Il tema delle distanze legali tra costruzioni viene affrontato in maniera dettagliata dal legislatore del 1942 nel codice civile nella sesta sezione del secondo capo, rubricato “Della proprietà fondiaria”, posto all’interno del libro terzo “Della proprietà”. Risulta evidente da una analisi della disposizione geografica delle norme all’interno della raccolta legislativa come questa materia rientri all’interno della disciplina di situazioni di conflitto inter-individuale che possono sorgere tra proprietari di fondi limitrofi. Anche la dottrina, infatti, riconduce tale trattazione all’interno dei cosiddetti “rapporti di vicinato”[1], caratterizzati dall’alto tasso di conflittualità intersoggettiva, all’interno dei quali rientra parallelamente anche la normativa sulle immissioni (art 844 cc) e sulle luci e vedute (art 900 ss cc), quest’ultima non a caso collocata nella sezione successiva rispetto a quella delle distanze legali.
Volgendo uno sguardo alla trattazione normativa della tematica ad oggetto del presente contributo, emerge la volontà del legislatore di disciplinare in modo puntuale questo aspetto della proprietà fondiaria, volontà giustificata da un lato dall’elevato carattere di litigiosità che permea questa declinazione dei rapporti di vicinato (dunque una puntuale regolamentazione svolge più efficacemente un ruolo dissuasivo e risolutivo delle controversie), dall’altro assolve anche ad una finalità parallela di tutela della salubrità pubblica e benessere psico-fisico dei proprietari di fondi confinanti[2].
Distanza nelle costruzioni: art. 873 c.c.
La sezione settima del secondo capo all’interno del secondo titolo nel libro terzo del codice civile esordisce con l’art 873 cc rubricato “Distanze nelle costruzioni” che recita “le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore”.
Da un’analisi ermeneutica basata sul tenore letterale della norma, risulta che la prima condizione necessaria affinché operi tale disciplina sia la vicinanza dei fondi su cui sono poste le costruzioni in esame, e non necessariamente la contiguità geografica. A sostegno di tale tesi, è illuminante citare l’orientamento giurisprudenziale consolidato della Corte di Cassazione, che depone nel senso positivo al rispetto della distanza legale anche tra costruzioni che si elevano su fondi separati da una porzione di terreno inferiore di larghezza rispetto al distacco previsto dalla legge[3].
Una seconda condizione di applicabilità della norma si rifà all’analisi della conformazione fisico-strutturale delle costruzioni prese in esame, in quanto il distacco suddetto deve essere osservato solo in riferimento ad edifici che non siano uniti o non siano in aderenza. A tal riguardo si definisce in aderenza una costruzione in semplice contatto con il muro del vicino restando strutturalmente autonoma; al contrario, è in appoggio se scarica il peso degli elementi che la compongono sul muro del vicino confinante[4]. Questa differenziazione terminologica risulterà utile successivamente nella trattazione quando si analizzerà il principio della prevenzione temporale[5].
La parte fondamentale dell’art 873 cc è la quantificazione della distanza prescritta tra le costruzioni, che il legislatore ha stabilito in un minimo di 3 metri. La ratio che sottostà al carattere autoritativo della norma è ricondotto alla volontà di preservare la salubrità pubblica e il decoro architettonico, posto che la sussistenza di intercapedini originate da costruzioni a distanza limitata può dar vita a reflussi e ristagni di acqua e aria che vanno inevitabilmente a compromettere gravemente la salute fisica dei proprietari degli immobili. E’ fondamentale, poi, notare che il codice prevede una distanza inter-individuale tra le costruzioni, senza prescrivere un distacco minimo dalla linea di confine, osservazione che risulta necessaria ai fini della enucleazione del principio di prevenzione che verrà trattato in seguito[6].
La distanza minima prevista è, però, derogabile dai regolamenti locali, i quali possono prescrivere solo distacchi maggiori rispetto a quelli legali dei 3 metri[7].
La costruzione
Nozione di costruzione
Un importante intervento ausiliatore della giurisprudenza di legittimità inerisce alla definizione del concetto di “costruzione”, finalizzato a delineare i caratteri salienti che un immobile deve presentare per poter essere sottoposto al distacco legale ex art 873 cc. In questo senso la Suprema Corte ha affermato che la nozione di costruzione non si identifica limitatamente con la nozione di edificio, ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidità, stabilità, e immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa, nonché dalla tecnica costruttiva adoperata[8].
