Frazionamento indebito delle pretese creditorie: improponibilità della domanda?

Con l’ordinanza interlocutoria n. 3643 del 2024 della I sezione civile, emerge la necessità di determinare se il frazionamento indebito delle pretese creditorie, senza valide giustificazioni fornite dal creditore, debba comportare la sanzione dell’improponibilità della domanda. Tale improponibilità potrebbe concretizzarsi nella perdita del diritto sostanziale, specialmente quando diventa impraticabile agire senza frazionamento a causa di una decisione definitiva su un’altra parte della pretesa. Ciò potrebbe rendere definitiva l’assegnazione del credito relativo a una parte separata del pagamento, impedendo la riunione dei diversi procedimenti. 

Corte di Cassazione, sez. I civ. ord. n. 3643 del 08-02-2024

La questione

La Corte d’Appello di Napoli ha confermato la decisione del Tribunale di Napoli su un’opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dal Centro Flegreo contro l’A.S.L. di Napoli per il pagamento delle prestazioni sanitarie. La Corte ha stabilito che la richiesta di diversi decreti ingiuntivi per mensilità scadute costituiva una suddivisione ingiustificata del credito, senza valide ragioni o un interesse tangibile alla tutela giudiziaria separata, in linea con i principi delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Il Centro Flegreo ha contestato la decisione sostenendo che le critiche fossero state sufficientemente espresse e che le ragioni per la presentazione separata dei ricorsi non fossero state considerate. Inoltre, ha contestato l’interpretazione del giudice d’appello riguardo alla parcellizzazione del credito, proponendo una correzione anziché considerare automaticamente inammissibile la richiesta.
La Corte d’Appello ha esaminato dettagliatamente il motivo di impugnazione avanzato dal Centro Flegreo riguardante la presunta errata sentenza di primo grado, che aveva dichiarato inammissibile la domanda a causa del frazionamento indebito di due crediti relativi a prestazioni sanitarie, presentati attraverso due distinti procedimenti monitori
La Corte d’Appello ha concluso che il frazionamento non era giustificato e che il creditore non aveva fornito elementi sufficienti per sostenerlo, facendo riferimento alla giurisprudenza sia di legittimità che di merito. Di conseguenza, la Corte d’Appello ha respinto il motivo di appello del Centro Flegreo, vista la “mancanza di specifiche ragioni che giustificassero il frazionamento del credito da parte del creditore o un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata”.

