Tentativo di conciliazione in tema di liti tra società erogatrici di servizi di telecomunicazioni ed utenti: è obbligatorio anche per chi intende richiedere un provvedimento monitorio? Lo ha chiarito la Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 8240/2020 del 28 aprile 2020.
Fattispecie e questioni sottoposte al vaglio delle Sezioni Unite
Il caso in esame trae origine da un provvedimento di secondo grado con il quale il giudice, nel revocare il decreto ingiuntivo emesso, ha dichiarato improcedibile la domanda di pagamento azionata da una società erogatrice di telecomunicazioni in via monitoria per non avere la stessa esperito in via preventiva e, dunque, prima del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo, il tentativo obbligatorio di conciliazione[1].
Pertanto, a detta della Corte territoriale il punto focale della quaestio risiede nel valutare l’obbligatorietà o meno del previo espletamento del tentativo di conciliazione nei casi di ricorso ex art. 633 c.p.c..
E a tale quesito il giudice d’Appello fornisce risposta positiva, ponendo a fondamento di essa il disposto normativo di cui all’art. 4 della Legge n. 294/1997 a mente del quale: “il ricorso giurisdizionale non può essere proposto sino a quando non sia stato espletato il tentativo di conciliazione…”. Di qui, l’adesione ad una visione estensiva per cui la norma de qua, secondo la Corte di secondo grado, deve ritenersi applicabile anche ai procedimenti di natura ingiuntiva.
La ratio di tale argomentazione è la seguente: “evitare una applicazione difforme della normativa operante in tema di conciliazione al fine di evitare un discrimen tra una forma di tutela ed un’altra e, consequenzialmente, una violazione del principio di uguaglianza[2]”.
Avverso la suddetta pronuncia la società di telecomunicazione propone ricorso, ponendo a fondamento di esso un unico motivo[3]; altresì, in via subordinata, formula eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge n. 249/1997 per violazione degli artt. 3, 24, 102 e 76 Costituzione.
La controversia, stante la delicatezza del thema decidendum, viene trasmessa al Primo Presidente e di guisa assegnata alle Sezioni Uniti.
Passaggio, quest’ultimo, resosi necessario atteso che con apposita ordinanza interlocutoria[4] viene ad essere segnalata la ricorrenza di tre questioni ritenute di massima importanza:
- se, in tema di telecomunicazioni, il tentativo di conciliazione debba considerarsi obbligatorio anche con riguardo ai procedimenti monitori;
- se nell’ipotesi in cui si ritenga obbligatorio il tentativo conciliativo, il mancato previo espletamento determini improcedibilità ovvero improponibilità della domanda;
- infine, nel caso cui non si ritenga obbligatorio il suddetto tentativo, quale sia, nella successiva fase di opposizione, la parte sul quale ricade l’onere di attuazione dello stesso e quali siano le conseguenze dell’eventuale inosservanza a tale onere sulla sorte del decreto ingiuntivo opposto.
Il quadro normativo di riferimento
L’analisi del quadro normativo assume un ruolo focale nella soluzione degli interrogativi posti dall’ordinanza interlocutoria.
La disciplina generale sugli strumenti alternativi di risoluzione delle liti civili e commerciali (ADR) ha luogo per mano del decreto legislativo n. 28 del 2010, rilevando, al riguardo, la previsione normativa di cui all’art. 5.
In particolare, la suddetta norma (art. 5) ai commi 1 e 1-bis statuisce che il previo esperimento di un procedimento di mediazione sia obbligatorio in una serie di materie e che il suo preventivo esperimento costituisca condizione di procedibilità della domanda giudiziaria.
Viene, altresì, sancita una modalità di recupero dell’attività conciliativa eventualmente non esperita. Difatti, il giudice ove rilevi che la mediazione ha avuto inizio ma non si è conclusa ovvero se riscontra che la conciliazione non è stata esperita prima dell’introduzione del giudizio, rinvia la trattazione ad una udienza successiva alla chiusura del procedimento di mediazione, assegnando alle parti un termine per la presentazione dell’istanza di mediazione.
Ad integrazione del suesposto dato normativo si pone il comma 4 (del medesimo art. 5) laddove prevede che i commi 1-bis e 2 non trovano applicazione in riferimento ad una serie di procedimenti, tra i quali vi rientra il procedimento per ingiunzione (ivi incluso il giudizio di opposizione) sino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione dell’esecuzione provvisoria.
Di qui, si evince che il Legislatore ha inteso escludere l’obbligatorietà del previo tentativo di conciliazione in materia di procedimento ingiuntivo.
