
Il presente contributo si propone di evidenziare l’illegittimità della disposizione contenuta nell’art. 1282, comma 3, c.c., nella parte in cui esclude il diritto agli interessi in favore del soggetto che, titolare di un diritto di godimento su cosa altrui e non tenuto né al pagamento di un corrispettivo né all’obbligo di rendiconto, abbia sostenuto spese per il miglioramento del bene. Tale previsione risulta, infatti, in contrasto con i principi espressi dagli artt. 1808, 2031, 2033, 1207 e 1230 c.c., i quali impongono una diversa disciplina delle conseguenze patrimoniali derivanti dall’arricchimento altrui.
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Formulario commentato del nuovo processo civile
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Lucilla Nigro
Autrice di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022.
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La questione: la negazione del diritto agli interessi ex art. 1282 comma 3 c.c.
L’art. 1282, comma 3, c.c. stabilisce che:
“Se il credito ha per oggetto rimborso di spese fatte per cose da restituire, non decorrono interessi per il periodo di tempo in cui chi ha fatto le spese abbia goduto della cosa senza corrispettivo e senza essere tenuto a render conto del godimento”.
Il principio espresso è chiaro: la parte che abbia sostenuto spese per migliorare un bene ricevuto in godimento, senza dover alcuna controprestazione, non ha diritto agli interessi sulle somme versate.
Da ciò si deduce che il diritto agli interessi spetta solo a chi, oltre a sostenere le spese, sia contrattualmente obbligato a una prestazione in favore della controparte.
La ratio della norma
Questa impostazione tutela l’equilibrio contrattuale.
Riconoscere gli interessi anche a chi non ha alcun obbligo negoziale, pur avendo migliorato un bene altrui, creerebbe un’asimmetria: un vantaggio economico per una parte a fronte di nessun sacrificio giuridico.
Tuttavia, questa interpretazione trascura un dato rilevante: il miglioramento del bene apportato da un soggetto diverso dal proprietario produce comunque un arricchimento patrimoniale.
Sia che tale beneficio derivi da una prestazione contrattuale, sia che consegua a migliorie volontarie, l’effetto oggettivo è lo stesso: l’altro contraente riceve un vantaggio economico.
Differenza tra utilità immediata e utilità differita
Nel primo caso, l’utilità è diretta: la prestazione si esegue entro un termine.
Nel secondo, l’utilità si manifesta al termine del rapporto: il bene sarà restituito in uno stato migliorato.
Il punto centrale diventa allora chiedersi se il principio dell’art. 1282, comma 3, c.c. sia inderogabile, oppure se esistano eccezioni sistemiche che ne attenuino la portata.
Il contratto di comodato: l’art. 1808 c.c. e spettanza del diritto del comodatario agli interessi
La fattispecie dell’art. 1282, comma 3, c.c. può inquadrarsi nel comodato gratuito, disciplinato dagli artt. 1803–1812 c.c.
Il comodatario riceve il bene senza corrispettivo. La norma non gli attribuisce espressamente un diritto agli interessi per eventuali spese di miglioramento.
Tuttavia, l’art. 1808 c.c. stabilisce che:
“Il comodatario non ha diritto al rimborso delle spese sostenute per servirsi della cosa”.
Due possibili interpretazioni
Questa espressione si può intendere in due modi:
-
Spese essenziali, cioè necessarie a rendere la cosa idonea all’uso;
-
Spese di miglioramento, non strettamente necessarie ma finalizzate ad aumentare l’utilità della cosa.
L’interpretazione più coerente con il testo sembra la prima. Il comodatario, diversamente dal locatario (che ha diritto a una cosa in buono stato), può ricevere beni anche non perfettamente funzionanti, e sostenere spese per renderli utilizzabili.
Conseguenze sulla spettanza degli interessi
Se il comodatario non ha diritto al rimborso delle spese necessarie, dovrebbe invece aver diritto agli interessi sulle somme pagate per migliorare la cosa.
Infatti, pur traendone un vantaggio immediato, egli genera un beneficio differito e stabile per il comodante, che potrà disporre di un bene valorizzato alla restituzione.
