Conflitto di interessi tra creditori nel concordato fallimentare: la decisione delle Sezioni Unite

in Giuricivile, 2018, 7 (ISSN 2532-201X), nota a Cass., SS. UU. civ, sent. n. 17186 del 28/6/2018

Il concordato è un accordo tra debitori e creditori finalizzato a svolgere funzioni diverse a seconda che intervenga prima della dichiarazione di fallimento, con lo scopo di evitare la procedura concorsuale (concordato preventivo), o nel corso della procedura fallimentare, quale particolare modalità di conclusione della stessa (concordato fallimentare).

Il breve cenno definitorio permette di chiarire che il concordato, sia esso preventivo o fallimentare, è volto a bilanciare gli interessi della parte debitoria, ma anche e soprattutto dei creditori i quali devono esprimere parere favorevole alla procedura concordataria tanto che, la proposta di concordato viene approvata solo se riceve il voto favorevole dei creditori che “rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto”, come rispettivamente previsto dagli artt. 127 L.F. (concordato fallimentare) e 177 L.F. (concordato preventivo).

È proprio in merito alla votazione dei creditori che si sono prospettati numerosi problemi, alcuni dei quali risolti in via interpretativa dalle Sezioni Unite in commento.

Il conflitto di interessi tra creditori nel concordato fallimentare

In particolare, il conflitto di interessi tra creditori nel sistema concordatario è da sempre oggetto di acceso dibattito giurisprudenziale e dottrinale.

La normativa fallimentare non prevede, infatti, disposizioni specifiche volte a tipizzare e regolamentare l’istituto, diversamente da quanto accade in ambito societario dove il conflitto di interesse tra soci è disciplinato rispettivamente all’art. 2373 c.c. per le società per azioni e all’art. 2379 ter, quanto alle società a responsabilità limitata.

Diverse sono le motivazioni che hanno portato a discutere del tema e vanno tutte rinvenute nelle modifiche apportate a più riprese alla legge fallimentare a partire dal noto d.lgs 5/2006, fino alla recente riforma del giugno 2015: in tal senso, si ricorda che l’originaria disciplina del concordato preventivo e del concordato fallimentare prevedeva un giudizio di convenienza da parte del tribunale competente che, sia pure successivamente alla valutazione, compiva una valutazione anche sui possibili effetti pregiudizievoli per i creditori di minoranza.

Il legislatore del 2006, eliminando il controllo di convenienza del tribunale, ha reso necessaria l’individuazione di una forma di tutela della genuinità della manifestazione del voto dei creditori rispetto alle possibili influenze esterne.

Ancor di più, la questione del conflitto di interessi è emersa a seguito dell’ampliamento del novero dei soggetti legittimati a proporre il concordato fallimentare: se prima della riforma la legittimazione era riservata solo al fallito, escludendo espressamente dal voto i coniugi e i parenti di quello (art. 177, co. 3, L.F.), il d.lgs 5/2006 ha attribuito la legittimazione a proporre il concordato non solo al fallito, ma anche ad uno o più creditori, ad un terzo, alla società sottoposta a comune controllo o al curatore.

Infine, la recente riforma della Legge Fallimentare, realizzata nel giugno 2015, ha reso ancor più attuale il tema d’indagine introducendo, anche per il concordato preventivo, la facoltà per i creditori (già prevista per il concordato fallimentare) di formulare una proposta di concordato concorrente a quella del debitore.

Se, però, in materia di concordato preventivo, il legislatore ha introdotto espressamente alcune contromisure volte a escludere possibili effetti pregiudizievoli sorti a causa del conflitto di interessi, diversamente, per il concordato fallimentare, non è stato operato alcun intervento, con evidente asimmetria tra le due fattispecie.

Caso del creditore-proponente: spetta il diritto di voto?

Particolarmente emblematico è il caso del creditore-proponente il concordato il quale riveste il duplice ruolo di proponente e di accettante la (sua stessa) proposta.

La questione posta all’attenzione del massimo organo nomofilattico è, più specificamente, se spetti il diritto di voto alle parti collegate alla parte proponente il concordato fallimentare o se non si profili, piuttosto, un ipotesi di conflitto di interessi.