Questa definizione, peraltro, non è suscettibile di essere modificata dai regolamenti comunali, pur avendo loro facoltà di poter derogare la distanza minima di distacco. Come plurime volte affermato dal supremo consesso, l’art 873 cc fa riferimento ad una nozione unitaria di “costruzione” e non può subire deroghe sia pure al fine del computo delle distanze legali da parte delle norme secondarie, in quanto il secondo periodo dell’art 873 cc circoscrive l’ambito di intervento dei regolamenti comunali alla sola facoltà di stabilire una distanza maggiore[9].
Aumento di volume e sopraelevazione
Sempre con l’intento di specificare le caratteristiche architettoniche necessarie per comprendere a pieno il concetto di costruzione, risulta rilevante analizzare il fenomeno dell’aumento di volumetria in riferimento ad una preesistente costruzione: Cass. S.U. 21578/2011 ha graniticamente affermato che la semplice constatazione dell’aumento di superficie e di volumetria è sufficiente a rendere l’intervento edilizio non riconducibile al paradigma normativo della ristrutturazione (intesa come interventi che comportano modificazioni esclusivamente interne, e che interessano un edificio del quale sussistano le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura) e dunque esonerato dal rispetto delle distanze legali. Ci si rifà, infatti, all’ipotesi di “nuova costruzione”, da considerare tale nel suo complesso ai fini del computo delle distanze rispetto agli edifici contigui, ove lo strumento urbanistico rechi una norma espressa con la quale le prescrizioni sulle maggiori distanze previste per le nuove costruzioni siano estese anche alle ricostruzioni, ovvero ove una siffatta norma non esista, solo nelle parti eccedenti le dimensioni dell’edificio originario[10]. Declinando questo principio, la sopraelevazione di un edificio preesistente, anche se di dimensione ridotta, comporta un aumento di volumetria e della superficie di ingombro, ergo si deve ricondurre a “nuova costruzione” e dunque soggetta al rispetto delle distanze legali [11].
Sporti
Sono esenti dalla norma ex art 873 cc i cosiddetti “sporti”: giurisprudenza consolidata fa rientrare all’interno di tale categoria solo quegli elementi con funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria (es. mensole, lesene, cornicioni, canalizzazioni di gronda e simili, tetti spioventi di modeste dimensioni ec.), mentre costituiscono corpi di fabbrica, e perciò computabili ai fini delle distanze, le sporgenze degli edifici aventi particolari porzioni come i balconi, costituite da solette aggettanti anche se scoperte, di apprezzabile profondità ed ampiezza[12]. La ragione di tale esenzione è ricondotta al fatto che le sporgenze di limitata entità non sono in alcun modo capaci di determinare quelle pericolose intercapedini che la normativa ad oggetto vuole evitare[13].
Principio di prevenzione temporale
Dal complesso delle norme ex art 873 ss c.c. si deduce il principio cardine che regola la materia, ovvero il principio di prevenzione temporale, per cui il confinante che costruisce per primo va inevitabilmente a condizionare il novero di scelte del vicino che intenda a sua volta edificare sul suo suolo. Infatti, dal combinato disposto degli artt. 874, 875 e 877 cc, emerge che il vicino che prima facie costruisce ha tre possibilità di azione: costruire sul confine, costruire ad una distanza dal confine pari a 1,5 metri o metà della distanza prescritta dai regolamenti locali, costruire ad una distanza dal confine minore a 1,5 metri o metà della distanza prescritta dai regolamenti locali.
Nel primo caso, il proprietario del fondo vicino può o costruire ad una distanza pari all’intero distacco legale previsto, oppure chiedere la comunione forzosa del muro sul confine ex art 874 cc, che recita: “il proprietario di un fondo contiguo al muro altrui[14] può chiederne la comunione per tutta l’altezza o per parte di essa, purché lo faccia per tutta l’estensione della sua proprietà”. Il co 2 dell’art 874 cc, inoltre, prevede che il proprietario richiedente la comproprietà debba pagare la metà del valore del muro, o della parte del muro resa comune, e la metà del valore del suolo su cui il muro è costruito.
Nel secondo caso l’unica opzione per il proprietario del fondo vicino è quella di edificare anch’egli a 1,5 metri dal confine o metà della distanza legale prescritta, in modo tale da rispettare il distacco previsto dalla legge o dal regolamento locale.