Il contratto di donazione: mancanza di una norma attributiva al donatario di un diritto agli interessi
La stessa fattispecie si presta a essere ricondotta al contratto di donazione.
Se Tizio attribuisce a Caio un diritto di godimento su un proprio bene senza oneri o obblighi, si configura un atto di liberalità.
Donazione modale e patto di riversibilità
Nel caso in esame:
-
Non si tratta di donazione modale, poiché manca un obbligo di rendiconto o altra prestazione;
-
Potrebbe configurarsi un patto di riversibilità (art. 791 c.c.), ma il ritorno del bene può avvenire anche al termine di un periodo stabilito contrattualmente, non solo alla morte del donatario.
Tuttavia, la disciplina della donazione (artt. 769–809 c.c.) non riconosce al donatario alcun diritto agli interessi per le migliorie eseguite.
Diversamente dal comodato, qui è più arduo giustificare il diritto al compenso.
La gestione di affari ex art. 2031 c.c.: il diritto del gestore agli interessi
L’art. 2031 c.c. prevede che il gestore ha diritto al rimborso delle spese “necessarie o utili” sostenute per l’altrui interesse, con interessi dal giorno in cui sono state effettuate.
Questo vale a condizione che la gestione sia stata utilmente iniziata.
Un confronto con il caso ex art. 1282, comma 3
Se il diritto agli interessi spetta a chi ha solo iniziato un’attività per conto altrui, tanto più dovrebbe spettare a chi, come il donatario, ha effettivamente migliorato un bene altrui con effetti patrimoniali positivi per il donante.
L’art. 2033 c.c.: interessi spettanti a chi ha pagato l’indebito
L’art. 2033 c.c. disciplina il pagamento dell’indebito oggettivo e riconosce:
-
Il diritto alla ripetizione di quanto indebitamente versato;
-
Gli interessi sui pagamenti, se chi li ha ricevuti era in mala fede (o, in buona fede, dal giorno della domanda).
Il paradosso normativo
Chi ha pagato indebitamente ha diritto agli interessi.
Chi invece ha eseguito migliorie lecite su un bene altrui, senza obbligo né errore, non ha diritto a nulla.
Il sistema, dunque, riconosce gli interessi anche a chi ha eseguito prestazioni illecite, ma non a chi ha generato arricchimento lecito. Ciò evidenzia una possibile disarmonia sistemica.
La mora credendi ex art. 1207 c.c.: la mancata attribuzione degli interessi legata all’inerzia del creditore
Secondo l’art. 1207, comma 1, c.c., il creditore che si attiva in ritardo perde il diritto agli interessi (mora credendi).
In questo caso, la perdita del diritto è sanzione dell’inerzia.
Nel caso disciplinato dall’art. 1282, comma 3, c.c., però, la parte che ha migliorato il bene non ha agito per soddisfare un proprio interesse, bensì per generare un vantaggio per la controparte.
Se l’inerzia esclude il diritto agli interessi, l’iniziativa attiva dovrebbe giustificarne il riconoscimento.
L’art. 1282 comma 3 c.c.: l’esecuzione di spese per miglioramenti determina la novazione del rapporto donativo
Nel caso previsto dall’art. 1282, comma 3, c.c., il rapporto contrattuale grava solo sul donante.
Il donatario non ha obblighi. Tuttavia, apportando migliorie a proprie spese con il consenso del donante, egli modifica il contenuto del rapporto.
Una nuova configurazione del rapporto
Il comportamento del donatario integra una novazione ai sensi dell’art. 1230 c.c.: si passa da una prestazione unilaterale (trasferimento del godimento) a un rapporto sinallagmatico, seppur non formalizzato.
Il donante riceve un vantaggio patrimoniale aggiuntivo non previsto nel contratto originario, ma accettato.
Conclusione sistemica
Ai sensi dell’art. 1362, comma 2, c.c., il comportamento complessivo delle parti – anche posteriore alla conclusione del contratto – deve rilevare ai fini dell’interpretazione.
Pertanto, la trasformazione materiale e funzionale del bene operata dal donatario, con il consenso del donante, giustifica il riconoscimento degli interessi sulle somme spese per i miglioramenti.