Con sentenza n. 40256 del 10.09.2018 le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno chiarito la questione controversa in giurisprudenza afferente alla falsità commessa su assegno bancario munito di clausola di non trasferibilità, precisando se tale condotta rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 491 c.p., relativo al reato di falsità in testamento olografo, cambiale e altri titoli di credito, ovvero nell’alveo dell’art. 485 c.p. in tema di falsità in scrittura privata, già abrogato ad opera dell’art.1 c. 1 lett. a) del D.lgs. n. 7 del 15.01.2016.
La questione di diritto e il contrasto giurisprudenziale
La questione sottoposta all’attenzione della Suprema Corte nella sua composizione più autorevole attiene alla riconducibilità della condotta di falsificazione in assegno bancario con clausola di non trasferibilità nell’alveo della falsità in scrittura privata, fattispecie depenalizzata e che, ad oggi, configura solo un illecito civile, ovvero nel raggio di applicazione della noma relativa alla falsità in testamento olografo, cambiale e altri titoli di credito che continua a rivestire rilevanza penale costituendo reato.
Al riguardo, si erano sviluppati due opposti orientamenti in via pretoria.
Secondo un primo indirizzo ermeneutico, a seguito dell’abrogazione dell’art. 485 c.p. ad opera del D.Lgs. 7/2016 e della riformulazione dell’art. 491 c.p., la condotta di falsificazione in esame non assume più, ad oggi, rilievo, penale, configurando, per contro, un illecito civile.
Del resto, in base a tale ricostruzione interpretativa, l’art. 491 c.p. risulta applicabile esclusivamente alle falsità commesse su titoli di credito trasmissibili mediante girata, tra i quali non possono essere, all’evidenza, ricondotti gli assegni muniti di clausola di non trasferibilità (ex multis, Corte di Cassazione penale, sez. V, sent. n. 32972 del 04.04.2017; Corte di Cassazione penale, sez. V, sent. n. 11999 del 17.01.2017).
L’approdo prospettato muoveva dalla soluzione già offerta dalle SS.UU. della Corte di Cassazione in punto di riconducibilità della falsità commessa su assegno bancario munito di clausola di non trasferibilità alla fattispecie di cui all’art. 485 c.p., non già all’art. 491 c.p., posto che sussiste un maggior pericolo di falsificazione nel regime di circolazione dei titoli al portatore o trasmissibili per girata, rispetto alla disciplina di circolazione dei titoli nominativi e, dunque, ai fini dell’applicabilità dell’art. 491 c.p. si richiede che la circolabilità esista in concreto quale requisito essenziale (SS.UU. sent. n. 4 del 20.02.2007).
Secondo un orientamento opposto, per contro, tale falsità risulterebbe, ad oggi, penalmente rilevante, giacché rientrerebbe nel raggio di applicazione dell’art. 491 c.p. in tema di falsità in testamento olografo, cambiali o titoli di credito, non distinguendo, in base ad interpretazione letterale della norma, quest’ultima tra tipologie di girata rilevanti ai fini della configurabilità del reato de quo, tale per cui non vi sarebbe ragione di escludere dall’alveo applicativo dell’art. 491 c.p. la falsità in assegno bancario munito di clausola di non trasferibilità che, comunque, comprenderebbe la girata al banchiere per l’incasso, sebbene si tratti di quella che è stata anche in dottrina definita come “girata impropria”, poiché anche in tale momento sarebbe ben possibile che essa esplicasse una funzione dissimulatoria, quantomeno nei confronti dell’impiegato e dell’Istituto di credito stesso (Corte di Cassazione penale, sez. II, sent. n. 13086 del 01.03.2018; Corte di cassazione penale, sez. II, sent. n. 36670 del 22.06.2017; Cassazione penale, sez. II, n. 12599 del 24.11.2017).
Peraltro, in base a tale tesi, non è dato rinvenire nei lavori preparatori del D.Lgs. 7/2016 una voluntas legis che abbia come obiettivo la depenalizzazione delle fattispecie più gravi in punto di falsi in assegni; al contrario, gli assegni di importo pari o superiore ad euro mille, devono, in base alla normativa antiriciclaggio, essere muniti di clausola di non trasferibilità.
Ex adverso argomentando, si sarebbe potuta prospettare questione di illegittimità costituzionale per irragionevole disparità di trattamento, poiché il falso in titolo di credito costituirebbe reato solo se non munito di clausola di non trasferibilità e, dunque, in riferimento a condotte espressione di un minore disvalore, in considerazione dell’importo dell’assegno inferiore alla soglia dei mille euro.
La soluzione prospettata dalle Sezioni Unite e il principio di diritto
Chiarito il quadro normativo di riferimento, sulla base della riformulazione dell’art. 491 c.p. che, come specificato, oggi non costituisce più circostanza aggravante ma fattispecie autonoma di reato, emerge l’intenzione del legislatore delegato di conferire rilevanza penale, altresì, alle falsità su titoli di credito trasmissibili mediante girata o al portatore e, in tale categoria, non possono essere a rigore ricompresi gli assegni bancari muniti di clausola di non trasferibilità che produce l’effetto di immobilizzare il titolo nelle mani del prenditore, escludendone la trasmissibilità per girata, salva la possibilità di girata per l’incasso che, comunque, non comporta alcun effetto traslativo dei diritti incorporati nel titolo di credito, né attribuisce alcuna legittimazione propria, semmai una legittimazione nell’interesse altrui in esecuzione di quello che ben può configurarsi quale mandato a riscuotere.
La ratio della tutela più incisiva accordata dall’art. 491 c.p. e del conseguente maggior rigore, consiste nel pericolo di falsificazione, particolarmente accentuato, proprio del regime di circolazione dei titoli trasmissibili mediante girata, trattandosi, per l’effetto, di un meccanismo particolarmente esposto al rischio del porre in essere, da parte di certi soggetti, condotte insidiose che vadano a pregiudicare la fede pubblica, intesa come l’affidamento riposto dalla generalità dei consociati sulla correttezza degli elementi e sulla genuinità dei titoli di credito. La circolabilità in concreto costituisce, dunque, requisito di applicabilità dell’art. 491 c.p.
Nessuna disparità di trattamento potrebbe rinvenirsi, poi, nella differente disciplina predisposta dal legislatore, in virtù propriamente di tale maggiore pericolosità, con riferimento all’esposizione a condotte insidiose, e, comunque, sussistono precisi limiti di disciplina per quanto concerne la girata.
La questione non si incentra tanto sull’ammontare e, dunque, sull’importo dell’assegno, bensì sulla modalità di circolazione dei titoli.
La condotta in esame di falsità su assegno bancario munito di clausola di non trasferibilità non rileva più, in definitiva, come reato, ma continua ad essere considerata illecita dall’ordinamento giuridico che, tuttavia, prevede una pena civile, quest’ultima, similmente a quanto avviene in sede penale, pur senza incidere sulla libertà personale, svolge una funzione deterrente e sanzionatoria, oltre ad essere dotata della caratteristica della personalità che ne esclude la trasmissibilità iure hereditatis.
Alla luce di tali considerazioni, le SS.UU. della Suprema Corte hanno, dunque, provveduto ad elaborare il seguente principio di diritto:
“La falsità commessa su un assegno bancario munito della clausola di non trasferibilità configura la fattispecie di cui all’art. 485 cod. pen., abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. a), del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 e trasformato in illecito civile”.