Diritto d’autore: la riforma sul copyright approvata dal Parlamento Europeo

in Giuricivile, 2018, 9 (ISSN 2532-201X)

Nemmeno il tempo di abituarsi alle novità introdotte con il GDPR, il recentissimo regolamento europeo in materia di trattamento dei dati, che l’Europa si dichiara già pronta a un nuovo cambiamento, questa volta in materia di diritto d’autore.

Il Parlamento europeo, infatti, con comunicato stampa del 12 settembre u.s., ha dato atto dell’avvenuta approvazione della riforma sul copyright: la proposta di direttiva è passata con 438 voti favorevoli, 226 contrari e 39 astenuti.

La nuova disciplina è pensata al fine di adeguare la normativa esistente alle realtà emerse con l’evoluzione delle tecnologie digitali, evitando così la frammentazione del mercato interno. Nel testo della proposta di direttiva si legge: «l’evoluzione delle tecnologie digitali ha fatto emergere nuovi modelli di business e ha rafforzato il ruolo di Internet quale principale mercato per la distribuzione e l’accesso ai contenuti protetti dal diritto d’autore. Nel nuovo contesto i titolari di diritti incontrano difficoltà nel momento in cui cercano di concedere una licenza e di essere remunerati per la diffusione online delle loro opere, il che potrebbe mettere a rischio lo sviluppo della creatività europea e la produzione di contenuti creativi. Occorre perciò garantire che gli autori e i titolari di diritti ricevano una quota equa del valore generato dall’utilizzo delle loro opere e di altro materiale».

Quanto sopra non deve trarre in inganno: intento dell’Unione Europea non è quello di bloccare la condivisione di opere o altro materiale tramite il mondo del web, bensì quello di rimuovere gli ostacoli di accesso al patrimonio culturale, attraverso l’introduzione di meccanismi che favoriscano (e non più frenino) la circolazione transfrontaliera dei contenuti protetti dal diritto d’autore, grazie al rafforzamento delle tutele dei soggetti coinvolti.

Centrali diventano, dunque, le misure dirette a migliorare la trasparenza, nonché a rendere maggiormente equilibrati i rapporti contrattuali tra autori e artisti (interpreti o esecutori) e coloro cui essi cedono i loro diritti.

In definitiva, la riforma si propone di realizzare un sistema in grado di garantire il buon funzionamento del mercato per il diritto d’autore, con impatto positivo su produzione, disponibilità di contenuti e pluralismo dei mezzi di comunicazione; il che si traduce in beneficio per i consumatori.

Brevi cenni al diritto d’autore nell’era digitale

Le difficoltà per il diritto d’autore di “stare al passo” con una realtà costantemente in movimento, quale è quella digitale, non rappresentano una novità.

Il diritto d’autore, infatti, si è da sempre mostrato particolarmente sensibile rispetto ai mutamenti introdotti dal progresso tecnologico[1]; non stupisce, dunque, che l’avvento di Internet abbia prodotto effetti dirompenti nella sua disciplina, determinando l’insorgere di nuove problematiche giuridiche, legate alla possibilità di liberamente fruire, tramite il web, di opere protette dal copyright.

Le nuove tecnologie digitali, e nello specifico la Rete Internet[2], hanno determinato uno stravolgimento della realtà quotidiana dell’individuo, nonché della sua usuale percezione di sé e del mondo circostante, portando alla relativizzazione degli stessi concetti di tempo e spazio.

Il web, infatti, ha comportato una profonda trasformazione delle abilità e possibilità tradizionali dell’individuo; basti pensare che oggi è possibile leggere senza carta, scrivere senza penna o, addirittura, in campo relazionale, conoscersi senza mai essersi incontrati[3].

Questa trasformazione ha investito, più o meno intensamente, tutti i circuiti produttivi quotidiani, fra cui anche il diritto d’autore; si pensi, infatti, all’attuale tendenza della comunità a condividere informazioni in modo massiccio e in maniera non sempre autorizzata, nonché allo stimolo, soprattutto per i più audaci, a sperimentare contenuti diversi, impensabili prima dell’avvento del digitale.

Il diritto d’autore si è trovato, così, a dover fronteggiare tutta una serie di rischi connessi allo sviluppo delle nuove tecnologie, a partire dal suo stesso riconoscimento. In rete, infatti, le opere possono essere facilmente moltiplicate e distribuite, moltiplicandosi anche il numero degli intermediari e, conseguentemente, le modalità di fruizione delle stesse.

Ciò ha portato ad una necessaria revisione degli stessi concetti di autore e di opera. Da un lato, chiunque con la tecnologia digitale è in grado di intervenire su di un’opera esistente, manipolandola o trasformandola[4]; la figura dell’autore, intesa nella sua accezione tradizionale, perde, allora, i suoi confini definiti, per lasciare spesso spazio ad un’idea più ampia, quella di “contributore” nella realizzazione di un’opera multimediale[5]. Dall’altro lato, in quella che viene definita l’epoca della smaterializzazione, inevitabilmente non saranno più i beni materiali ad essere riconosciuti come meritevoli di tutela, bensì le idee, i concetti, le immagini, perdendo progressivamente rilevanza la proprietà del capitale fisico[6].