Nel terzo caso il proprietario del fondo finitimo può o costruire in modo tale da rispettare la distanza legale dalla costruzione del vicino, oppure chiedere ex art 875 cc “la comunione del muro[15] soltanto allo scopo di fabbricare contro il muro stesso pagando, oltre il valore della metà del muro, il valore del suolo da occupare con la nuova fabbrica, salvo che il proprietario preferisca estendere il suo muro sino al confine”[16]; ovvero può costruire sul confine stesso in aderenza ex art 877 cc, senza chiedere la comunione del muro posto sul confine e senza appoggiare la sua fabbrica a quella preesistente, dovendo pagare solo il valore del suolo[17].
Come precedentemente citato, il fondamento giuridico di questo principio affonda le radici nell’art 873 cc, che prevede solo una distanza assoluta tra edifici, senza che la legge preveda un distacco minimo dal confine[18].
Deroga dei regolamenti locali
Il secondo periodo dell’art 873 cc riconosce esplicitamente la facoltà ai regolamenti locali di imporre una distanza maggiore tra costruzioni rispetto a quella prevista dal codice. La giurisprudenza si è espressa ex multis circoscrivendo tale portata derogatrice nel convincimento che, in virtù della natura integrativa delle norme dei regolamenti edilizi rispetto al contenuto dell’art 873 cc, la disciplina locale eccezionale non si esaurisce nella sola deroga alle distanze minime previste dalla legge, ma si estende all’intero impianto di regole e principi dettato per disciplinare la materia, compreso il meccanismo della prevenzione. Tuttavia i regolamenti locali possono eventualmente escludere l’operatività di quest’ultimo principio, prescrivendo una distanza minima delle costruzioni dal confine o negando espressamente la facoltà di costruire in appoggio o in aderenza. Ne discende che un regolamento locale che si limita a stabilire una distanza tra costruzioni superiore a quella prevista dal codice civile, senza imporre un distacco minimo delle costruzioni dal confine, non incide sul principio della prevenzione, e non preclude, quindi, al preveniente la possibilità di costruire sul confine o a distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta tra le costruzioni, né al prevenuto la corrispondente facoltà di costruire in appoggio o in aderenza, in presenza dei presupposti previsti dagli artt. 874, 875 e 877 c.c.[19]. Da questo orientamento emerge che il principio di prevenzione si applica anche qualora il regolamento locale, pur imponendo una distanza assoluta tra fabbricati, preveda la possibilità di costruire sul confine, ovvero di costruire in appoggio o in aderenza, oppure quand’anche il regolamento locale sancisca una distanza minima non predeterminata, pari all’altezza di una delle costruzioni[20]. Questo principio di diritto è stato di recente ripreso dalla Suprema Corte, che ha ribadito che, se i regolamenti edilizi stabiliscono espressamente la necessità non solo di un distacco minimo tra le costruzioni maggiore rispetto a quello contemplato dall’art. 873 cc, ma altresì di una distanza minima delle costruzioni dal confine, ammettendo tuttavia l’edificazione in aderenza (o in appoggio), il primo costruttore può scegliere tra edificare a distanza regolamentare ovvero erigere la propria fabbrica fino ad occupare l’estremo limite del confine medesimo, ma non anche la facoltà di costruire a distanza dal confine inferiore a quella stabilita dallo strumento urbanistico locale[21].
Rientra all’interno dell’autonomia privata delle parti la possibilità di accordarsi tra i proprietari di fondi confinanti di derogare alle distanze previste dai regolamenti locali nel senso di minorarle, senza mai però imporne inferiori rispetto a quelle previste ex lege. In assenza di tale accordo il proprietario ha diritto all’arretramento o alla demolizione della costruzione eseguita a distanza illegale[22].
Interessante è anche la questione relativa alla liceità o meno della titolarità di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dalle norme del codice civile o dai regolamenti e strumenti urbanistici locali. Si è ritenuto di ammettere l’acquisto di una tale servitù, ancorché abbia ad oggetto un edificio abusivo, sia per usucapione, che per destinazione del padre di famiglia, non essendoci alcun motivo per differenziare il trattamento, quanto meno giacché entrambi tali diritti reali si acquistano a titolo originario e sono circoscritti alle sole servitù apparenti[23].