La risoluzione del quesito passa, allora, attraverso l’analisi di due questioni connesse, entrambe pregiudiziali alla risoluzione del caso concreto:

  1. se al creditore che abbia presentato la proposta di concordato spetti o meno il diritto di voto ai fini della sua approvazione;
  2. se esistono ipotesi in cui si realizza il conflitto di interesse dei creditori nel voto sul concordato.

Entrambe le questioni, strettamente connesse, sorgono a causa del silenzio del legislatore che, come detto, ha ampliato la legittimazione a proporre il concordato, ma nulla ha previsto sul diritto al voto dei proponenti creditori e su un eventuale conflitto di interessi tra questi ultimi.

È stata, allora, la giurisprudenza a tentare di risolvere la questione in via interpretativa.

Il contrasto giurisprudenziale

Un primo orientamento, richiamato dalle stesse Sezioni Unite, sostiene l’impossibilità di prospettare una situazione analoga a quella prevista in materia societaria; a sostegno del principio richiamato si afferma che “il fallimento non è un soggetto giuridico autonomo di cui i creditori siano in qualche modo partecipi e il complesso dei creditori concorrenti viene costituito in corpo deliberante in modo del tutto casuale e involontario così che non è avvinto da alcun patto che comporti, in una qualche occasione, la necessità di valutare un interesse comune quello dei singoli” (Cass. 10/02/2011, n. 3274).

In sostanza, diversamente dalla società, che ha una propria soggettività giuridica, così che può porsi il conflitto tra interesse del socio e interesse distinto della società, nei concordati non vi è una soggettivizzazione della massa dei creditori, così che il conflitto potrebbe porsi solo tra i singoli creditori, ma non tra l’interesse particolare del creditore e l’interesse collettivo della massa creditoria.

In tal senso si è detto che il nostro ordinamento dà rilievo al conflitto di interessi come causa di invalidità delle dichiarazioni di volontà solo quando essa possa inquinare il comportamento di un soggetto, al quale sia attribuito il potere di scegliere o concorrere a formare la volontà di altro soggetto portatore di un interesse contrapposto al suo.

Secondo il principio del “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”, i sostenitori del richiamato orientamento individuano la ratio dell’assenza di una norma di disciplina dei conflitti nella stessa natura dei rapporti tra creditori concorrenti: diversamente dai soci, la cui caratteristica dei rapporti è la condivisione, il contrasto è visto come alla base del rapporto tra creditori, di talché il legislatore, conscio di questo, ha disciplinato espressamente le ipotesi di rilevanza di un conflitto (art. 3 bis, co.2; art. 40, co. 4; art. 127 co. 5 e 6; art. 177), implicitamente escludendo il rilievo un conflitto di interessi genericamente inteso.

Caso emblematico della inconfigurabilità di un conflitto di interessi tra creditori viene individuato, secondo questo orientamento, proprio nel diritto al voto attribuito anche al creditore proponente (anche questo però non previsto in via legislativa).

Tirando le fila, il filone interpretativo richiamato sostiene l’inconfigurabilità di un conflitto di interessi tra creditori concorrenti anche in conseguenza del diritto al voto comunque riconosciuto al creditore che propone il concordato.

Orientamento opposto, diversamente, capovolge completamente la visuale: muovendo dalla questione di configurabilità o meno di un conflitto di interessi tra creditori, arriva ad ammettere o negare il diritto al voto del creditore proponente.

Le Sezioni Unite sull’ammissibilità del conflitto di interessi

È quest’ultima la via seguita dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 17186 del 28 giugno 2018, chiamate a pronunciarsi proprio in tema di diritto al voto di una società collegata alla proponente.

Il Supremo Consesso, in particolare, ha osservato come sia un dato di fatto l’assenza, nella legge fallimentare, di una norma generale di disciplina del conflitto di interessi, invece sussistente in ambito societario.

L’assenza di una previsione normativa generale non significa, però, che non siano configurabili conflitti di interesse in relazione al voto dei creditori e le norme richiamate dal legislatore, quale espressa previsione del conflitto, in funzione chiaramente esemplificativa, non farebbero altro che supportare questa tesi.

Del resto, sostenere che non possa configurarsi un conflitto di interessi perché manchi un soggetto autonomo e distinto non coglie nel segno.

