I danni punitivi (punitive damages) rappresentano un istituto giuridico tipico degli ordinamenti di Common Law, in base ai quali, nei casi di responsabilità extracontrattuale, viene riconosciuto al danneggiato un risarcimento ulteriore rispetto a quello che sarebbe necessario per riparare il danno subito.
Al danneggiato viene quindi riconosciuta una somma di denaro, il cui ammontare, supera il valore del danno stesso.
Tale somma, inoltre, gli è comminata anche in chiave sanzionatoria.
Pare dunque possibile affermare che la finalità dei danni punitivi sia quella di punire l’autore dell’illecito, condannandolo al pagamento di una somma di denaro il cui importo è superiore all’effettivo pregiudizio patito dal danneggiato.
Il contrasto giurisprudenziale
Come già evidenziato in una nostra precedente nota all’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, sul punto sussisteva un contrasto giurisprudenziale.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, nel nostro ordinamento giuridico i danni punitivi non sarebbero riconoscibili, in quanto, al sistema della responsabilità civile è assegnato il compito restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, mediante il pagamento di una somma di denaro che tenda ad eliminare le conseguenze del danno arrecato.
Alla luce di tale orientamento, i danni punitivi non potrebbero trovare riconoscimento nel sistema italiano poiché sono contrari all’ordine pubblico (Cass. Civ. sent. n. 1183/2007) dal momento che la funzione di deterrenza è estranea al sistema italiano della responsabilità civile.
Una parte della giurisprudenza, ha invece iniziato a manifestare una certa apertura all’ammissibilità dei punitive damages, avendo avuto modo di statuire che è necessario superare il carattere monofunzionale della responsabilità civile costituito unicamente dalla finalità reintegratoria del risarcimento.
La funzione sanzionatoria del risarcimento del danno
Due sono le argomentazioni che avevano condotto ad un ripensamento della posizione assunta dalla giurisprudenza di legittimità nel 2007.
Il primo argomento è di diritto comparato: a bene vedere, altri ordinamenti europei hanno infatti riconosciuto che i punitive damages non sono di per sé contrari all’ordine pubblico.
Infatti, secondo alcune sentenze di altri paesi dell’Unione Europea, la condanna ai danni punitivi è inammissibile solo quando risulti che gli stessi siano stati liquidati in maniera eccessiva.
Il secondo argomento invece ruota attorno al tema della funzione della responsabilità civile.
Si ritiene infatti che la responsabilità civile sia caratterizzata da polifunzionalità e che la funzione riparatoria, seppur prevalente, non sia l’unica attribuibile ad essa.
A sostegno di questa tesi vi sarebbero numerosi indici normativi nell’ordinamento italiano: l’articolo 12 della legge n. 7/1948 (diffamazione a mezzo stampa), l’articolo 96, comma 3 del codice di procedura civile, considerato dalla giurisprudenza un caso di condanna punitiva, l’articolo 709 ter del codice di procedura civile concernente le controversie tra genitori in tema di responsabilità genitoriale.
Nonostante quanto sopra esposto, a parere dell’orientamento giurisprudenziale tradizionale, i danni punitivi resterebbero ad ogni modo estranei al sistema della responsabilità civile di cui all’articolo 2043 del Codice Civile che opera in chiave riparatoria più che sanzionatoria.
Pertanto, rispetto al profilo da ultimo evocato, essi non possono trovare automatica applicazione nel nostro ordinamento.
Il caso in esame
Il caso di specie trae origine da una controversia azionata da un rivenditore americano di caschi per motocross, contro una società italiana produttrice degli stessi, per il riconoscimento di un indennizzo di una ingente somma di denaro corrisposta dal rivenditore ad un motociclista il quale, a causa di un vizio del casco, aveva riportato danni in seguito ad un sinistro.
La società americana adiva la Corte d’Appello di Venezia per il giudizio di delibazione, al fine di rendere esecutiva in Italia la sentenza contenente la condanna ai danni punitivi ai sensi della legge n. 218/1995 e la stessa, all’esito del giudizio, veniva dichiarata efficace.
La società soccombente presentava ricorso per Cassazione sostenendo la non ammissibilità nel nostro ordinamento delle sentenze straniere che riconoscono i danni punitivi.
Sussistendo il suesposto contrasto in materia, la questione è stata pertanto rimessa al vaglio delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
La decisione delle Sezioni Unite
Con la Sentenza n. 16601 del 05/07/2017, le Sezioni Unite hanno risolto il predetto contrasto, affermando che l’istituto dei risarcimenti punitivi di origine statunitense non è ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano.
La Suprema Corte ha in primo luogo chiarito che nel vigente ordinamento alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile.
Il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere deve però corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell’ordinamento straniero su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i limiti quantitativi, dovendosi avere riguardo, in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell’atto straniero e alla loro compatibilità con l’ordine pubblico.
Le Sezioni Unite, sono arrivate ad affermare ciò al termine di una argomentazione molto articolata.
In buona sostanza, nella sentenza è evidenziato come accanto alla primaria funzione compensativo-riparatoria dell’istituto della responsabilità civile, sia emersa altresì una natura polifunzionale che si proietta verso più aree tra cui quella preventiva e quella sanzionatorio-punitiva.
Secondo la Corte di legittimità, nel nostro ordinamento, vi sarebbe spazio per una concezione polifunzionale della responsabilità civile che risponde ad una un’esigenza di effettività della tutela.
Tutto ciò sarebbe peraltro confermato da una sentenza della Corte Costituzionale che, decidendo su una questione relativa all’art. 96 del codice di procedura civile, ha consacrato la natura non risarcitoria e più propriamente sanzionatoria con finalità deflattive del contenzioso della responsabilità stessa (Corte Costituzionale Sentenza n. 152/2016).
Quanto sopra esposto, rappresenta una forte e chiara presa di posizione da parte delle Sezioni Unite, a favore della compatibilità dell’istituto de quo con l’ordinamento giuridico italiano.
I limiti alla risarcibilità dei danni punitivi
Tutto quanto premesso, a parere delle Sezioni Unite, vi sono tuttavia una serie di limiti da rispettare.
Innanzitutto, in base al principio di legalità, è necessario che la sentenza straniera sia stata emessa in base ad una norma di legge che permetta
- la tipicità delle ipotesi di condanna,
- la loro prevedibilità
- e i limiti di natura quantitativa al risarcimento stesso.
Appare dunque possibile affermare che l’istituto dei danni punitivi non sia automaticamente applicabile in Italia poiché rappresenta un’eccezione alla regola che, in quanto tale, deve essere legittimata da una specifica disposizione di legge.
Risulta quindi necessario che il giudice operi un controllo al fine di verificare che, nell’ordinamento straniero, la sentenza sia stata pronunciata sulla base di disposizioni normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna.
Per concludere, le Sezioni Unite hanno affermato il principio di diritto secondo cui i danni punitivi sono ammissibili nell’ordinamento italiano, ma soltanto laddove venga rispettato il principio di legalità e siano quindi riconosciuti soltanto nell’ipotesi in cui esista una norma di legge che li preveda.