Con la sentenza n. 23225 del 13 novembre 2015, la quinta sezione civile della Cassazione ha chiarito che il coniuge che, in virtù della separazione consensuale, cede all’ex coniuge la sua quota dell’immobile conserva le agevolazioni fiscali “prima casa”.
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate aveva notificato avviso di liquidazione volto al recupero delle imposte di registro, ipotecaria e catastale dovute in relazione alla contestata decadenza dalla c.d. agevolazione prima casa relativamente all’acquisto di porzione di fabbricato. Il marito-contribuente aveva infatti trasferito un immobile, acquistato un anno prima in regime di separazione dei beni, alla propria moglie nel quadro degli accordi di separazione consensuale, senza provvedere, entro l’anno successivo, al riacquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale.
La Suprema Corte ha in primo luogo ribadito il principio secondo cui l’attribuzione al coniuge della proprietà della casa coniugale in adempimento di una condizione inserita nell’atto di separazione consensuale, non costituisce una forma di “alienazione” dell’immobile rilevante ai fini della decadenza dai benefici “prima casa”: essa costituirebbe al contrario “una forma di utilizzazione dello stesso ai fini della migliore sistemazione dei rapporti tra coniugi, sia pure al venir meno della loro convivenza (e proprio in vista della cessazione della convivenza stessa)“.
A tal riguardo, rileva la Corte di legittimità che la ratio propria dell’agevolazione fiscale c.d. prima casa è quella di favorire l’acquisizione in proprietà della casa da destinare ad abitazione propria e quindi del proprio nucleo familiare. Ebbene, nella fattispecie in esame, l’immobile acquistato con l’agevolazione fiscale per essere destinato a casa familiare resta tale, “continuando quindi innanzitutto a soddisfare la primaria esigenza della conservazione dell’habitat familiare in funzione di tutela della prole, con il solo adeguamento alla sopravvenuta cessazione della convivenza tra i coniugi“.
In conclusione, la Corte rigettava pertanto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, compensando tra le parti le spese del giudizio di legittimità.