Le distanze legali e gli immobili sottoposti a vincolo storico

in Giuricivile, 2017, 4 (ISSN 2532-201X), Nota a Cass. Civ., Sez. II, sent. 16/03/2017, n. 6854, Presidente: Emilio Migliucci, Relatore: Mauro Criscuolo

I provvedimenti amministrativi della Soprintendenza, quali norme di rango secondario, non possono derogare alla disciplina dell’art. 839 c.c. e perciò consentire la realizzazione di costruzioni in aderenza a beni sottoposti a vincolo storico/archeologico od artistico.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6854 del 16 marzo 2017.

Il caso in esame

Il proprietario di un immobile sottoposto a vincolo storico si accorgeva che il vicino confinante aveva iniziato dei lavori per costruire ex novo un terrapieno dell’altezza di m. 2,20 destinato a parcheggio auto, distante un metro dal suo immobile, spazio nel quale veniva realizzata anche una scala.

Le nuove costruzioni realizzate dal vicino riducevano la distanza tra gli edifici confinanti ad appena 10 cm.

Il proprietario segnalava quindi tale situazione al Comune, adducendo che le nuove opere del vicino non rispettavano le distanze legali, così come regolate dalla legge e dal PRG dello stesso Comune, ma l’ente comunale riscontrava negativamente la segnalazione.

Si trovava pertanto costretto a convenire in giudizio il vicino dinanzi al Tribunale, affinché quest’ultimo disapplicasse in via preliminare i provvedimenti amministrativi, adottati per silenzio assenso dal Comune; e successivamente si accertasse l’illegittimità delle costruzioni poste in essere dalla convenuta con condanna alla riduzione in pristino sino al rispetto della distanza legale di metri tre dal suo edificio.

Il vicino resisteva in giudizio, adducendo la legittimità del suo operato sull’autorizzazione dell’esecuzione dei lavori da parte della Soprintendenza per i beni architettonici.

Il Tribunale rigettava la domanda dell’attore condannandolo al rimborso delle spese di lite.

La Corte di Appello, in riforma della sentenza di primo grado, disapplicava invece i provvedimenti amministravi emessi sia dal Comune che dalla Soprintendenza e condannava il vicino ad arretrare il terrapieno e la scala sino alla distanza di metri tre dall’edificio dell’appellante.

Nel giudizio di gravame le strategie difensive delle parti erano state le seguenti:

  • l’appellante chiedeva la riforma della sentenza del Tribunale per violazione dell’art. 879 cc., che esclude la possibilità di costruire in aderenza a beni sottoposti a vincolo di interesse storico, artistico od archeologico;
  • il vicino appellato sollevava, invece, l’eccezione che la domanda svolta in sede di appello da parte di G.M. fosse nuova e pertanto inammissibile.

La Corte distrettuale dopo aver rigettato l’eccezione di parte convenuta affermava che il terrapieno e la scala costituivano un’opera unitaria e che il distacco esistente tra la scala e l’edificio dell’attore di circa 10 cm determinava l’esistenza di una costruzione in aderenza.

Avverso la sentenza della Corte di Appello, il vicino proponeva ricorso in cassazione sulla base di sei motivi:

  1. con il primo motivo di ricorso denunciava che la Corte di Appello non aveva rilevato come nuova la domanda dell’appellante;
  2. con il secondo che il terrapieno e la scala erano stati realizzati giusto provvedimento della Soprintendenza e che quindi la sanzione irrogata dal giudice del gravame era illegittima;
  3. con il terzo che era illegittima la disapplicazione da parte del giudice del provvedimento adottato dalla Soprintendenza;
  4. con il quarto che la Corte di Appello l’aveva condannato ad un arretramento anziché irrogare un risarcimento per equivalente;
  5. con il quinto che non era vero che c’era una intercapedine dannosa tra i due edifici;
  6. ed, infine, con il sesto motivo che le spese di lite erano state compensate.

La definizione di patrimonio culturale: raffronto tra disciplina specialistica e norme codicistiche

L’art. 10 del D. Lgs. 42/2004 stabilisce che il patrimonio culturale è formato da tre categorie di beni quali:

  • le cose di interesse culturale appartenenti a soggetti pubblici;
  • le cose di interesse culturale di proprietà privata;
  • ed, infine, le cose che costituiscono testimonianza, avente valore di civiltà.

Si rileva dal punto di vista letterale che la locuzione “patrimonio culturale”, coniata dalla Commissione Franceschini con L. 310/1964 ha sostituito il termine di “bene culturale”.

Il vincolo storico-artistico è un istituto di natura reale che inerisce al bene ed è connotato alle sue caratteristiche.

Il procedimento di imposizione del vincolo si articola in tre atti distinti, disciplinati dal D.Lgs. 42/2004:

  1. verifica dell’interesse culturale (art. 12) con conseguente dichiarazione dell’interesse storico-artistico (art. 13);
  2. notifica della P.A. della dichiarazione all’interessato;
  3. trascrizione del vincolo, quando si tratti di beni soggetti a pubblicità immobiliare.

Questo procedimento ha però ad oggetto soltanto le cose mobili e gli immobili tassativamente indicati dall’art. 10 del D.Lgs. 42/2004.

