In una società caratterizzata dalla partecipazione di due soci paritetici – presenza implicante un sostanziale bilanciamento dei voti in capo ad entrambi – non è escluso, semmai è comune, il rischio di incorrere in situazioni di stallo decisionale.
Da una simile circostanza deriva non solo il blocco generale delle attività: l’art. 2484 c.c. prevede come causa di scioglimento delle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata “l’impossibilità di funzionamento e la continuata inattività dell’assemblea”.
La disgregazione della società gravata dallo stallo decisionale è, dunque, un’ipotesi concreta e pericolosa che richiede l’intervento preventivo dei due soci al fine di scongiurare il cessarsi delle attività, la liquidazione, la perdita di clienti e fornitori ovvero la conclusione di un difficile e sofferto accordo in pieno periodo di crisi.
1. Patti parasociali
Qualora non si provveda ad inserire nello statuto determinate clausole e/o patti di trascinamento (clausole drag-along e bring-along) – ricorrenti per lo più quando uno dei due soci ha capacità imprenditoriale e l’altro solo finanziaria – diviene particolarmente sentita l’esigenza di ricorrere ai patti parasociali.
Trattasi di accordi mediante i quali si contribuisce a “stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società” (art. 2341 bis c.c.), regolando in maniera difforme i rapporti originariamente delineati nell’atto costitutivo ovvero nello statuto.
Tali patti possono avere per oggetto l’esercizio del diritto di voto nonché costituire un diritto di prelazione a favore di un socio nel caso in cui l’altro abbia intenzione di vendere le proprie quote.
Simili accordi, tuttavia, hanno efficacia obbligatoria, in quanto obbligano solamente i soci firmatari e non sono opponibili nei confronti della società, fatta eccezione al caso in cui la stessa società partecipi al patto con la regolare ed espressa rappresentanza dei suoi organi e ne riconosca e assuma i relativi obblighi con atto degli organi competenti e nelle forme di legge.
È “invalido, ad esempio, il sindacato di voto che delega, con mandato irrevocabile, l’esercizio del diritto di voto, secondo le direttive della maggioranza dei sottoscrittori, alla società fiduciaria depositaria delle azioni sindacate, in quanto in contrasto con le norme a tutela del diritto di voto e del corretto funzionamento dell’assemblea”.
Orbene, in una situazione di stallo decisionale uno dei soci litiganti potrebbe benissimo infrangere il contenuto degli accordi presi, essendo unicamente tenuto al risarcimento dei danni nei confronti dell’altro ovvero al pagamento di penali – spesso ingenti. Il rischio, nel caso in esame, è evidente.
I patti parasociali hanno altresì una durata determinata (rispettivamente cinque e tre anni per le società non quotate e quotate) e, ove non sia previsto un termine di durata, prevedono il diritto di recedere con un preavviso di almeno centottanta giorni.
2. Clausole di opzione put/call in un patto parasociale
È particolarmente discussa in dottrina e giurisprudenza la possibilità di includere clausole di opzione put e/o call[1] in previsione del mancato rinnovo del patto parasociale ovvero del recesso del socio contraente.
All’opinione secondo cui le suddette clausole sono nulle giacché eludono la disciplina inerente alla durata dei patti sociali si contrappone la tesi che, invece, ne ammette la liceità sino a quando non viene compromessa la libertà per il parasocio di svincolarsi dall’accordo.
Si ritengono – non a caso – invalide tutte quelle clausole che incidono sulla facoltà del paciscènte di sciogliersi dal patto parasociale ricollegandovi conseguenze sanzionatorie quali la previsione di opzioni put a prezzo irrisorio e, dunque, punitivo.
In ogni caso, la previsione in un patto parasociale di opzioni put/call reciproche potrebbe rappresentare una possibile soluzione all’impasse di cui sopra: colui che farà valere la clausola di opzione che preferisce avrà, di conseguenza, un rilevante potere decisionale sulla società e un vantaggio rispetto all’altro socio.
3. Buy-sell agreements e varianti
La tecnica di superamento dello stallo appena esaminata pone, tuttavia, i soci paritetici in una difficile situazione, prospettando appunto l’ipotesi in cui uno dei due partner esclude l’altro.
Ebbene, i soci raramente scelgono simili meccanismi in previsione di una situazione di deadlock.
Giungono ad un analogo risultato, i c.d. buy-sell agreement.
Trattasi della reciproca imposizione, mediante accordo, di un vincolo d’acquisto delle quote societarie appartenenti al socio paritetico.
Si analizzi, ad esempio, l’accordo denominato Roulette russa: “Uno dei soci presenta un’offerta per l’acquisto delle quote societarie del suo pari a un certo prezzo.
Se il socio che ha ricevuto la proposta non è disposto a vendere, diventa obbligato ad acquistare le quote dell’altra parte al prezzo specificato nell’offerta.
Chi avvia il processo nella convinzione di diventare l’unico azionista della società, può risultare costretto a vendere tutte le sue quote, mentre la controparte si trova nella scomoda situazione di dover scegliere se vendere o acquistare, con quest’ultima opzione che lo obbliga a reperire le necessarie risorse finanziarie con un preavviso relativamente breve”.