Questi cambiamenti hanno progressivamente evidenziato la necessità di adeguare la normativa vigente al mutato quadro sociale, per far fronte alle nuove realtà emerse con lo sviluppo tecnologico.

I diversi ordinamenti nazionali hanno, infatti, tutti affrontato il problema, sia pur con tempi e strumenti diversi. Il primo ad intervenire è stato quello statunitense con il Digital millennium copyright Act (1998), introducendo tutta una serie di disposizioni in materia di lotta contro la pirateria informatica e la duplicazione illegale del software, nonché prevedendo alcune sanzioni a carico degli Internet Service Providers[7] che non avessero provveduto a rimuovere dai propri siti i materiali illegali.

Per quanto riguarda l’Italia, invece, si è tentato di offrire un efficace strumento di tutela rispetto alla pirateria informatica e alla contraffazione con la legge 18 agosto 2000, n. 248, che è intervenuta in modifica della legge del ’41 sul diritto d’autore. Non va, però, sottovalutato il ruolo attivo della nostra giurisprudenza, che ha svolto e, tuttora, svolge un’efficace attività interpretativa, fornendo un contributo particolarmente prezioso nella risoluzione dei problemi di un diritto c.d. vivente, qual è quello legato ad Internet ed alla tecnologia.

La diffusione progressiva di Internet come strumento di comunicazione e contrattazione di massa è, infatti, alla base di tutta una serie di esigenze di mediazione giuridica e problemi di adattamento delle categorie e degli strumenti di diritto comune rispetto a fenomeni nuovi. In particolare, in merito alla riproduzione su Internet di opere protette dal diritto d’autore, vediamo contrapporsi le istanze di quanti propongono un ampliamento delle facoltà di liberamente utilizzare i contenuti che circolano in rete, evocando il diritto di cronaca o la libertà dell’informazione[8], e quelle di chi, all’opposto, da quei contenuti dovrebbe trarre un profitto, in quanto titolare dei diritti di utilizzazione economica dei medesimi.

In definitiva, il forte dinamismo del mondo digitale impone il costante adeguamento degli strumenti di tutela. In tale ottica, il legislatore europeo ha ritenuto che gli stessi non fossero più sufficienti a garantire il giusto equilibrio tra i contrapposti diritti e interessi degli autori (o di altri titolari), da un lato, e degli utenti, dall’altro. In particolare, si è ritenuto che le eccezioni e le limitazioni al diritto d’autore e ai diritti connessi, pur armonizzate a livello europeo, presentassero tuttora un carattere nazionale, non garantendo, pertanto, certezza giuridica quanto agli utilizzi transfrontalieri. Da qui la necessità di riformare la materia.

La Commissione ha, pertanto, identificato tre settori di intervento: utilizzi digitali e transfrontalieri nel campo dell’istruzione, estrazione di testo e di dati per scopi di ricerca scientifica e conservazione del patrimonio culturale. L’obiettivo è quello di garantire la legittimità di taluni tipi di utilizzo all’interno di questi settori, non solo a livello nazionale, ma anche oltre frontiera.

Il nuovo volto del diritto d’autore

«I giganti del web dovranno remunerare i contenuti prodotti da artisti e giornalisti». Questo l’incipit del già richiamato comunicato stampa del Parlamento europeo[9].

Le grandi compagnie del web, infatti, saranno chiamate, secondo quelli che sono i progetti e le aspettative dell’Unione, a condividere i loro ricavi con artisti e giornalisti. «Molte delle modifiche apportate dal Parlamento alla proposta originaria della Commissione europea mirano a garantire che i creativi, in particolare musicisti, artisti, interpreti e sceneggiatori, nonché editori e giornalisti, siano remunerati per il loro lavoro quando questo è utilizzato da piattaforme di condivisione come YouTube o Facebook e aggregatori di notizie come Google News».

Rafforzata, quindi, la responsabilità di piattaforme e aggregatori in merito alle violazioni del diritto d’autore. In pratica, tali soggetti avranno l’obbligo di remunerare chi detiene i diritti sul materiale protetto da copyright, laddove intendano metterlo a disposizione di terzi. «Il testo richiede inoltre espressamente che siano i giornalisti stessi, e non solo le loro case editrici, a beneficiare della remunerazione derivante da tale obbligo di responsabilità».

In altri termini, la posizione negoziale di autori e artisti viene ridefinita, garantendo loro la possibilità di effettivamente controllare lo sfruttamento delle proprie opere ed “esigere” una remunerazione supplementare, nel caso in cui il compenso corrisposto originariamente risulti “sproporzionatamente” basso rispetto ai benefici che ne derivano. Le misure approvate consentirebbero, inoltre, agli autori e agli artisti di revocare o porre fine all’esclusività di una licenza di sfruttamento dell’opera, laddove la parte titolare dei diritti di sfruttamento appaia non esercitare tale diritto correttamente.

