Per il sistema giuridico, il tempo costituisce un importante elemento negli episodi che coinvolgono l’esercizio dei diritti. Benché estraneo alla volontà degli uomini, infatti, il suo trascorrere ne influenza le vicende, talvolta comportando l’anelata acquisizione di un diritto, talaltra la sua irreversibile perdita.
Ragioni di ordine pubblico, di certezza dei rapporti giuridici o, semplicemente, l’opportunità di eliminare ogni contrasto tra una situazione di fatto e la corrispondente situazione di diritto, giustificano l’operare, nel sistema normativo, di istituti quali l’usucapione e la prescrizione.[1]
L’istituto della prescrizione vanta origini antiche, benché esso, da principio, riconducesse sotto la medesima disciplina tanto un risultato estintivo (prescrizione estintiva) quanto uno acquisitivo (usucapione)[2] e nonostante – limitatamente al suo aspetto estintivo – esso non avesse carattere sostanziale, bensì soltanto processuale: nel diritto romano, invero, la prescrizione estintiva operava in riferimento alla sola “actio” e non già al relativo diritto, comportando, quindi, la perdita dell’azione per decorso del tempo, vale a dire la perdita di ogni possibilità di esercitarla[3].
Data la profonda diversità degli elementi costitutivi e dei rispettivi effetti che caratterizzano gli istituti della prescrizione estintiva e della prescrizione acquisitiva, essi sono oggi trattati in maniera separata e collocati in Libri diversi all’interno del nostro Codice civile: il legislatore del 1942, in conformità del voto della dottrina prevalente, operava infatti una netta distinzione tra le due figure, approdando alla definitiva trasformazione della prescrizione acquisitiva in usucapione, e alla rubricazione della prescrizione estintiva quale pura e semplice prescrizione – senza l’aggiunta di ulteriore qualificazione – riservando, poi, un apposito paragrafo alla tipologia delle prescrizioni presuntive.
La prescrizione presuntiva
La prescrizione presuntiva è disciplinata dagli artt. 2954 ss. c.c. Essa costituisce una particolare categoria di prescrizione breve, il cui decorso determina non già l’estinzione del diritto di credito, ma una presunzione di adempimento (o di altra causa di estinzione) dell’obbligazione entro il termine di legge.
In altre parole, mentre la prescrizione estintiva è una vicenda che estingue il diritto come conseguenza del suo mancato esercizio per un periodo di tempo determinato, la prescrizione presuntiva, invece, si fonda sulla presunzione che un’obbligazione sia stata adempiuta o che sia stata comunque estinta per una qualsiasi causa[4].
Una volta inquadrata la finalità della prescrizione presuntiva, non si può prescindere, nella ricostruzione dell’istituto in commento, dal riferimento alla categoria delle presunzioni legali, intese come quel risultato cui il legislatore approda attraverso un percorso logico-deduttivo mediante il quale gli è consentito di risalire da un fatto noto un fatto ignorato. Più specificamente, attraverso le prescrizioni presuntive disciplinate negli artt. 2954 ss. c.c. l’ordinamento giuridico, in riferimento a particolari tipologie di obbligazioni, presume che, decorso un determinato periodo di tempo, queste siano state adempiute e, pertanto, estinte. Purtuttavia, non tutte le obbligazioni e non tutti i diritti di credito sono soggetti all’operare di detto istituto, ma solamente quelle tipologie di rapporti obbligatori scaturenti prevalentemente da relazioni commerciali e di scambio adoperate nella vita quotidiana, in relazione alle quali l’adempimento avviene, se non tempestivamente e nell’immediatezza, comunque in tempi brevi e, per questa ragione, il più delle volte senza rilascio di alcuna documentazione o quietanza scritta[5].