Violazione delle norme sulle distanza legali
Il riferimento civilistico riguardante la violazione di norme edilizie è l’art 872 cc che stabilisce al co 2 che “colui che per effetto della violazione ha subito danno deve esserne risarcito, salva la facoltà di chiedere la riduzione in pristino, quando si tratta della violazione delle norme contenute nella sezione seguente[24] o da questa richiamate”. La suddetta disposizione, mediante il rinvio alla sesta sezione del codice civile, effettua un differenziazione tra norme che perseguono interessi meramente privatistici (quali quelle ex art 873 cc ss) e norme contenute in leggi speciali e regolamenti edilizi comunali (che ad es. impongono limitazioni all’altezza degli edifici, volume per area, norme igieniche, norme di ornato ecc.[25]) che, nonostante rientrino dal punto di vista contenutistico nella disciplina dei rapporti tra vicinati, hanno come scopo il prevalente perseguimento di un interesse pubblico e generale[26]. Fatto questo discrimen derivano conseguenze diverse alle violazioni di tali disposizioni.
Il mancato rispetto di norme che perseguono interessi privatistici (come la disciplina delle distanze legali) impone l’applicazione del suddetto art. 872 co 2 cc, il quale riconosce da un lato il diritto alla riduzione in pristino, e d’altro lato il risarcimento del danno. Per quanto concerne il rapporto sussistente tra questi due rimedi codicistici, è intervenuta di recente la Cassazione la quale ha specificato che sono due strumenti risarcitori che possono ben coesistere in quanto la demolizione del manufatto può non elidere il danno eventualmente procurato (es. basti pensare alla perdita di chance di vendita o profitto, perdita di amenità e del valore dell’immobile)[27]. Da ciò deriva quindi che l’attore che agisce per il rispetto delle distanze legali, deve scegliere tempestivamente se proporre l’una e l’altra domanda, oppure una sola delle due, ovvero subordinare la condanna al risarcimento in forma generica al rigetto della domanda in forma specifica[28].
Diversamente, la violazione di norme di carattere prevalentemente pubblicistico consente esclusivamente l’esperimento di rimedi di carattere amministrativo da parte del proprietario del fondo vicino, finalizzati ad esempio all’ottenimento di un ordine di abbattimento; ciò in ragione del fatto che dal punto di vista privatistico, non è riconosciuta alcuna conseguenza non costituendo queste infrazioni la lesione di alcun diritto soggettivo. Se, però, la violazione di norme pubblicistiche da parte del proprietario del fondo vicino consegue in una diminuzione patrimoniale subito dal confinante, è comunque riconosciuto un risarcimento del danno ex art 2043 cc.
Questa distinzione (effettuata tra norme che trovano fondamento in un interesse privatistico ovvero pubblicistico) è posta come base giustificativa per ritenere che le norme sulle distanze legali contenute vuoi nel piano regolatore generale, vuoi nelle relative norme tecniche di attuazione, giacché volte a disciplinare l’attività della P.A. per un migliore assetto dell’agglomerato urbano ed i rapporti di vicinato tra privati in modo equo, hanno natura integrativa dei precetti di cui all’art. 873 c.c., ergo la loro violazione legittima colui che assume di essere stato danneggiato dalle costruzioni eseguite in violazione di esse a domandare la riduzione in pristino ex art. 872 c.c.[29]. Inoltre il binario parallelo su cui sono incardinate queste due diverse categorie di norme in materia edilizia si manifesta anche nel principio per cui la rilevanza giuridica della licenza edilizia si esaurisce nell’ambito del rapporto pubblicistico tra Pubblica Amministrazione e il privato, senza estendersi ai rapporti tra privati. Ciò alla luce del fatto che il conflitto tra proprietari interessati in senso opposto alla costruzione deve essere risolto in base al diretto raffronto tra le caratteristiche oggettive dell’opera e le norme edilizie che disciplinano le distanze legali, tra le quali non possono comprendersi anche quelle concernenti la licenza e la concessione edilizia, perché queste riguardano solo l’aspetto formale dell’attività costruttiva.[30]
Un aspetto essenziale da demarcare in tema di legittimazione passiva dell’azione di riduzione in pristino di un immobile irregolarmente distanziato riguarda il carattere squisitamente reale che contraddistingue questa azione giudiziaria, motivo per cui essa deve essere rivolta verso l’attuale proprietario dell’immobile in questione, indipendentemente da chi lo abbia effettivamente costruito[31]. In tempi recenti la Cassazione ha ribadito questo principio in relazione ad un manufatto edificato da un terzo con materiali propri su fondo altrui, nel cui caso l’azione volta a conseguire la demolizione o l’arretramento dell’opera – qualificabile come “negatoria servitutis” – è esperibile esclusivamente nei confronti del proprietario confinante (in considerazione del carattere reale dell’azione medesima). Diversamente avviene per l’azione tesa al risarcimento del danno patito ex art 2043 cc, essendo riconosciuta, nel caso di specie, la legittimazione passiva del terzo costruttore alla stregua della sua qualità di autore del fatto illecito.[32]
Muro di cinta
Occorre ora analizzare la questione relativa ai muri di cinta: l’art 878 co 1 cc recita “il muro di cinta e ogni altro muro isolato che non abbia un’altezza superiore ai tre metri non è considerato per il computo della distanza indicata dall’art 873 cc”. Conseguentemente la legge consente la presenza di una costruzione nelle vicinanze di un muro di cinta od isolato anche se non viene rispettato il distacco legale previsto, la cui ratio si intravede nelle ragioni di tutela della salubrità dei luoghi, che non verrebbe compromessa dalla contiguità geografica di un edificio rispetto ad un muro isolato o di cinta. Ciò si palesa ancora di più dal co 2 dell’art 878 cc che afferma che “il muro, quando è posto sul confine, può essere reso comune anche a scopo d’appoggio, purché non preesista al di là un edificio a distanza inferiore ai 3 metri”: il riferimento all’esistenza di una costruzione al di là del muro è giustificato dal fatto che in tal caso, si verrebbe a creare delle intercapedini potenzialmente dannose per la salubrità del luogo.