Tale meccanismo nasconde, tuttavia, un notevole rischio.
Qualora uno dei soci abbia una maggiore disponibilità finanziaria dell’altro e ne sia consapevole, vi sarà una buona possibilità che questi proponga un prezzo per lui conveniente e, allo stesso tempo, irraggiungibile per il partner.
Il socio “debole” sarà costretto a vendere le sue quote.
Il socio “forte”, invece, potrebbe persino apprezzare un’eventuale ipotesi di stallo decisionale e contribuire in mala fede a determinarla.
Alla luce di tali considerazioni, la Roulette russa sarebbe potenzialmente contraria ai principi di buona fede e correttezza contrattuale, specie nel caso in cui non venga determinato un prezzo minimo.
Una variante della Roulette russa è il Texas shootout: “una parte fa la prima mossa offrendosi di acquistare la partecipazione altrui a un certo prezzo; la controparte può accettare di vendere oppure è obbligata a formulare una proposta di acquisto con un corrispettivo maggiore rispetto a quello che gli è appena stato offerto.
In alternativa (fairest sealed bid), entrambe le parti devono consegnare una busta chiusa a un terzo: chi ha offerto il prezzo maggiore, acquista le quote della controparte.
Un’ulteriore variante consiste nell’avviare un vero e proprio processo d’asta, con le parti che aumentano le loro offerte in diretta e palese competizione finché la proposta diventi irresistibile”.
Vige il medesimo discorso inerente ai principi di buona fede e correttezza contrattuale e alla determinazione di un prezzo minimo da cui partire l’offerta.
4. Pegno e usufrutto di titoli
Una menzione a parte va fatta per quei meccanismi di superamento dello stallo decisionale facenti riferimento ad alcuni contratti tipici ad efficacia reale.
Tali istituti hanno il vantaggio di mantenere invariato l’aspetto patrimoniale inerente alla proprietà delle azioni, nonché quello di potere essere sottoposto a termine ovvero a condizione risolutiva.
Trattasi del pegno e dell’usufrutto su titoli.
Orbene, si riporta integralmente il contenuto dell’art. 2352 c.c.: “Nel caso di pegno o usufrutto sulle azioni, il diritto di voto spetta, salvo convenzione contraria, al creditore pignoratizio o all’usufruttuario. (…) Se le azioni attribuiscono un diritto di opzione, questo spetta al socio ed al medesimo sono attribuite le azioni in base ad esso sottoscritte.
Qualora il socio non provveda almeno tre giorni prima della scadenza al versamento delle somme necessarie per l’esercizio del diritto di opzione e qualora gli altri soci non si offrano di acquistarlo, questo deve essere alienato per suo conto a mezzo banca od intermediario autorizzato alla negoziazione nei mercati regolamentati.
Nel caso di aumento del capitale sociale ai sensi dell’articolo 2442, il pegno, l’usufrutto (o il sequestro) si estendono alle azioni di nuova emissione.
Se sono richiesti versamenti sulle azioni, nel caso di pegno, il socio deve provvedere al versamento delle somme necessarie almeno tre giorni prima della scadenza; in mancanza il creditore pignoratizio può vendere le azioni nel modo stabilito dal secondo comma del presente articolo.
Nel caso di usufrutto, l’usufruttuario deve provvedere al versamento, salvo il suo diritto alla restituzione al termine dell’usufrutto. Se l’usufrutto spetta a più persone, si applica il secondo comma dell’articolo 2347.
Salvo che dal titolo o dal provvedimento del giudice risulti diversamente, i diritti amministrativi diversi da quelli previsti nel presente articolo spettano, nel caso di pegno o di usufrutto, sia al socio sia al creditore pignoratizio o all’usufruttuario”.
Il controllo della società, in tal caso, può essere affidato ad un soggetto terzo ai soci.
5. Il contratto di riporto
Un altro contratto tipico da tenere in considerazione è quello di riporto, disciplinato dagli art. 1548- 1551 c.c.
Attraverso il presente contratto il socio riportato trasferisce in proprietà al socio riportatore azioni della società in stallo verso un corrispettivo in denaro, e il riportatore assume l’obbligo di trasferire al riportato, alla scadenza del termine stabilito, la proprietà di altrettanti azioni societarie.
In questo caso, vi sarebbe una assunzione temporanea del necessario numero di diritti di voto e del controllo al fine di far fronte alla situazione di deadlock.
Il duplice trasferimento di proprietà ha natura unitaria.
Il prezzo finale del riporto potrebbe cambiare qualora il termine del riporto sia o meno superiore ad un esercizio sociale.
Bisogna, tuttavia, dire che un accordo del genere sarebbe difficile da raggiungere qualora entrambi i soci siano interessati al controllo della società.
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[1] L’opzione put obbliga un socio a vendere una determinata quantità delle proprie partecipazioni sociali a un prezzo determinato o determinabile; l’opzione call concede a un azionista la facoltà di acquistare le partecipazioni sociali altrui, sempre a un prezzo fissato o determinabile.