Così, per citare alcuni esempi, il Legislatore menziona il diritto degli albergatori e degli osti per l’alloggio e per il vitto che somministrano, il diritto degli insegnanti per la retribuzione delle lezioni che impartiscono a mesi o a giorni o a ore, oppure ancora il diritto dei farmacisti per il prezzo dei medicinali ed il diritto dei professionisti per il compenso dell’opera prestata. Come si può facilmente intuire, i rapporti testé citati sono tutti accomunati dalla caratteristica della pronta e facile realizzazione dello scambio, poiché hanno per oggetto debiti che è d’uso estinguere prontamente, ed è proprio sulla base di tale peculiarità che il Legislatore, in una evidente ottica di favor debitoris, presume il pagamento tempestivo, sicché al debitore che voglia eccepire la prescrizione presuntiva è richiesto solo di provare che sia decorso l’esatto termine legale, gravando invece sul creditore l’onere di dimostrare la mancata soddisfazione del credito, peraltro con rigorose limitazioni in ordine ai mezzi di prova.
Data la notevole differenza ontologica e logica che permane tra le prescrizioni estintive e quelle presuntive, appare ragionevole domandarsi per quale motivo il Legislatore abbia deciso di ricondurre entrambi gli istituti nel medesimo Libro dedicato alle prescrizioni propriamente dette. Una simile scelta è spiegata sicuramente dal fatto che anche l’operare delle prescrizioni presuntive discende dal fattore tempo, oltre che dalla circostanza che pure in riferimento ad esse trova applicazione la disciplina generale propria della prescrizione ordinaria, salve le disposizioni particolari espressamente dettate per ciascuna di esse.
Ne deriva che l’istituto della prescrizione presuntiva, pur presentando la peculiarità di determinare non già l’estinzione dell’obbligazione ma la presunzione iuris tantum che l’adempimento sia stato perfezionato, o che il debito si sia estinto per qualsivoglia causa, rimane soggetta alle regole che disciplinano la prescrizione ordinaria. Così, per prima cosa, anch’essa soggiace al divieto di rilevazione ex officio da parte del giudice (art. 2938 c.c.), anche noto come carattere dispositivo della prescrizione, di guisa che il giudice non può cercare d’ufficio i fatti costitutivi l’eccezione di prescrizione presuntiva se non vi è una specifica deduzione in tal senso[6]. Il carattere dispositivo della prescrizione comporta, infatti, per la parte che propone la relativa eccezione, l’onere di specificarne la tipologia legale, pur se non a mezzo di rigide formule sacramentali, ma con l’ausilio delle allegazioni necessarie a che l’uno o l’altro tipo legale – alternativamente – sia reso comprensibile ed individuabile dal giudicante[7].
Si ritiene, invero, che, se sollevata soltanto genericamente, l’eccezione di prescrizione debba venire considerata dal giudice alla stregua della tipologia estintiva, non potendo egli, senza alcuna precisazione al riguardo, prendere in esame la prescrizione presuntiva eventualmente verificatasi. La Giurisprudenza di Legittimità tradizionalmente motiva un siffatto regime muovendo dalla constatazione che tra le due tipologie di prescrizione sussista una incompatibilità logica che non consente la loro contemporanea proposizione nello stesso giudizio[8]. In particolare, la differenza ontologica che passa tra i due istituti in commento si rinviene nella circostanza che, mentre la prescrizione presuntiva, dando per avvenuto il pagamento, tende ad impedire che si paghi una seconda volta, la prescrizione ordinaria viene eccepita al solo scopo di non adempiere l’obbligazione. Va da sé che la generica proposizione dell’eccezione di prescrizione – senza alcuna ulteriore specificazione da parte dell’interessato – non consente per ciò stesso al giudicante di individuare nel concreto il tipo legale applicabile, gravando sulla parte, invece, l’onere di indicare la tipologia e altresì la data di inizio del decorso del tempo prescritto dalla legge.[9]
Un ulteriore aspetto di ordine processuale, che rivela una evidente diversità tra le due figure e che fa sì che le prescrizioni presuntive, data la loro peculiarità strutturale rispetto alle prescrizioni propriamente dette, ordinarie o brevi che siano, siano definite prescrizioni improprie, è il seguente: allorché si invochi la prescrizione ordinaria, è totalmente irrilevante che il diritto cui essa si riferisce sia fondato, dal momento che la prescrizione eccepita e accertata come effettivamente maturata è idonea a definire il giudizio, rendendo irrilevante ogni ulteriore accertamento che conduca alla decisione di merito. La presunzione di adempimento, invece, rimane vincolata al rapporto obbligatorio dedotto in domanda e condiziona i meccanismi probatori relativi alla estinzione dell’obbligazione, sicché, se l’esistenza del credito rimane controversa, l’accoglimento della eccezione di prescrizione presuntiva viene giocoforza ostacolato. Come noto, infatti, la questione di prescrizione rappresenta la tipica questione preliminare di merito, idonea a definire il giudizio secondo gli artt. 187 comma 2 e 289, comma 2 n. 2 c.p.c., rendendo superflua ogni ulteriore indagine sulla prova del credito. La delicata eccezione di prescrizione presuntiva, invece, non tollera alcun dubbio circa la esistenza del rapporto obbligatorio così come esattamente dedotto in domanda, sicché il suo accoglimento viene ostacolato ogni qualvolta emerga un elemento che renda controversa l’esistenza del credito[10].