Abuso del processo nel frazionamento delle richieste creditorie

Particolare importanza assume l’analisi del secondo motivo di ricorso, che riguarda la decisione impugnata. Quest’ultima ha impedito la possibilità di presentare, in via separata, la domanda monitoria del Centro Flegreo relativa ad una mensilità, a causa della presentazione di un altro decreto ingiuntivo separato per un’altra mensilità dello stesso anno al Tribunale di Napoli.
La questione è in definitiva legata agli effetti derivanti dall’abuso del processo mediante la suddivisione delle richieste creditorie in differenti procedimenti giudiziari.
La questione è stata affrontata dall’ordinanza interlocutoria n. 25973/2023: in questa occasione, è emerso un contrasto tra la sentenza emessa dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite n.  23726/2007 e l’ordinanza più recente n. 8184 del 2023, emessa dalla stessa Sezione in relazione a una simile controversia.
I principi stabiliti dalla Corte di Cassazione in materia di frazionamento abusivo del credito, concernenti lo stesso rapporto di durata e fatto costitutivo, rappresentano un punto di riferimento nel diritto processuale civile. La sentenza n. 23726/2007, successivamente confermata dalla Cassazione con la pronuncia n. 26961/2009, ha chiarito che non è legittimo per il creditore suddividere in più richieste giudiziali di adempimento una somma di denaro dovuta in virtù di un unico rapporto obbligatorio. Tale prassi, oltre a violare i principi di correttezza e buona fede che devono caratterizzare il rapporto tra le parti, costituisce anche una violazione del principio costituzionale del giusto processo.
In seguito, le Sezioni Unite hanno specificato questi principi con le sentenze nn. 4090 e 4091/2017, stabilendo che, sebbene sia possibile proporre domande relative a diversi diritti di credito in processi separati, quando queste pretese derivino da uno stesso rapporto di durata tra le parti e siano inscrivibili nello stesso creditore, il giudice deve valutare se esista un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata.
Il frazionamento del credito, che sia contemporaneo o distribuito nel tempo, è sussumibile in una pratica contraria ai principi di correttezza e buona fede che devono governare il rapporto tra le parti, sia durante l’esecuzione del contratto che in fase di azione legale per ottenere l’adempimento. Inoltre, tale frazionamento è in contrasto con il principio costituzionale del giusto processo, rappresentando un abuso degli strumenti processuali offerti dal sistema giuridico.[1]
Le Sezioni Unite hanno stabilito che le richieste relative a diversi diritti di credito, pur riguardando uno stesso rapporto di durata tra le parti, possono essere separate in distinti procedimenti finché non siano, sostanzialmente, collegate dallo stesso fatto costitutivo, rendendo così impossibile una valutazione separata senza duplicare l’attività istruttoria e disperdere la conoscenza della stessa vicenda sostanziale. Solo in questo caso, le richieste possono essere avanzate in giudizi separati, a condizione che vi sia un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata da parte del creditore.
Recentemente, è stato chiarito che tale interesse deve essere interpretato considerando due aspetti: il concetto di “medesimo rapporto di durata” deve essere inteso in senso storico e fenomenologico, identificando la relazione effettiva tra le parti nella specifica controversia; l’espressione “medesimo fatto costitutivo” implica una similitudine, non una completa identità. La soluzione di improponibilità non ha autorità di cosa giudicata sostanziale e, quindi, non impedisce al creditore di riproporre la questione in giudizio, eventualmente aggregando le altre richieste relative a crediti analoghi derivanti dalla stessa relazione tra le parti. [2] Rispetto al frazionamento abusivo, vi sono due orientamenti opposti. La sentenza Cassazione n. 8184/2023, richiamando alcuni precedenti relativi alla stessa questione tra le stesse parti, si è allineata con l’orientamento che esclude l’improponibilità della domanda, stabilendo che la condotta abusiva debba essere sanzionata solo sul piano del regime delle spese processuali. Questa posizione è stata sostenuta anche da precedenti giurisprudenziali, secondo i quali l’abuso non dovrebbe portare all’inammissibilità dei ricorsi, poiché l’illegittimità non risiede nell’accesso allo strumento processuale in sé, ma nella modalità del suo utilizzo. Di conseguenza, si rende necessaria l’eliminazione degli effetti distorsivi derivanti dall’abuso, con una valutazione dell’onere delle spese come se il procedimento fosse stato unico sin dall’inizio.
Siffatto orientamento ha chiarito che si tratta di un vizio di natura processuale, come stabilito dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Infatti, le sentenze della Cassazione n. 22798/2022 e Cassazione n. 22797/2022 hanno ribadito che le regole processuali devono essere sorrette da un fine legittimo e rispettare un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi utilizzati e lo scopo perseguito. Pertanto, l’improponibilità delle domande separate relative a diritti di credito distinti maturati all’interno di uno stesso rapporto di durata non deve essere considerata una mera sanzione dell’abuso iniziale, poiché ciò impedirebbe alla parte coinvolta di far valere la sostanza della sua lite davanti all’autorità giudiziaria competente, violando così il principio del giusto processo.
In particolare, la sentenza della Cassazione n. 19054/2023 ha sottolineato che il meccanismo contrattuale non può giustificare l’uso di azioni monitorie separate per ogni frazione del credito mensile, poiché le successive verifiche potrebbero comportare una spesa eccessiva di risorse giudiziarie. Tale orientamento si allinea con la giurisprudenza di legittimità che non permette di considerare sussistente la capacità di agire di chi è autore di un comportamento processuale abusivo, determinando l’improponibilità della richiesta sul piano processuale.