La giurisprudenza si è, poi, espressa in modo da descrivere le caratteristiche ritenute essenziali affinché un muro rientri nella categoria dei “muri di cinta”: la Suprema Corte li definisce sia come muri qualificati dalla destinazione alla recinzione di una determinata proprietà, dall’altezza non superiore a tre metri, dall’emersione dal suolo nonché dall’isolamento di entrambe le facce da altre costruzioni; sia come manufatti che, pur carenti di alcuni di tali requisiti, siano comunque idonei a delimitare un fondo ed abbiano ugualmente la funzione e l’utilità di demarcare la linea di confine e di recingere il fondo[33]. Pertanto non è stato ritenuto muro di cinta quello che risulta eretto in sopraelevazione di un fabbricato, a chiusura di un lato di una terrazza di copertura dell’edificio, posto che un simile manufatto non si configura separato dalla costruzione cui inerisce e resta nel medesimo incorporato: deve quindi essere considerato un muro di fabbrica.[34]
A completamento del discorso, si è sviluppato anche un orientamento ermeneutico riguardante la corretta qualificazione giuridica del muro di sostegno di un terrapieno. La Cassazione ha affermato che tale struttura, in quanto costituente vera e propria costruzione[35] ai fini delle distanze legali, deve considerarsi come muro di fabbrica e non come muro di cinta che, a norma dell’art. 878 cod. civ., è quello destinato alla protezione e delimitazione del fondo con altezza non superiore a tre metri. Si è poi ritenuto che non può essere considerato come costruzione, ai fini dell’osservanza delle distanze legali, il muro che, nel caso di dislivello naturale, oltre a delimitare il fondo, assolve anche alla funzione di sostegno e contenimento del declivio naturale; diversamente nel caso di dislivello di origine artificiale deve essere considerato costruzione in senso tecnico – giuridico il muro che assolve in modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento di un terrapieno creato dall’opera dell’uomo.[36]
Edifici non soggetti all’obbligo della distanza legale e della comunione forzosa
Un’importante deroga alla disciplina delle distanze legali tra costruzioni è prevista dall’art 879 co 2 cc, il quale sostiene che “alle costruzioni che si fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze, ma devono osservarsi le leggi e i regolamenti che le riguardano”. La giurisprudenza di legittimità, in Cass. S.U. 1638/1964, ha enunciato il principio di diritto per cui l’art 873 cc non trova applicazione alle costruzioni erette su suolo pubblico, in confine con i fondi dei proprietari frontisti, ai quali spetta soltanto l’uso normale delle piazze e delle strade e l’eventuale limitazione di tale uso non lede un diritto soggettivo del frontista, ma può ledere soltanto l’interesse occasionalmente protetto alla conservazione dei vantaggi derivanti da detto uso normale, come la visuale, l’accesso ecc. E’ stato di recente ribadito che se tale esonero dall’obbligo della distanza legale tra costruzioni portasse ad un pregiudizio dei diritti dei proprietari dei fondi contigui alla proprietà demaniale, esso dovrà essere valutato in relazione all’uso normale spettante ai medesimi proprietari sul bene pubblico[37]. Il supremo consesso ha altresì sostenuto, in un caso riguardante ad una lite giudiziaria in ambiente agricolo, che il rapporto di contiguità tra i fondi viene meno allorché il canale che li separa sia pubblico, per la funzione irrigua esercitata a servizio di una pluralità di fondi, idonea ad attribuirgli una vocazione pubblica incompatibile con quella di mera delimitazione del confine.[38]
Alle vie pubbliche rientranti nell’ambito di operatività dell’art 879 cc sono equiparate anche quelle strade di proprietà privata gravate da servitù pubbliche di passaggio, giacché il carattere pubblico della strada, rilevante ai fini dell’applicazione della norma citata, attiene, più che alla proprietà del bene, all’uso concreto di esso da parte della collettività[39]. Inoltre, ai fini della verifica della sussistenza dell’asservimento della strada, ancorché privata, all’uso pubblico, occorre una specifica verifica, poiché una strada privata può ritenersi legittimamente asservita ad uso pubblico qualora l’uso predetto trovi titolo in una convenzione tra i proprietari del suolo stradale e l’ente pubblico, ovvero si sia protratto per il tempo necessario all’usucapione.[40]