Norme, queste ultime, che da sole non completano il quadro normativo regolamentante la disciplina in oggetto atteso che ad assumere un importante ruolo è anche la Legge n. 249/1997, il cui merito è quello di disciplinare il settore delle telecomunicazioni e radiotelevisivo, avendo, tra l’altro, provveduto ad istituire l’AGCOM.
L’art. 1, comma 11, attribuisce all’autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni il compito di disciplinare con propri provvedimenti le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle liti che vedono coinvolte utenti e soggetti autorizzati o destinatari di licenze oppure i soli soggetti autorizzati o destinatari di licenze. Per tali controversie, non è possibile la proposizione del ricorso in sede giurisdizionale fintanto che non sia stato esperito un tentativo di mediazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza all’Autorità. In tal caso, i termini per agire in sede giurisdizionale vengono sospesi fino alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento conciliativo.
Infine, a completamento del quadro normativo sinora analizzato meritano attenzione due Regolamenti adottati dall’AGCOM, rispettivamente, con delibera n. 182/02 e delibera n. 173/07.
Co riguardo al primo, le norme che interessano sono:
- l’art. 3, comma 1, a mente del quale: “Gli utenti o associati, ovvero gli organismi, che lamentino la violazione di un proprio diritto o interesse protetti da un accordo privato o dalle norme in materia di telecomunicazioni attribuite alla competenza dell’Autorità e che intendano agire in giudizio, sono tenuti a promuovere preventivamente un tentativo di conciliazione dinanzi al Corecom competente per territorio”;
- l’art. 4, comma 1, il quale statuisce quanto segue: “La proposizione del tentativo di conciliazione sospende i termini per agire in sede giurisdizionale, che riprendono a decorrere dalla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione”;
- l’art. 4, comma 2, secondo cui: “il ricorso giurisdizionale non può essere proposto sino a quando non sia stato espletato il tentativo di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza”.
In riferimento al secondo regolamento, rilevano le seguenti previsioni:
- Art. 2, comma 1, per il quale in base all’articolo 1, commi 11 e 12 della Legge n. 249 del 1997 rientrano nella competenza dell’Autorità (AGCOM) le controversie in tema di comunicazioni elettroniche tra utenti finali ed operatori qualora riguardino il “mancato rispetto delle disposizioni relative al servizio universale ed ai diritti degli utenti finali sancite dall’art. 7 delle norme legislative, dalle delibere dell’Autorità, dalle condizioni contrattuali e dalle carte dei servizi”;
- Art. 2, comma 2, invece, esclude dall’applicazione del suddetto Regolamento quelle liti attinenti esclusivamente il recupero di crediti relativi alle prestazioni effettuate allorquando l’inadempimento non sia dipeso da contestazioni relative alle prestazioni medesime;
- Art. 3, comma 1, prevede l’improcedibilità del ricorso in sede giurisdizionale in ordine alle controversie di cui all’art. 2, comma 1, fintanto che non sia stato espletato il tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi al Corecom, competente per territorio munito di delega a svolgere la funzione conciliativa, ovvero innanzi agli organismi di risoluzione extragiudiziale delle liti ex art. 13.
Si evince, pertanto, che il dato contrastante con l’obbligatorietà del preventivo espletamento del tentativo di conciliazione in materia di procedimento monitorio vada rintracciato nell’art. 2, comma secondo, del Regolamento AGCOM adottato con delibera 173/07/Cons. Difatti, conduce verso l’esclusione della via mediativa in ordine al procedimento per ingiunzione ex art. 633 c.p.c..
III. (Segue) Uno sguardo alle fonti giurisprudenziali
In proposito, diverse sono le fonti che assumo un ruolo decisivo nella risoluzione della questione in oggetto.
Partiamo dalla giurisprudenza di derivazione costituzionale, dovendosi al riguardo tenere conto di due pregressi interventi del giudice delle leggi.
Per un verso, la pronuncia n. 276/2000 con la quale la Corte Costituzione è intervenuta in merito al rapporto tra tentativo di conciliazione e procedimento monitorio.
In tale sentenza il giudice ha individuato nella mancanza di contraddittorio l’elemento di distanza strutturale tra il procedimento di conciliazione ed il provvedimento monitorio. Di qui, ha statuito che: “il tentativo obbligatorio di conciliazione è strutturalmente connesso ad un processo basato sul contraddittorio. La “ratio” che impone alle parti di incontrarsi in sede extragiudiziale, prima di adire il giudice, è strutturalmente connessa ad un futuro giudizio destinato a svolgersi sin dall’inizio in contraddittorio tra le parti”. Pertanto, prosegue la Corte, sono estranei all’istituto della conciliazione: “quei casi in cui il processo si debba svolgere in una prima fase necessariamente “inaudita altera parte” (“melius”: senza contraddittorio), come accade per il procedimento per decreto ingiuntivo”. Ciò in quanto risulterebbe priva di significato una eventuale imposizione, nella fase preliminare al giudizio, un contatto tra le parti che comunque non è richiesto nella fase giurisdizionale ai fini dell’emissione del provvedimento monitorio.