Prova contraria: ammissione e giuramento
Come chiarito dalla Suprema Corte, “poiché la prescrizione presuntiva è fondata su una presunzione di adempimento dell’obbligazione (…) al fine di paralizzare tale presunzione di pagamento unici mezzi idonei sono, quanto alla posizione del debitore opponente la prescrizione presuntiva, l’ammissione di non aver estinto l’obbligazione, quanto a quella del creditore, il deferimento al debitore del giuramento decisorio”[11].
Invero, la prova contraria consentita dalla legge è solo quella risultante dall’ammissione ex art. 2959 c.c., ovvero quella prodotta a mezzo di deferimento del giuramento decisorio ex art. 2960 c.c..
Quanto alla prima, l’art. 2959 c.c. recita: “L’eccezione è rigettata se chi oppone la prescrizione nei casi indicati dagli articoli 2954,2955 e 2956 ha comunque ammesso in giudizio che l’obbligazione non è stata estinta”, sicché il creditore, onde superare l’eccezione sollevata dal debitore, ha l’onere di dimostrare la mancata soddisfazione del credito avvalendosi dell’ammissione, resa in giudizio dallo stesso debitore, che l’obbligazione non è stata adempiuta o altrimenti estinta[12]. Sul punto, meritano però due precisazioni: la prima, è che la dottrina prevalente[13] fornisce della norma una interpretazione restrittiva, di guisa che non ogni ammissione da parte del debitore possa assurgere a prova contraria, bensì solamente quella che sia stata resa nell’ambito di un giudizio, sia pure non necessariamente risultante da confessione, bastando, all’uopo, anche una dichiarazione non formale. Altra importante osservazione è che, come emerge chiaramente dal senso letterale della norma in commento, onde superare l’eccezione di prescrizione presuntiva è sufficiente che il debitore ammetta che l’obbligazione non sia stata estinta, e non specificamente che essa non sia stata adempiuta. Tuttavia occorre fare attenzione: poiché l’eccezione di prescrizione presuntiva implica il riconoscimento dell’esistenza del credito nella esatta misura richiesta dal creditore, va da sé che quando il debitore riconosca soltanto parte dell’ammontare richiesto e ne contesti la restante parte[14], come pure quando egli dichiari di aver soddisfatto ogni spettanza del creditore ma in riferimento ad un rapporto di contenuto diverso o ridotto[15] rispetto a quello oggetto della lite, negando quindi, anche solo in parte, l’esistenza del credito così come dedotto in giudizio, si avrà giocoforza il rigetto della relativa eccezione opposta dallo stesso debitore.
In punto di delazione di giuramento ex art. 2960 c.c.[16], il Legislatore, al 1° comma, ha così disposto: “Nei casi indicati dagli articoli 2954, 2955 e 2956, colui al quale la prescrizione è stata opposta può deferire all’altra parte il giuramento per accertare se si è verificata l’estinzione del debito”. Di talché, quando eccepisce la prescrizione presuntiva, il debitore è tenuto a dimostrare soltanto l’avvenuto decorso del tempo prescritto dalla legge per quella determinata fattispecie, spettando, invece, al creditore che voglia superare l’eccezione sollevata a suo carico, l’onere di provare che la sua pretesa non sia stata soddisfatta e, a tale fine, il secondo mezzo di prova offerto dal Codice civile è appunto quello del giuramento decisorio sull’avvenuta estinzione dell’obbligazione. Un aspetto sul quale merita soffermarsi concerne la formula che detto giuramento deve contenere onde esplicare la propria efficacia. Anche in questo caso, infatti, vi deve essere una perfetta corrispondenza tra quanto dedotto in giudizio dal debitore e quanto è oggetto di giuramento, sicché la sua formula deve riprodurre fedelmente l’assunto del debitore che opponga la prescrizione presuntiva, di talché che se costui si sia limitato ad eccepire solo genericamente l’avvenuta estinzione del debito, oppure se, al contrario, abbia specificato quale causa estintiva si è avverata, detta formula dovrà riprodurre l’una o l’altra circostanza.