Un’altra questione interessante concerne il ruolo della Pubblica Amministrazione in relazione ad edifici esenti dall’obbligo del rispetto delle distanze legali, infatti la disciplina delle distanze legali ex art 873 cc presiede alla regolamentazione dei rapporti di vicinato e alla tutela del diritto di proprietà, coinvolgendo inevitabilmente anche la Pubblica Amministrazione, sia qualora operi come soggetto privato, sia quando risultino coinvolti beni appartenenti ad essa indicati ex art 879 cc. Segue che qualsiasi intervento edificatorio qualificato di pubblico interesse costituisce una estrinsecazione di una facoltà riconosciuta all’apparato pubblico dello Stato e dunque tale attività, non essendo riconducibile ad un esercizio iure privatorum, non è suscettibile delle conseguenze di violazioni di norme della sezione sesta ex art 872 cc. Conseguentemente le parti di costruzioni che ledono il regime legale del distacco non sono suscettibili di riduzione in pristino in quanto la scelta dell’ubicazione dell’edificio, perseguendo una finalità di massimizzazione dell’utilità pubblica, non va ad incidere in alcun diritto soggettivo del confinante[41]. Una tale situazione può ingenerare, innanzi al giudice ordinario, soltanto la reazione indennitaria[42] che l’ordinamento prevede e consente, quella di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 44.[43]
A tal riguardo, la Suprema Corte ha più volte ribadito che la dichiarazione di pubblica utilità in riferimento ad una costruzione può essere affermata indipendentemente dall’origine espropriativa dell’edificio, operando tale meccanismo in ragione dell’esistenza di un riconosciuto interesse pubblico alla realizzazione dell’immobile[44]: in estrema sintesi non è necessario un preventivo decreto espropriativo affinché un edificio venga dichiarato di pubblica utilità.
In ultima analisi emerge la considerazione che non necessariamente l’opera pubblica deve essere realizzata su fondo demaniale per risultare esente dalla disciplina delle distanze, potendo la stessa essere collocata anche su un fondo privato, a condizione, però, che l’opera sia intrinsecamente assimilabile, per la finalità pubblica perseguita, al pubblico demanio.[45]
[1] cfr. Galgano F., Diritto privato, Wolters Kluwer, Milano, 2019, 134 ss. : le distanze legali nel costruire edifici sono intese come primo limite alla facoltà di godimento del diritto di proprietà, visto come specifico criterio di contemperamento delle interferenze nel godimento del diritto di proprietà di un vicino da parte del confinante.
cfr. Torrente A. e Schlesinger P., Manuale di diritto privato, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2019, 287 ss. : al fine di contemperare i contrapposti interessi dei proprietari di fondi contigui – disciplinando i c.d. rapporti di vicinato – il codice detta tutta una serie di regole in materia di atti emulativi, immissioni, distanze, muri, luci e vedute, acque. Tradizionalmente tali regole sono state interpretate come una imposizione di limiti legali alla proprietà immobiliare nell’interesse privato (che derivava dalla concezione ormai superata di proprietà come un diritto che attribuisce sempre e comunque un potere di godimento pieno sul bene stesso). In realtà però le norme citate sono solo tese a conformare la proprietà immobiliare in modo tale da garantire un coordinamento fra i diritti dei singoli titolari.
cfr. Zatti P. e Colussi V., Lineamenti di diritto privato, Wolters Kluwer, 2015, 246: il rapporto di vicinato è fonte di vari limiti della proprietà fondiaria che presentano tre caratteristiche: automaticità (nascono direttamente dalla esistenza della situazione prevista dalla legge), reciprocità (il sacrificio e il vantaggio dei confinanti è reciproco), e la gratuità (non esiste un compenso per tale imposizione di limiti non esistendo uno squilibrio di vantaggi). Tra i limiti rientra le distanze tra costruzioni, oltre al divieto di immissioni, le luci e vedute.