Perché sia configurabile un conflitto di interessi di un soggetto in quanto parte di una collettività è necessario, ma anche sufficiente, il contrasto di un suo interesse individuale con l’interesse comune all’intera collettività.

Ammessa la configurabilità di situazioni di conflitto di interesse, anche non espressamente previste dal legislatore, le Sezioni Unite, richiamando posizioni di rilievo dottrinale, hanno ricordato che la regola aurea dell’autonomia negoziale ha come suo risvolto il principio di intangibilità della sfera giuridica altrui (divieto di eteronomia); questo principio, ove sussista la regola della prevalenza della maggioranza, tipica del concordato e delle assemblee societarie, può dirsi rispettato solo se la scelta della maggioranza non sia “inquinata in maniera decisiva dalla presenza in capo a taluno dei suoi componenti, di un conflitto di interessi, il quale va pertanto neutralizzato o sterilizzato”.

Tecnica comune per neutralizzare il conflitto di interesse nelle votazioni è proprio il divieto di partecipare al voto (e quindi al calcolo della maggioranza) dei soggetti in conflitto.

Le ipotesi di esclusione dal voto devono essere previste dalla legge, ma non v’è alcun motivo, secondo le Sezioni Unite, per ritenere che tale previsione debba anche essere “espressa”.

Così chiarito e verificato che il conflitto è immanente tra chi formula il concordato e i creditori che tale proposta sono chiamati ad accettare, si afferma che “diventa arduo affermare che il silenzio del legislatore equivalga a implicita ammissione al voto del creditore proponente”.

Più nel dettaglio, “costituirebbe un’evidente lesione dell’autonomia privata dei creditori, contrastante con la stessa nozione di contratto .. assoggettare i creditori alla volontà, in ipotesi decisiva, della loro stessa controparte”.

La legittimazione al voto concordatario delle società correlata a quella proponente

Escluso il diritto di voto del creditore proponente, la Corte ha poi analizzato la questione connessa della legittimazione al voto concordatario delle società correlate alla società proponente.

Richiamando l’art. 127 L.F. che nel disciplinare il voto nel concordato, al quinto comma esclude dal voto i creditori che siano coniugi, partenti o affini entro il quarto grado del debitore nonché i cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno prima dalla dichiarazione di fallimento, e al sesto estende la previsione alle “società controllanti o controllate o comunque sottoposte a comune controllo”, la Corte di legittimità ne propone un’interpretazione estensiva.

Si esclude così il diritto di voto a tutte le ipotesi di conflitto di interessi.

Ragioni di carattere logico – sistematico conducono infatti ad estendere l’esclusione dal voto alle società controllate: la loro volontà è, infatti, efficacemente condizionata o condizionabile da soggetti che direttamente versano in situazione di conflitto.

La regola espressa, chiosa il Supremo Consesso, non vale solo per le società correlate a società creditrici, ma anche a tutte le società creditrici correlate a società che versano in confitto di interesse pur non essendo creditrici: è il caso evidente della società fallita, le sui società correlate non possono che essere soggette alla stessa regola di esclusione dal voto prevista per le società correlate ai congiunti del fallito, ex art. 177 co. 5 e 6, e della società che propone il concordato e delle società ad esse correlate.

Propendere per un’interpretazione restrittiva dell’art. 177, co. 6, L.F., comporterebbe, diversamente, ingiustificabili lacune e contraddizioni nella disciplina del conflitto d’interesse nel voto concordatario.

Il principio di diritto

Alla luce di quanto rilevato, le Sezioni Unite, a composizione di contrasto, hanno dunque enunciato il seguente principio di diritto:

“Sono escluse dal voto sulla proposta di concordato fallimentare e dal calcolo delle maggioranze le società che controllano la società proponente o sono da essa controllate o sono sottoposte a comune controllo”

Redattore di manuali per la preparazione post – universitaria in materia di diritto civile e diritto amministrativo. Coordinatore e revisore scientifico di opere collettanee in materia di diritto civile e societario, diritto penale e diritto amministrativo. Ha conseguito il diploma di SSPL ed è laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II con tesi in diritto processuale civile su “La rimessione in termini nel processo civile”.

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