settembre 2009, n. 20106.
[12] In dottrina si vedano: U. NATOLI, Note preliminari ad una teoria dell’abuso del diritto nell’ordinamento giuridico italiano, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, 37 ss.; P. RESCIGNO, L’abuso del diritto, Bologna, 1998, 13 ss.; S. ROMANO, Abuso del diritto, in Enc. del diritto, I, Milano, 1958, 168 ss.; S. PATTI, Abuso del diritto, in Dig. Disc. Priv., Torino, 1987, 2 ss.; D. MESSINETTI, Abuso del diritto, in Enc. del diritto, Aggiorn. II, Milano,1998, 1 ss.; C. SALVI, Abuso del diritto. I) Diritto civile, in Enc. giur., I, Roma, 1988; S. Patti, voce Abuso del diritto, in Dig., disc. Priv., sez. civ., I, Torino, 1987, pp. 22 ss. M. Fornaciari, Note critiche in tema di abuso del diritto e del processo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2, 2016, pp. 592 ss.
[13] Già la Corte di Cassazione Civile nella sentenza del 15.2.2007 n. 3462, sottolineava che i principi di buona fede oggettiva o correttezza erano obblighi, inderogabili, quali doveri di solidarietà sociale” ai sensi dell’art. 2 Cost. Cosi pure cosi pure gli artt. 1175 e 1375 c.c. a norma dei quali, i contraenti nei loro rapporti devono entrambi comportarsi secondo buona fede e correttezza.
[14] Si veda, in particolare, S. Patti, (voce) Abuso del diritto, in Digesto disc. priv. Cosi pure: F. Galgano, Il dovere di buona fede e l’abuso del diritto, in Manuale di dir. civ. e comm., I vol., 497.
[15] In tal senso Cass. 12.12.2005 n. 27387
[16] Fondamentale, a riguardo, Cass., sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726; M. F. Ghirga, La meritevolezza della tutela richiesta, Giuffré editore, 2004. In giurisprudenza si vedano: Cass. Civile n. 20399 del 2004; Id. n. 14605 del 2004; Id. n. 5240 del 2004
[17] Cass. civ. 18 settembre 2009, n. 20106; Id. 20 aprile 1994, n. 3775.
[18] Si veda: Cass. Civ. 16.5.2007 n. 11258.
[19] Si afferma, infatti, che il citato comportamento del creditore arreca al debitore un “pregiudizio, non giustificato da un interesse oggettivamente apprezzabile e meritevole di tutela del creditore” (Cass. 6900/97 ; Cass. 7400/97 ; Cass. 11271/97).
[20] Cass. Civ, sent. 10/4/2000 n. 10818.
[21] Più recentemente invece la Cass., sez. III, 17 marzo 2021, n. 7409 ha deciso: «Se il debitore ha l’obbligo di adempiere puntualmente la propria obbligazione (imposto dall’art. 1176 c.c.), il creditore ha quello non meno cogente (imposto dall’art. 1175 c.c.) di collaborare col creditore per facilitarne l’adempimento; di non aggravare inutilmente la sua posizione; di tollerare quei minimi scostamenti nell’esecuzione della prestazione dovuta che siano insuscettibili di arrecargli un apprezzabile sacrificio. Il creditore il quale, violando tali precetti, introduca un giudizio vuoi di cognizione, vuoi di esecuzione, il quale altro scopo non abbia che far lievitare il credito attraverso la moltiplicazione di spese di esazione esose ed evitabili, compie un abuso del processo, il quale comporta l’inammissibilità della domanda sia in sede di cognizione, sia in sede di esecuzione, sia in sede di impugnazione». In dottrina si vedano: M. F. Ghirga, Abuso del processo, op. cit., p. 17; E.M. Catalano, L’abuso del processo, Milano, 2004; L.P. Comoglio, Abuso del processo e garanzie costituzionali, in Riv. dir. proc., 2008, p. 319 ss.; F. Cordopatri, L’abuso del processo, II, Diritto positivo, Padova, 2000; M. F. Ghirga, La meritevolezza della tutela richiesta. Contributo allo studio sull’abuso della domanda giudiziale, Milano, 2004; Id., Abuso del processo e sanzioni, Milano, 2012.