[2] vedi par. 2.
[3] vedi Cass. 5154/2012, 627/2003, 1015/1983, 3849/1978; da ultimo Cass. 5874/2017 che giustifica tale orientamento sulla base del fatto che in primo luogo per riferirsi a fondi confinanti il codice ha sempre usato il termine “finitimo” e non “contiguo”; secondariamente tale principio si deduce a contrario analizzando l’art 879 cc che esclude l’applicabilità dell’art 873 cc per le costruzioni a confine con piazze o strade pubbliche, da cui implicitamente si ammette l’osservanza delle distanze prescritte per le costruzioni su fondi confinanti con vie private o comunque con terreno comune o altrui (vedi Cass. 627/2003). In ultimo questo principio di diritto trova legittimità anche alla luce delle ragioni igieniche ispiratrici della norma, che non vengono meno se tra gli edifici posti a distanza minore da quella legale vi è una zona di terreno comune alle parti, o di un terzo estraneo.
[4] cfr. Tramontano L., Compendio di diritto civile, LaTribuna, Piacenza, 2020, 395.
[5] vedi par. 4.1.
[6] vedi par. 4.1.
[7] tale facoltà di deroga dei regolamenti locali viene approfondita più avanti nella trattazione (vedi par. 4.2.).
[8] vedi Cass. 23843/2018, 24128/2012, 15972/2011; da ultimo Cass. 4009/2022.
[9] vedi Cass. 38354/2021, 23843/2018, 144/2016, 5163/2015; da ultimo Cass. 4009/2022. In Cass. 23843/2018 la Suprema Corte ha censurato la distinzione effettuata dall’art 55 e 57 del regolamento edilizio del comune di Cogollo del Cengio che distingue tra “costruzione” e “fabbricato con solaio di copertura uno dei quali con pareti finestrate” che prevedeva per il primo una distanza di 3 metri, e per il secondo una distanza pari all’altezza del fabbricato più alto con un minimo di 10 metri.
[10] il principio è stato ribadito in Cass. 15041/2018.
[11] vedi Cass. 14273/2019, 15732/2018; da ultimo Cass. 4009/2022 in cui la modificazione del tetto di un fabbricato integra sopraelevazione e, come tale, una nuova costruzione se essa produce un aumento della superficie esterna e della volumetria dei piani sottostanti.
[12] vedi Cass. 9384/2019, 18282/2016, 5594/2016.
[13] vedi Cass. 16327/2019.
[14] per muro si intende quale parte strutturale di una costruzione e non un muro di cinta o qualsiasi muro isolato di altezza superiore a 3 metri ex art 878 cc (vedi par. 6.1.).
[15] supra.
[16] in tal caso l’art 875 co 2 cc stabilisce che “il vicino deve domandare al proprietario del fondo confinante se preferisce estendere il muro al confine o procedere alla sua demolizione. L’interpellato deve manifestare la propria volontà entro 15 giorni e deve procedere alla costruzione o alla demolizione entro 6 mesi dal giorno in cui ha comunicato la risposta”.
[17] si rimanda a par. 2. per la differenza strutturale che sussiste tra costruzione in appoggio e costruzione in aderenza.
[18] la facoltà di imporre una distanza dal confine è, però, riconosciuta dai regolamenti locali (vedi par. 4.2.).
[19] vedi Cass. S.U. 10318/2016.
[20] vedi Cass. S.U. 10318/2016 che si rifà in via analogica a Cass. S.U. 11489/2002 che ritiene che la disciplina codicistica della prevenzione debba comunque trovare sempre espressione quando nella norma speciale non sia dato rinvenire alcun indice, esplicito o implicito, di incompatibilità.
[21] vedi Cass. 804/2022, come in precedenza da Cass. 20871/2020, 22447/2019, 15033/2019, 14705/2019, 11664/2018, 23693/2014, 8465/2010.
[22] vedi Cass. n. 18030/2019.
