
Con la sentenza n. 68 del 2025, la Corte Costituzionale italiana è intervenuta su un terreno giuridico e sociale di particolare sensibilità, rimuovendo un rilevante ostacolo normativo che negava, fin dalla nascita, il riconoscimento dello status filiationis alla madre intenzionale in una coppia omogenitoriale. La decisione colpisce al cuore la rigidità dell’art. 8 della legge n. 40 del 2004, dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che anche il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all’estero, secondo le leggi ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA), sia riconosciuto come figlio anche della donna che, unitamente alla madre biologica, abbia espresso il consenso preventivo e condiviso alla genitorialità.
La pronuncia segna un momento di svolta nel cammino verso il riconoscimento pieno dei diritti dei minori nati all’interno di coppie omosessuali femminili, ed è destinata a produrre un effetto sistemico sul diritto di famiglia, incentrando la riflessione giuridica su un principio fondamentale: non è il dato biologico a costituire necessariamente la base della responsabilità genitoriale, bensì la volontà condivisa e consapevole di assumere l’impegno alla cura, educazione e crescita di un figlio.
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I nuovi procedimenti di famiglia
L’opera, dal taglio agile ed operativo, si propone di offrire al professionista una guida ragionata per gestire le fasi cruciali del contenzioso familiare, così come novellato dalla cd. “Riforma Cartabia”, concentrandosi su quattro temi nodali: atti introduttivi, prima udienza, fase istruttoria, cumulo delle domande di separazione e divorzio. L’obiettivo è quello di fornire agli operatori del diritto una “bussola giuridica e processuale” per orientarsi tra le novità legislative e i risvolti applicativi, senza trascurare gli orientamenti giurisprudenziali. Il volume, aggiornato al D.Lgs. 164/2024, che apporta alcuni correttivi alla Riforma Cartabia, può contare su un approccio sistematico, concreto e innovativo, grazie all’apporto delle Autrici, avvocate e magistrate, le quali hanno partecipato alla redazione della Guida in una sorta di dialogo interdisciplinare, individuando gli argomenti processuali e sostanziali salienti nella materia, permettendo, altresì, di mettere a fuoco anche eventuali orientamenti e prassi virtuose.
Ida Grimaldi,
Avvocato cassazionista, esperta in materia di diritto di famiglia e tutela dei minori, lavoro e discriminazioni di genere. È docente e relatrice in numerosi convegni nazionali, dibattiti e corsi di formazione. Autrice e curatrice di diverse opere in materia di diritto di famiglia e minorile, lavoro e pari opportunità, scrive per numerose riviste giuridiche ed è componente del Comitato Scientifico della rivista “La Previdenza Forense”, quadrimestrale della Cassa di Assistenza e Previdenza Forense.
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Ida Grimaldi, 2025, Maggioli Editore
24.00 €
22.80 €

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Ida Grimaldi,
Avvocato cassazionista, esperta in materia di diritto di famiglia e tutela dei minori, lavoro e discriminazioni di genere. È docente e relatrice in numerosi convegni nazionali, dibattiti e corsi di formazione. Autrice e curatrice di diverse opere in materia di diritto di famiglia e minorile, lavoro e pari opportunità, scrive per numerose riviste giuridiche ed è componente del Comitato Scientifico della rivista “La Previdenza Forense”, quadrimestrale della Cassa di Assistenza e Previdenza Forense.
La vicenda da cui scaturisce la pronuncia
La questione è stata sollevata dal Tribunale di Lucca nel giugno 2024, nell’ambito di un procedimento di rettificazione dello stato civile avviato dalla Procura. Quest’ultima aveva chiesto la cancellazione del nome della madre intenzionale dall’atto di nascita di un minore nato in Italia, a seguito di PMA praticata all’estero da una coppia di donne. Il Tribunale, riscontrando un contrasto tra la normativa vigente e i principi costituzionali, ha investito la Corte con un’articolata questione di legittimità, coinvolgendo non solo gli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, comma 1, della Costituzione, ma anche una fitta trama di fonti sovranazionali, dalla CEDU alla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo.
In particolare, è stato denunciato il vulnus che l’attuale assetto normativo determina nei confronti dei bambini nati da una volontà procreativa condivisa tra due donne: questi minori, infatti, rischiano di non vedere riconosciuta la propria condizione familiare e affettiva in termini giuridici, restando figli di una sola madre – quella biologica – ed escludendo qualsiasi diritto derivante dal legame con la madre intenzionale, se non attraverso un percorso successivo e incerto di adozione in casi particolari.
Volontà procreativa e responsabilità: il mutamento del paradigma
Nel cuore della pronuncia si colloca l’elaborazione giurisprudenziale di un principio ormai consolidato: nella procreazione assistita, la genitorialità non si fonda soltanto sull’elemento biologico, ma anche e soprattutto sull’assunzione di una responsabilità volontaria. È la volontà consapevole e informata, espressa attraverso il consenso alla PMA, a determinare il legame giuridico con il nato.