[22]La sezione III della Corte di Cass. Nella sentenza del 17 marzo 2021, n. 7409, afferma: «Il creditore che introduca un giudizio di cognizione o inizi una procedura esecutiva senza altro scopo che quello di far lievitare il credito, attraverso la moltiplicazione di spese di esazione esose ed evitabili, viola l’obbligo di correttezza di cui all’art. 1175 c.c. che gli impone di cooperare con il debitore per facilitarne l’adempimento, di non aggravarne la posizione e di tollerare quelle minime inesattezze della prestazione che siano insuscettibili di recargli un apprezzabile sacrificio; ne consegue l’inammissibilità della domanda che presenti tali caratteristiche, integrando la detta condotta abuso del processo»; Allo stesso modo la Corte di Cass., sez. II, 29 novembre 2019, n. 31308 afferma: «Non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in virtù di un unico rapporto obbligatorio, frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, poiché tale scissione del contenuto dell’obbligazione si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, sia con il principio costituzionale del giusto processo (nella specie, un avvocato, dopo essere stato revocato come legale, il cui mandato gli era stato conferito da una banca senza che gli venissero corrisposti i compensi spettanti, aveva proposto tanti gravami per ottenere vari decreti ingiuntivi relativi ai distinti crediti riguardanti le diverse prestazioni professionali svolte nell’interesse della banca
[23] Sull’ingiustificato arricchimento si vedano Albanese, A., Ingiustizia del profitto e arricchimento senza causa, Padova, 2005; Andreoli, G., L’ingiustificato arricchimento, Milano, 1940; Astone, F., L’arricchimento senza causa, Milano, 1999; Barbiera, L., L’ingiustificato arricchimento, Napoli, 1964; Bianca, C.M., Diritto civile, V, La responsabilità, II ed., Milano, 2012; Breccia, U., L’arricchimento senza causa, in Tratt. dir. priv. Rescigno, IX, 1, Obbligazioni e contratti, II ed., Torino, 1999, 911; Carusi, D., Le obbligazioni nascenti dalla legge, in Tratt. dir. civ. C.N.N., diretto da Perlingieri, Napoli-Roma, 2004; Castronovo, C., La nuova responsabilità civile, III ed., Milano, 2006; Di Paola, S.-Pardolesi, R., Arricchimento: I) Azione di arricchimento – dir. civ., in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988; D’Onofrio, P., Arricchimento senza causa, in Comm. c.c. Scialoja – Branca, Bologna-Roma, 1981; Gallo, P., L’arricchimento senza causa, Padova, 1990; Gallo, P., Arricchimento senza causa e quasi contratti (i rimedi restitutori), in Tratt. dir. civ. Sacco, Torino, 1996; Giannini, M.S., Le obbligazioni pubbliche, Roma, 1964; Mori-Checcucci, U., L’arricchimento senza causa, Firenze, 1943; Moscati, E., Fonti legali e fonti “private” delle obbligazioni, Padova, 1999; Moscati, E., Studi sull’indebito e sull’arricchimento senza causa, Padova, 2012; Nicolussi, A., Lesione del potere di disposizione e arricchimento, Milano, 1998; Panza, G., L’antinomia fra gli artt. 2033 e 2035 c.c. nel concorso fra illegalità e immoralità del negozio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1971, 1174 ss.; Romano, S.A., Indebito arricchimento nel diritto amministrativo, in Dig. pubbl., VIII, Torino, 1993, 208; Sacco, R., L’arricchimento ottenuto mediante fatto ingiusto, Torino, 1959; Sangiorgi, S., Giusta causa, in Enc. dir., XIX, Milano 1970, 587; Schlesinger, P., Arricchimento (azione di), in Nss. D.I., I, 2, Torino, 1958, 1004; Sirena, P., Note critiche sulla sussidiarietà dell’azione generale di arricchimento senza causa, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, 105; Pietro Sirena, Arricchimento ingiustificato, in diritto on line 2016; Tomei, R., L’ingiustificato arricchimento nei confronti della Pubblica Amministrazione, Torino, 2000; Trabucchi, A., Arricchimento – b) Diritto civile, in Enc. dir., III, Milano, 1958, 64; Vela, A., Arricchimento: II – Azione di arricchimento nei confronti della Pubblica Amministrazione, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988.
[24] In tema di ingiustificato arricchimento il nostro codice a differenza che sull’abuso del diritto prevede una norma di chiusura generale, anche se prevede alcune ipotesi particolari: articolo 1443); (articolo 1769). E anche delle ipotesi in materia di proprietà si vedano gli artt. 935 comma 1 e 936 comma 2, 937 comma 3, 939 comma 2 e 3, 940.