[23] vedi Cass. n. 3939/2022: nel caso di specie l’attore chiedeva la condanna all’arretramento del muro di contenimento del giardino di pertinenza dell’immobile del convenuto, costruito in prossimità del muro perimetrale dell’immobile di proprietà del primo.
[24] allude alla sezione sesta delle distanze nelle costruzioni.
[25] cfr. Zatti P. e Colussi V., Lineamenti di diritto privato, Wolters Kluwer, 2015 (pg. ?).
[26] cfr. Zatti P. e Colussi V., Lineamenti di diritto privato, Wolters Kluwer, 2015, 247 ss.
[27] vedi Cass. 1767/2022: ciò è deducibile analizzando il dato testuale dell’art 872 co 2 cc, dal cui periodo “salva la facoltà di chiedere la riduzione in pristino” risulta chiaro il carattere addizionale che questo strumento ha rispetto al diritto al risarcimento del danno patito.
[28] conseguentemente qualora l’attore abbia chiesto soltanto la riduzione in pristino dell’immobile, e questa gli sia poi negata, non può pretendere di essere rimesso in termini.
[29] vedi Cass. 804/2022, 17338/2009, 213/2006; in Cass. n. 804/2022 la Suprema Corte censura il presunto carattere integrativo rispetto all’art 873 cc della Legge regionale Marche 8 marzo 1990, n. 13, contenente norme edilizie per il territorio agricolo, apparendo dettata esclusivamente per interessi pubblici relativi alla conservazione della destinazione agricola del territorio.
[30] vedi Cass. 20871/2020, 4833/2019, 11685/2018, 10622/2017, 17487/2014: risulta irrilevante dal punto di vista civilistico la mancata licenza o concessione edilizia qualora la costruzione rispetti le distanze legali prescritte dal codice civile e dalle norme speciali; analogamente aver eseguito la costruzione in conformità con la licenza edilizia non esclude la violazione della normativa in merito al distacco legale e dunque la riduzione in pristino e il risarcimento del danno.
[31] cfr Torrente A. e Schlesinger P., Manuale di diritto privato, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2019, 288; vedi Cass. 3236/2017.
[32] vedi Cass. 5078/2022.
[33] vedi Cass. 5335/2021, 38354/2021, 26713/2020; in senso conforme ex multis, Cass 3037/2015, 8671/2001.
[34] vedi Cass 8922/2017.
[35] in Cass. 7929/2017 si cita la nozione di costruzione elaborata dalla giurisprudenza per dimostrare la sussunzione tipologica del muro di contenimento di un terrapieno all’interno della categoria del muro di fabbrica: “la nozione di costruzione si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato aventi i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo anche mediante appoggio od incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente (…); deve considerarsi costruzione per la parte del muro che si innalza, oltre il piano del fondo sovrastante ed alla medesima disciplina deve ritenersi soggetto il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell’uomo che va quindi equiparato a muro di fabbrica e come tale assoggettato al rispetto delle distanze legali tra costruzioni”.
[36] vedi Cass. 12131/2018, 24473/2017, 8910/2017, 7939/2017, 8144/2001; Cass. 8144/2001 ha dato origine all’orientamento riguardo alla distinzione tra muro di contenimento artificiale e naturale.
[37] vedi Cass. 7857/2021, 9913/2017, 1558/1974.
[38] vedi Cass. 9913/2017, 19251/2015, 2471/2001.
[39] vedi Cass. 29314/2021, 18030/2019, 27364/2018, 6006/2008, 8236/1997.
[40] vedi Cass. 9077/2007.
[41] vedi motivazione in Cass. 391/2021.
[42] vedi Cass. S.U. 24410/2011 e più di recente Cass. 391/2021.
[43] art 44 co 1 DPR 327/2001 recita: “È dovuta una indennità al proprietario del fondo che, dalla esecuzione dell’opera pubblica o di pubblica utilità, sia gravato da una servitù o subisca una permanente diminuzione di valore per la perdita o la ridotta possibilità di esercizio del diritto di proprietà.”
[44] vedi Cass. 391/2021: se è vero che la dichiarazione di pubblica utilità è stata in origine e per lungo periodo caratterizzata dall’esercizio della potestà espropriativa, è altrettanto vero che nel corso degli anni essa ha progressivamente acquistato una piena autonomia, come si desume da numerosi interventi legislativi aventi ad oggetto la declaratoria di pubblico interesse rispetto a beni ed attività del tutto avulsi da procedimenti di natura ablativa.
[45] vedi motivazione in Cass. 391/2021.