Una volta che tale strumento venga ammesso, dunque, sarà solo alla stregua della dichiarazione del giurante che il giudice, senza alcun potere di valutarne la veridicità e di sindacarne l’attendibilità, dovrà decidere la lite[17]. In quest’ultima ipotesi, emerge in tutta evidenza quel favor debitoris di cui poc’anzi si accennava, se si pensa che l’unico rimedio riconosciuto al creditore pregiudicato dalla falsa dichiarazione dell’avversario consiste nell’instaurazione di un procedimento penale a carico del debitore onde ottenerne la condanna per il reato di falso giuramento ai sensi dell’art. 371 c.p. e, conseguentemente, l’esercizio della azione, in sede civile, di risarcimento dei danni subiti.
[1] Invero, per il fatto che un diritto non venga esercitato, si forma nei consociati la convinzione che esso non esista o che vi sia stata rinuncia da parte del suo titolare.
[2] Si pensi alla disciplina giustinianea della longissimi temporis praescriptio, cui il Code Napoléon ed il Codice civile italiano del 1865 si sono ispirati.
[3] Sull’argomento, M. AMELOTTI, La prescrizione delle azioni in diritto romano, Milano, 1958
[4] Cfr. Cass. Civ. 8735/2014
[5] L’orientamento giurisprudenziale prevalente sposa la tesi secondo la quale la presunzione di pagamento vada applicata solo in riferimento a quei rapporti che si svolgono senza formalità e caratterizzati dalla c.d. oralità del debito, di guisa che non opererebbe quando il credito di cui si chiede il pagamento scaturisca da una convenzione scritta o da un contratto stipulato per iscritto. (cfr. Cass.06/8200; 95/1304; 77/1137)
[6] Giova precisare che l’eccezione di prescrizione presuntiva, proprio come quella di prescrizione ordinaria, dovrà essere proposta non più tardi della prima udienza di trattazione: l’art. 167 comma 2 c.p.c. prevede che le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio debbano proporsi, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta.
[7] Cfr. Cass. Civ. 3798/99
[8] Cfr. Cass. Civ. 8567/98; 9019/93; 7510/91
[9] Cfr. Cass. Civ. n. 3578/04
[10] La Corte di Cassazione si è più volte espressa nel senso che “la prescrizione estintiva e la prescrizione presuntiva sono ontologicamente differenti, logicamente incompatibili e fondate su fatti diversi, in quanto elementi costitutivi della prima sono il decorso del tempo e l’inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio che estinguono il debito, sicché il debitore può giovarsene, liberandosi dalla pretesa, sia che contesti l’esistenza del credito sia che ammetta di non aver adempiuto l’obbligazione; mentre la seconda è fondata sulla presunzione iuris tantum , ovvero mista, di avvenuto pagamento del debito, esponendosi colui che la oppone al suo rigetto non solo se ammette di non aver estinto l’obbligazione ma anche se ne contesta la stessa insorgenza”. (Cass. Civ. n. 3443/05).
[11] Cfr. Cass. Civ. 11195/2007; Cass. Civ. 2312/2009; Cass. Civ. 18/2010
[12] Cfr. Cass. Civ. 785/1998
[13] Cfr. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile
[14] Cfr. Cass. Civ. 12771/12
[15] Cfr. Cass. Civ. 21107/09
[16] Per gli effetti derivanti dalla dilazione di giuramento si rinvia alla disciplina di cui all’art. 2738 c.c..
[17] Cfr. Cass. Civ. 5118/84