[25] ; Trabucchi, A., Arricchimento – b) Diritto civile, in Enc. dir., III, Milano, 1958, 64 e ss.
[26] In giurisprudenza si veda Cass., 30.5.2000, n. 7194, in Foro it., 2001, I, 570. Sulla mancata sussistenza tandundem in dottrina si vedano: Schlesinger, P., Arricchimento, cit., 1008; Carusi, D., Le obbligazioni nascenti dalla legge, in Tratt. dir. civ. C.N.N., diretto da Perlingieri, Napoli-Roma, 2004, 362
[27] Cass., 26.6.2001, n. 8752.
[28] Trabucchi, A., Arricchimento, cit., 71 e 72 s; l’opinione contraria è seguita anche dalla giurisprudenza amministrativa: Cons. St., ad. pl., 23.2.2000, n. 12; cosi pure: Cass., 27.2.2002, n. 2884, in Contratti, 2002, 982.
[29] Schlesinger, P., Arricchimento, cit., 1007, aggiunge anche le spese voluttuarie se hanno conseguito un incremento cosi pure: (Bianca, C.M., Diritto civile, V, La responsabilità, II ed., Milano, 2012, 826, nt. 15.
[30] Schlesinger, P., Arricchimento (azione di), in Nss. D.I., I, 2, Torino, 1958, 1007).
[31] Cass., S.U., 8.10.2008, n. 24772, in Nuova giur. civ. comm., 2009, I, 368 ss.; Cass., 24.9.2015, n. 18878, in Giur. it., 2015, 2567), in dottrina (Schlesinger, P., Arricchimento, cit., 1008)
[32] , ritiene ammissibile anche una causalità indiretta, purché tra i due eventi si rinvenga una relazione di necessità storica, nel senso che si possa dimostrare che l’uno non si sarebbe verificato senza il manifestarsi dell’altro (Trabucchi, A., Arricchimento – b) Diritto civile, in Enc. dir., III, Milano, 1958, 72; Barbiera, L., L’ingiustificato arricchimento, Napoli, 1964, 248).
[33] Cass., 22.5.2015, n. 10663
[34] D’Onofrio, P., Arricchimento senza causa, in Comm. c.c. Scialoja – Branca, Bologna-Roma, 1981, 589-590; Trabucchi, A., Arricchimento, cit., 73). Contra (Barbiera, L., L’ingiustificato arricchimento, cit., 301-306) che fa riferimento ai lavori preparatori del codice civile del 1942.
[35] Cass. n. 12242/2016; Cass. n. 20528/2017; Cass. n. 8694/2018; Cass. n. 29988/2018; Cass. n. 4909/2023). (Cass. n. 4620/2012; Cass. n. 4765/2014; Cass. n. 27827/2017; Cass. n. 843/2020). In dottrina Paolo Franceschetti Arricchimento senza causa in AltalexPedia, voce agg. al 12/05/2016.
[36] Cass. 18502/2003 e 6205/2013; In dottrina Si veda il commento di Fabio Magistro, Arricchimento senza causa: domanda proponibile se la diversa azione è carente ab origine del titolo giustificativo, Pubblicato il 14/12/2023, consultabile in www.altalex.com; (Trimarchi, P., L’arricchimento senza causa, cit., 40).
[37] (cfr. Castronovo, C., La nuova responsabilità civile, III ed., Milano, 2006, 650),
[38] (Castronovo, C., La nuova responsabilità civile, cit., 652, il quale qualifica tuttavia tale concorso di azioni come cumulativo). (Bianca, C.M., La responsabilità, cit., 834, nt. 42; Schlesinger, P., Arricchimento, cit., 1006; Trimarchi, P., L’arricchimento senza causa, cit., 4; (Sirena, P., Note critiche sulla sussidiarietà dell’azione generale di arricchimento senza causa, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, 117; Albanese, A., Ingiustizia del profitto e arricchimento senza causa, Padova, 2005, 412);
[39] Suprema Corte di Cassazione, con Ordinanza n. 28930 del 05/10/2022
[40] In giurispreudenza si veda:Cass., 9.11.1993, n. 11061, in Rass. avv. Stato, 1994, I, 108,
[41] Cass., 15.5.2009, n. 11330, in Corr. giur., 2010, 72.
[42] Cassazione civile, sez. II 6 agosto 1999 n. 8485; Cass. Civ. 5 febbraio 1988 n. 1257
[43] “Corte di Cassazione Sez. Unite sentenza n. 12565 del 22.5.2018