Il contrasto giuridico

Il contrasto riguardante la proponibilità della pretesa creditoria attraverso un frazionamento indebito affonda le sue radici nelle pronunce delle Sezioni Unite della Cassazione, n. 23726/2007, 4090 e 4091/2017. Chi sostiene la soluzione dell’improponibilità si basa sull’interpretazione della sentenza n. 23726 del 2007, partendo dal presupposto che l’abuso del processo impedisca l’esame della domanda, rendendola non procedibile. Anche se la sentenza non affronta esplicitamente la sorte della domanda, si deduce che essa sia considerata improponibile in ciascuna delle cause in cui è stata frazionata.
Pertanto, secondo questa interpretazione, l’offesa ai valori costituzionalmente protetti come il giusto processo richiede una sanzione che vada oltre la mera disciplina delle spese di giudizio, arrivando al rifiuto della tutela giurisdizionale richiesta, senza alcuna valutazione del merito della domanda stessa.
Di recente, la Corte Suprema, nel caso specifico di Cass. n. 35980/2022, è tornata ad analizzare l’abuso del diritto di azione nel contesto del frazionamento indebito delle domande relative allo stesso credito: il problema principale di questa strategia processuale sta nel modo in cui si cerca la tutela giurisdizionale del diritto in questione, ovvero attraverso la proliferazione di azioni giudiziarie mirate a questo scopo. Ciò determina un duplice danno: da un lato, impone al debitore un sacrificio eccessivo in termini di spese e oneri processuali rispetto alle reali necessità di tutela del creditore; dall’altro, mina il corretto funzionamento dell’amministrazione della giustizia, aumentando il rischio di giudicati contraddittori. Per questi motivi, in tali circostanze, la Corte ha sottolineato l’importanza che il giudice emetta una pronuncia declinatoria di rito senza neanche valutare la validità effettiva del diritto azionato, a meno che il creditore non dimostri di avere un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata delle sue pretese.
In sostanza, secondo un approccio più rigido, ispirato alla giurisprudenza delle Sezioni Unite, l’introduzione del concetto di abuso del processo per il frazionamento indebito del credito mira a tutelare gli interessi sia del debitore che dell’efficienza della giustizia. In questa visione, la Corte europea dei diritti dell’uomo, come nel caso Ferrara e altri c. Italia del 8 giugno 2023, ha respinto i ricorsi promossi da difensori che avevano avviato varie procedure, richiamando esplicitamente le decisioni delle Sezioni Unite sulla questione del frazionamento dei crediti in più procedimenti giudiziari e condannando tale condotta come abusiva.
D’altra parte, c’è un orientamento meno restrittivo, come quello sostenuto dalla Cassazione n. 8184/2023, che ammette la proponibilità della domanda di credito relativa a un rapporto negoziale continuativo. Questa visione attribuisce un peso differente alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in merito all’accesso alla giustizia e alla tutela prevista dall’articolo 6 CEDU.
In conclusione, dal contrasto emerge la necessità determinare se il frazionamento indebito delle pretese creditorie, senza giustificazioni valide fornite dal creditore, debba comportare la sanzione dell’improponibilità della domanda. Tale improponibilità potrebbe portare alla perdita del diritto sostanziale, soprattutto quando diventa impossibile agire senza frazionamento a causa dell’esistenza di una decisione definitiva su un’altra parte della pretesa.

La richiesta di risoluzione del contrasto alle Sezioni Unite

Alla luce di queste considerazioni e del rilevato contrasto, i giudici della I sezione civile sollevano la questione al Primo Presidente affinché la stessa venga deferita alle Sezioni Unite civili. Nell’ambito di tale valutazione, sottolineano la necessità di considerare se l’effetto processuale derivante dal divieto di frazionamento, considerato improponibile, sia equo, proporzionato e ragionevole, soprattutto alla luce della giurisprudenza convenzionale. In particolare, si valuta se il divieto potrebbe dare al convenuto un vantaggio ingiustificato e se potrebbe comportare una perdita del diritto sostanziale per il creditore, soprattutto nella parte non coperta dai danni derivanti dall’azione giudiziaria avversaria. Un altro aspetto rilevante è rappresentato dalla sanzione delle spese processuali, che potrebbe essere considerata come un mezzo per sanzionare l’abuso del processo senza compromettere in modo irreversibile e definitivo i diritti sostanziali e il diritto di accesso alla giustizia, come suggerito da autorevoli dottrine del passato. Si valuta attentamente anche il bilanciamento degli effetti multipli derivanti dalla duplicazione indebita delle domande, sia per il debitore che per l’efficienza e la funzionalità dell’amministrazione della giustizia. Inoltre, si esamina l’efficacia dei meccanismi correttivi in termini di spese processuali, come indicato dalla sentenza Cassazione n.8184/2023, e si valuta l’utilizzo di strumenti alternativi nel caso si decida di escludere l’improponibilità della domanda, al fine di garantire un equilibrio ragionevole e giusto nel sistema giudiziario.
Inoltre, la necessità di chiarire la questione è strettamente correlata alla complessità del tema dell’abuso del diritto, specie nell’ambito processuale. Mentre a livello europeo e convenzionale l’abuso del diritto è  interpretato come il divieto di comportamenti, soprattutto processuali, che ledono i diritti fondamentali, come il giusto processo, a livello nazionale questo concetto ha sempre mancato di disposizioni chiare di rango costituzionale o primario che ne indichino n modo esaustivo le implicazioni.
Attualmente, l’ordinamento non offre chiare linee guida su come affrontare l’abuso del processo, dunque, è necessario trovare un equilibrio per proteggere, da un lato i diritti delle parti coinvolte e dall’altro, prevenire comportamenti scorretti. Nel diritto costituzionale che ordinario, non c’è un diritto fondamentale che sia più importante degli altri, quindi non può esserci un concetto di “abuso tiranno” che limiti eccessivamente i diritti delle persone coinvolte.
Fatte queste premesse, i giudici ermellini hanno ritengono opportuno deferire il procedimento al Primo Presidente affinché valuti se sia necessario sottoporre alla decisione delle Sezioni Unite.

Note

[1] Questi principi sono stati ribaditi in numerose pronunce della Corte di Cassazione, tra cui Cass. n. 19898/2018, Cass. n. 15398/2019, Cass. n. 26089/2019, Cass. n. 9398/2017 e Cass. n. 17019/2018

[2] Cfr.  Cass. n. 24371/2021 e n. 26493/2023

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