Espressioni offensive negli scritti difensivi: Cassazione chiarisce quando vanno cancellate ex art. 89 c.p.c.

Con la sentenza n. 8724 del 29 aprile 2015, la seconda sezione civile della Corte di Cassazione, pronunciandosi in materia di condominio, ha chiarito in che modo operi la cancellazione delle espressioni offensive negli scritti difensivi.

A tal riguardo, l’art. 89 c.p.c. prevede che sia negli scritti presentati che nei discorsi pronunciati davanti al giudice, “le parti e i loro difensori non debbono usare espressioni sconvenienti od offensive“. In caso contrario, “il giudice, in ogni stato dell’istruzione, può disporre con ordinanza che si cancellino le espressioni sconvenienti od offensive e, con la sentenza che decide la causa, può inoltre assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno anche non patrimoniale sofferto, quando le espressioni offensive non riguardano l’oggetto della causa“.

Nel caso di specie, i resistenti avevano formulato istanza di cancellazione ex art. 88 c.p.c. delle espressioni ritenute offensive con riferimento a quanto riportato nel ricorso di controparte laddove si affermava che “vi sono di contro i condomini P. – R. che si sono sempre opposti alla installazione dei contabilizzatori e che conseguentemente dichiarano un consumo pari a zero, pur utilizzando tranquillamente l’impianto, centralizzato in barba agli altri condomini“.

Ebbene la Corte di legittimità ha precisato che la cancellazione delle espressioni offensive o sconvenienti contenute negli scritti difensivi, prevista dall’art. 89 c.p.c. e che può essere disposta anche nel giudizio di legittimità, rientrando tra i poteri officiosi del giudice, “va esclusa allorquando le espressioni in parola non siano dettate da un passionale e scomposto intento dispregiativo e non rivelino perciò un intento offensivo nei confronti della controparte (o dell’ufficio), conservando pur sempre un rapporto, anche indiretto, con la materia controversa, senza eccedere dalle esigenze difensive“. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha perciò escluso che le espressioni usate dai ricorrenti siano state determinate da un intento offensivo: esse “rientravano piuttosto nella dialettica processuale, afferendo la vicenda controversa“.

Sul punto, sembra infine opportuno ricordare che, secondo giurisprudenza consolidata, delle offese contenute negli scritti difensivi risponde sempre la parte, anche quando provengano dal difensore: gli atti di quest’ultimo sono infatti sempre riferibili alla parte, così come la sentenza può contenere statuizioni dirette soltanto nei confronti della parte in causa. Resta tuttavia salva, in ogni caso, la facoltà dell’assistito di poter esperire l’eventuale azione di rivalsa nei confronti del proprio difensore che ha commesso la violazione.

(Corte di Cassazione, Seconda Sezione Civile, Sentenza n. 8724 del 29 aprile 2015)

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