Inizialmente la normativa sul patrimonio culturale era disciplinata dalla L. 1089/1939 che tutelava le cose di interesse artistico e storico, affidando alla P.A. il compito in primo luogo di definire culturali i beni di proprietà pubblica o privata ed in secondo luogo di imporre su questi il vincolo storico-artistico al fine di conservarli nel miglior modo possibile.

Il D.Lgs. 490/1999 “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali”, ha sostituito la L. 1089/1939, introducendo una normativa unitaria di riferimento per la tutela dei beni culturali che raccoglieva tutte le disposizioni già esistenti.

Il D.Lgs. 42/2004 (Codice dei Beni Culturali), entrato in vigore il 1 maggio 2004 ha avuto il merito di riordinare la materia in questione, abrogando tutte le disposizioni legislative precedentemente indicate.

Anche il Codice Civile tutela i beni culturali, all’art. 839 statuendo soltanto le loro modalità di uso però al fine di assicurare la conservazione di particolari qualità del bene.

La disciplina codicistica delle distanze legali tra gli edifici

Le distanze legali regolano il godimento dei fondi in relazione a terreni vicini e costituiscono dei limiti alla proprietà fondiaria corrispondenti ad interessi pubblici.

La finalità pubblica che ispira in via primaria le norme sulle distanze tra le costruzioni vieta che i privati possono derogare le disposizioni previste in materia dal codice civile, dai regolamenti locali e dalle norme edilizie miranti ad altre finalità di interesse generale (sicurezza sismica, qualità urbana della zona, ecc.).

Il codice civile disciplina le distanze agli artt. 873 (distanza nelle costruzioni), 889 (distanze per pozzi, cisterne, fosse e tubi), 890 (distanze per fabbriche e depositi nocivi o pericolosi), 891 (distanze per canali e fossi), 892 (distanze per alberi), 893 (alberi presso strade, canali, e sul confine di boschi) ed infine 894 (alberi a distanza non legale).

L’art. 873 c.c. prescrive in 3 metri la distanza minima tra due costruzioni su fondi finitimi, ma leggi speciali e regolamenti locali possono stabilire addirittura una distanza maggiore tra le costruzioni.

Per calcolare l’esatta distanza tra le costruzioni è opportuno però conoscere il significato di costruzione nella giurisprudenza; in materia chiarificatorio è stato l’intervento della Corte di Cassazione con ordinanza n. 5753/2014 che ha definito costruzioni quelle opere stabilmente infisse al suolo che per solidità, struttura e sporgenza del terreno, possono creare delle intercapedini dannose che la legge, stabilendo al distanza minima tra le costruzioni, intende evitare.

Il concetto di vicinanza indicato dall’art. 873 deve però intendersi in senso estensivo, quindi le distanze minime devono intercorrere tra costruzioni fronteggianti poste su proprietà diverse, siano o non siano confinanti e si applicano anche quando tra gli edifici si interponga una striscia di terreno altrui.

Contro la violazione delle norme sulle distanze delle costruzioni è possibile il rimedio della rimessione in pristino, ma nel caso di violazione di norme sull’edilizia compete anche il risarcimento del danno (Cass. 25475/2010).

Violazione delle distanze legali nella sentenza n. 6854/2017 della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione con sentenza n. 6854/2017 è giunta alla stessa conclusione della Corte di Appello, secondo la quale il ricorrente ha violato le norme sulle distanze legali tra il suo edificio e quello del vicino costruendo il terrapieno e la scala.

Pertanto è stata condannato ad arretrare le suddette costruzione alla distanza di 3 metri dall’edificio del resistente.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso sulla base di considerazioni sia di carattere processuale che sostanziale.

Dal punto di vista processuale la Corte di Cassazione ha ritenuto che la richiesta di applicazione dell’art. 879 c.c., avanzata dall’appellante in sede di appello, non costituisse una nuova domanda; il giudice di prime cure avrebbe infatti dovuto riscontrare di ufficio l’applicabilità al caso di specie dell’art. 879 c.c., poiché l’attore aveva già manifestato in primo grado la natura vincolata del bene di sua proprietà.

Questa scelta della Corte di Cassazione è in linea un altro precedente della stessa Corte espresso con sentenza n. 15105/2014, secondo il quale la domanda di demolizione di una costruzione per generica violazione delle norme in tema di distanze legali non esclude che il giudice, investito della decisione, possa pronunciarsi sulla legittimità dell’opera avuto riguardo alle previste distanze non solo tra costruzioni, ma anche dal confine, nonché a quelle stabilite dalla normativa antisismica, senza per questo incorrere nella violazione dell’art. 112 c.p.c..

Dal punto di vista sostanziale la Corte di Cassazione inizialmente rileva che la disciplina generale in materia di distanze prevista dal legislatore per i beni sottoposti a vincolo impedisce la costruzione in aderenza ed esclude che tale deroga possa essere introdotta da norme di rango secondario quali i regolamenti edilizi degli enti locali ed i provvedimenti della Soprintendenza.

Infine la Corte rigettava l’eccezione di parte ricorrente secondo la quale l’unico rimedio che poteva esperire il vicino fosse il risarcimento per equivalente; la Corte ha infatti ritenuto che tale assunto fosse in palese violazione dell’art. 872, secondo comma c.c. che prescrive la riduzione in pristino in caso di violazione delle norme in materia di distanze tra costruzioni.

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