Per evitare, però, che la nuova disciplina finisca con il tradursi in un freno alla libertà di espressione, i deputati europei hanno provveduto ad introdurre nuove disposizioni volte proprio a garantire che la stessa non venga ingiustamente ostacolata. Vediamo quali.

In primo luogo, nel tentativo di incoraggiare l’innovazione e la nascita di nuove start-up, le piccole e micro imprese del web sono espressamente escluse dal campo di applicazione della riforma.

Inoltre, la semplice condivisione di collegamenti ipertestuali (i c.d. hyperlink) ad articoli, così come l’impiego di parole isolate a fini meramente descrittivi e/o introduttivi degli stessi, resterà libera dal vincolo del copyright.

Del pari, il caricamento di contenuti su enciclopedie online che non hanno fini commerciali, come ad esempio Wikipedia, o su piattaforme per la condivisione di software open source, quale è GitHub, sarà automaticamente esonerato dall’obbligo di conformarsi alle novità introdotte.


[1] Basti pensare che è stata la nascita della stampa a caratteri mobili (XV secolo) a costituire l’elemento di svolta in materia, portando all’introduzione delle prime forme di tutela per autori ed editori.

[2] Internet trae origine da ARPANET, una rete di computer elaborata negli Stati Uniti d’America nel settembre del 1969, per opera dell’Advanced Research Projects Agency, ente di ricerca incaricato nel ’62 dal Governo statunitense di realizzare un sistema di comunicazione tale da garantire la possibilità di trasmettere dati anche in caso di conflitto nucleare.

[3] Sul punto vedi V. Malgieri, Condivisione digitale, cultura libera e diritto d’autore, Polìmata, Roma, 2011, p. 29 ss.

[4] Si pensi al meccanismo dello User-Generated Content tramite cui gli utenti stessi della rete possono diventare autori (è il caso di siti web quali Wikipedia o Youtube).

[5] V. Zeno-Zencovich, Diritto d’autore e libertà d’espressione: una relazione ambigua, in AIDA, 2005, p. 156, rileva che, oggi, le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno reso superflua l’intermediazione da parte dei media, essendo le informazioni direttamente accessibili dalla loro fonte e potendo un individuo re-indirizzarle verso molti altri individui. L’utente, allora, è sempre meno un mero utente finale, quale sarebbe, ad esempio, il lettore di un giornale, progressivamente trasformandosi in un «soggetto che rielabora e ritrasmette le informazioni che ha ricevuto». L’alfabetizzazione digitale, allora, diventa un problema di rilievo costituzionale: solo quei cittadini in grado di utilizzare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione saranno in grado di effettivamente (e non solo nominalmente) esercitare i loro diritti costituzionali.

[6] A. Sirotti Gaudenzi, La tutela del diritto d’autore in Rete, in Notiziario Giuridico Telematico (http://www.notiziariogiuridico.it/proprietaintellettuale.html).

[7] Trattasi di quel soggetto che, attraverso un contratto di accesso alla rete, fornisce la connessione, al fine di consentire all’utente di fruire dei servizi telematici disponibili sul web. Nell’ambito delle attività svolte dall’ISP, la questione più controversa è quella relativa alla sua responsabilità rispetto alle violazione che vengono commesse attraverso i servizi da esso messi a disposizione degli utenti.

[8] V. Zeno-Zencovich, op. cit., p. 155 ss., definisce le società contemporanee come «società dell’informazione» o «società della conoscenza», costituendo l’informazione «l’elemento più prezioso del nostro sistema economico e sociale». L’autore rileva come negli ultimi anni si sia assistito ad una vera e propria corsa all’appropriazione delle informazioni e come la disponibilità delle stesse dipenda principalmente da decisioni politiche, lamentando l’assenza di una regolamentazione coerente, in luogo di un approccio particolaristico che tende a soddisfare il gruppo di pressione più forte in un dato momento storico. Due questioni, allora, assumono rilievo costituzionale: la creazione di un servizio universale di comunicazione elettronica, garantendo a tutti la possibilità di accedere alla rete ad un prezzo equo e con modalità facili e veloci, e l’accessibilità ai contenuti presenti in rete. Quanto alla seconda questione, il problema è se sia o meno configurabile un diritto di accedere a tutti i contenuti presenti in rete. La risposta, secondo l’autore, non può che essere negativa, presentando il diritto all’informazione una pluralità di sfaccettature, richiedenti ciascuna approcci e soluzioni differenti. Il problema del file sharing, per esempio, costituirebbe un grande equivoco, avendo ben poco a che vedere con la libertà di accesso alle informazioni: esso rientrerebbe, infatti, nel campo dell’intrattenimento o del divertimento, il quale, pur svolgendo un ruolo indubbiamente importante nelle società umane, non si ritiene possa assumere caratteri costituzionali.

[9] Il comunicato è liberamente consultabile su http://www.europarl.europa.eu/news/it/press-room/20180906IPR12103/copyright-il-parlamento-adotta-la-sua-proposta-di-riforma.

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