Per altro verso, poi, a rilevare è una ordinanza della Corte Costituzionale, la n. 163 del 2004 che, ponendosi in linea con la sentenza sopra indicata, ha anch’essa escluso la obbligatorietà del previo esperimento del tentativo di conciliazione riguardo alla fase monitoria in riferimento alle liti concernenti i contratti di subfornitura[5] (cfr. art. 10, primo comma, Legge n. 192/1998).
Continuando nella disamina dell’ampio ventaglio di posizioni giurisprudenziali, un ruolo sicuramente centrale è assunto anche dalla giurisprudenza comunitaria.
In proposito, risulta fondamentale il riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea 18/03/2010, con la quale è stata affrontata in maniera chiara ed espressa la questione circa l’interpretazione del principio della tutela giurisdizionale effettiva rispetto alla normativa nazionale. Ponendosi l’accento sulla legge italiana, che prevede un tentativo obbligatorio di conciliazione stragiudiziale quale condizione di procedibilità dei ricorsi giurisdizionali in talune controversie tra operatori ed utenti, relativamente al servizio universale e ai diritti degli utilizzatori in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica.
In tale occasione, il giudice costituzionale ha inteso porre dei chiarimenti circa la compatibilità della normativa italiana con le fonti comunitarie, invitando al rispetto di talune condizioni previste dalle direttive comunitarie in tema di accesso alla procedura di conciliazione extragiudiziale.
In particolare, ha ritenuto che il disposto di cui all’art. 34 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio adottata in data 7 marzo 2002, 2002/22/CE (concernente il servizio universale e i diritti degli utenti in materia di reti e servizi di comunicazione elettronica) nonchè i principi di equivalenza, di effettività e della tutela giurisdizionale effettiva non fungono da ostacolo per la normativa nazionale in tema di previo esperimento di una procedura di conciliazione per le liti incorse tra fornitori di servizi di comunicazioni elettroniche ed utenti finali.
Non mancando, tuttavia, di individuare precise condizioni circa l’efficacia ed operatività della procedura conciliativa. Ovvero, quest’ultima: non deve condurre ad una decisione vincolante per le parti; non deve comportare un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso giurisdizionale; deve sospendere il termine prescrizionale dei diritti; non deve comportare costi o costi particolarmente ingenti per le parti; la via elettronica non deve rappresentare l’unica via di accesso alla procedura conciliativa; deve essere possibile la emissione di provvedimenti temporanei in casi straordinari e connotati da urgenza.
Considerazioni, queste ultime, non rimaste isolate ma successivamente riprese in una pronuncia della Corte di Giustizia del 14 giugno 2017 (causa C-75/16 Menini).
Soluzione del caso e principio di diritto
Gli Ermellini nel rispondere al quesito loro posto si allineano alle argomentazioni poste da un importante precedente, rappresentato dalla Cassazione n. 25611 del 2016. Quest’ultima, difatti, intervenendo in tema di telecomunicazioni ha statuito che: “il tentativo obbligatorio di conciliazione non è espressamente richiesto prima dell’emissione del decreto ingiuntivo e non è in assoluto compatibile con la struttura e la finalità del procedimento monitorio in quanto esso presuppone un giudizio che si svolga nel contraddittorio attuale tra le parti”.
Non mancando, tuttavia, di precisare i profili di comunione e di differenziazione intercorrenti tra le due procedure.
Se è pur vero che, da un lato, il decreto ingiuntivo e la procedura di conciliazione presentano un punto di contatto in quanto entrambi improntati a principi di celerità ed efficacia della risposta di giustizia va altresì precisato che i profili di distacco sono innegabili.
Difatti, nel caso del procedimento ingiuntivo la tutela si sostanzia nell’adozione di un provvedimento monitorio (inaudita altera parte) in favore della parte creditrice munita di prova scritta.
Diversamente, la conciliazione mira a salvaguardare le pretese di entrambe le parti attraverso il dialogo anticipato e, dunque, assolve ad una funzione di prevenzione del conflitto in aderenza al principio del contraddittorio.
Ciò comporta che sussista una incompatibilità strutturale tra i due procedimenti che non rende necessario e/o obbligatorio il tentativo di conciliazione nelle ipotesi di procedimento monitorio e, pertanto, in tema di ricorso per decreto ingiuntivo.