La Corte richiama una giurisprudenza che si è andata stratificando negli anni – dalla sentenza n. 162 del 2014, alla n. 230 del 2020, fino alla recente n. 127 del 2020 – che ha riconosciuto il valore fondante del consenso procreativo. Questo consenso si configura come fonte diretta della responsabilità genitoriale e dei doveri connessi, rendendo ingiustificabile ogni possibilità di sottrarsi, ex post, agli obblighi derivanti dalla decisione di generare una nuova vita.
In questo contesto, l’art. 8 della legge n. 40/2004, che limitava lo status di figlio ai soli nati da coppie eterosessuali, risulta del tutto irragionevole, perché impedisce il riconoscimento giuridico del rapporto tra il minore e la madre intenzionale, negando così al bambino un’identità personale piena e stabile sin dalla nascita.
Il primato dell’interesse del minore
Elemento dirimente della pronuncia è l’assoluta centralità riconosciuta al principio del superiore interesse del minore, cardine della giurisprudenza costituzionale e sovranazionale. La Corte afferma con forza che tale interesse non può essere subordinato a formalismi normativi o a costruzioni legislative che ne comprimano la portata.
Il mancato riconoscimento dello status di figlio nei confronti della madre intenzionale costituisce – secondo la Consulta – una lesione non solo dell’identità del minore (art. 2 Cost.), ma anche dei suoi diritti alla bigenitorialità (art. 30 Cost.), alla parità di trattamento rispetto agli altri figli (art. 3 Cost.) e alla stabilità affettiva e relazionale. La Corte evidenzia, inoltre, l’inadeguatezza strutturale dell’adozione in casi particolari quale strumento di tutela: subordinata a un procedimento giudiziario, rimessa all’iniziativa della madre intenzionale e priva di effetto ex tunc, essa non garantisce quella continuità e certezza giuridica che il minore dovrebbe possedere sin dal momento della nascita.
La non necessità di bilanciamento con altri interessi costituzionali
Diversamente da quanto accade per la maternità surrogata, oggetto di altra disciplina e di plurimi interventi repressivi dell’ordinamento italiano, il caso sottoposto alla Corte non presenta – secondo i giudici – alcun controinteresse di rango costituzionale tale da giustificare il sacrificio dei diritti del minore. L’orientamento sessuale dei genitori, lungi dal poter rappresentare un impedimento alla responsabilità genitoriale, non evoca – come già affermato dalla Corte nelle sentenze nn. 32 e 33 del 2021 – alcuna incompatibilità con i valori fondanti dell’ordinamento.
Ne consegue che, in mancanza di qualsiasi ragione costituzionalmente legittima per negare il riconoscimento della genitorialità alla madre intenzionale, la norma che impedisce tale riconoscimento è radicalmente irragionevole e, pertanto, incostituzionale.
Una pronuncia che rompe il silenzio del legislatore
La sentenza n. 68/2025 rappresenta anche un monito, tanto esplicito quanto inequivocabile, nei confronti del legislatore, la cui inattività era già stata stigmatizzata nella sentenza n. 32 del 2021. A distanza di anni, il Parlamento non ha colmato la lacuna normativa, perpetuando una diseguaglianza giuridica che produce effetti profondi sulla vita dei bambini nati all’interno di coppie omogenitoriali.
In assenza di una riforma organica, la Corte ha ritenuto di dover garantire immediatamente l’effettività dei diritti fondamentali, esercitando la propria funzione di garante ultimo della Costituzione. L’intervento non è solo legittimo, ma necessario: quando vengono in gioco diritti inviolabili e quando il silenzio del legislatore produce effetti discriminatori e lesivi dell’identità dei minori, l’inerzia normativa non può trovare copertura nella discrezionalità parlamentare.
Conclusione
Con la sentenza n. 68 del 2025, la Corte costituzionale imprime una svolta netta al diritto della filiazione, riaffermando con chiarezza che i legami familiari non possono essere ridotti a mere formule giuridiche ancorate alla biologia, ma devono riflettere la realtà affettiva e sociale nella quale i bambini crescono.
Il riconoscimento della genitorialità della madre intenzionale, a seguito di un progetto procreativo condiviso, rappresenta una conquista di civiltà giuridica, che rimette al centro l’identità e il benessere del minore, riconoscendogli il diritto a una famiglia giuridicamente fondata sulla verità dei legami affettivi.
In un tempo in cui il diritto di famiglia si trova a confrontarsi con forme sempre più plurali di genitorialità, la sentenza della Corte non si limita a rimuovere un divieto: essa inaugura un nuovo orizzonte di pensiero, in cui la responsabilità, la cura e l’amore condiviso si affermano come fondamento del riconoscimento giuridico. È in questo spazio che il diritto, finalmente, si fa specchio fedele della vita.