Con l’ordinanza interlocutoria, poi, viene ad essere evidenziato un ulteriore aspetto: la tutela del contraente debole qual è, nel caso delle telecomunicazioni, il consumatore/utente del servizio, il quale potrebbe essere dissuaso dall’intraprendere la via dell’opposizione stante i costi del giudizio ordinario ove il decreto ingiuntivo non fosse preceduto dal tentativo di conciliazione.
In proposito, si precisa come il Giudice delle leggi abbia chiaramente precisato che la mediazione possa operare solo a seguito della fase monitoria, in ragione della sua struttura e al fine di non pregiudicare il principio di uguaglianza sostanziale.
La tutela conciliativa, difatti, nasce dall’esigente di garantire la fruizione di un servizio essenziale nei casi di non corretta attivazione o non erogazione dello stesso, laddove è grazie allo strumento stragiudiziale che possono essere risolte celermente e con maggiore soddisfazione dell’utenza rispetto al giudizio ordinario.
Di qui l’assunto per cui l’esclusione del tentativo di conciliazione per la proposizione del ricorso per decreto ingiuntivo non pregiudica la posizione assunta dal contraente debole, laddove non determina una significativa asimmetria difensiva. La motivazione risiede nel fatto che il procedimento monitorio è aperto ad entrambe le parti, non potendosi porre a sostegno della ragionevolezza del sistema il dato puramente quantitativo dato dal maggior numero di procedure monitorie avviate dal gestore del servizio di telecomunicazione rispetto a quelle attivate dall’utente/fruitore.
Ancor più, a fondamento del proprio iter logico- argomentativo, i giudici di legittimità rilevano come l’imposizione di un tentativo obbligatorio di conciliazione prima di poter accedere al procedimento monitorio risulti illegittima in quanto non aderente alla normativa e alla giurisprudenza comunitaria[6].
Pertanto, dall’insieme delle indicazioni e dei principi suesposti, la Cassazione accoglie il ricorso propendendo per una esclusione del previo esperimento della mediazione nella fase che precede la richiesta e l’emissione del decreto ingiuntivo, in materia di telecomunicazioni.
Fermo restando che la risoluzione alternativa della lite possa trovare applicazione in un momento successivo e diverso, ovvero quando, con la proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo, si apra la via del giudizio ordinario. Ciò in quanto è solo con l’opposizione che si assiste all’introduzione di un normale processo di cognizione, il cui oggetto è rappresentato dall’accertamento del diritto azionato nel procedimento monitorio.
Di seguito il principio di diritto sancito dalle Sezioni Unite: “In tema di controversie tra le società erogatrici dei servizi di telecomunicazioni e gli utenti, non è soggetto all’obbligo di esperire il preventivo tentativo di conciliazione, ex art. 1, comma 11, della legge n. 249/1997, chi intenda richiedere un provvedimento monitorio, essendo il preventivo tentativo di conciliazione strutturalmente incompatibile con i procedimenti privi di contraddittorio o a contraddittorio differito”.
[1]Al riguardo, rilevano l’art. 1, comma 11, Legge n. 294/1997 ed il regolamento AGCOM 182/02/CONS.
[2] Il giudice d’appello, dunque, giunge alla conclusione per cui il previo esperimento del tentativo di conciliazione è da ritenersi opportuno sia agendo in monitorio (procedimenti di ingiunzione) che mediante atto di citazione (contraddittorio) sull’assunto che in entrambe le ipotesi il soggetto agisce a tutela del medesimo diritto di credito e che l’opposizione introduce un ordinario rito di cognizione finalizzato ad accertare il diritto azionato nel giudizio monitorio.
[3] La censura della società di telecomunicazione concerne la violazione dell’art. 1, comma 11, Legge n. 249/1997 e dell’art. 1 delle disposizioni preliminari al codice civile nonchè l’omessa valutazione circa un fatto decisivo e controverso in merito alla pronuncia di improcedibilità dell’azione monitoria proposta dalla società medesima.
Più precisamente, in relazione al vizio di violazione di legge, la ricorrente lamenta che il giudice d’appello abbia violato e comunque male interpretato la norma di cui all’art. 1, comma 11, della Legge n. 249/1997 per avere ritenuto che essa imponesse, a pena di improcedibilità, l’obbligatorietà del previo tentativo conciliativo anche in ordine al procedimento monitorio nonchè il principio gerarchico operante in tema di fonti del diritto, previsto dalla norma di cui l’art. 1 delle disposizioni preliminari al codice civile, per avere (il giudice di secondo grado) ritenuto che gli artt. 3 e 4 del Regolamento AGCOM 182/02/CONS (norma di carattere secondario), nell’includere il giudizio monitorio tra quelli per i quali è richiesto il previo espletamento del tentativo di conciliazione, fossero prevalenti rispetto alla norma prevista dalla Legge n. 249/1997 (norma primaria).
In relazione alla ulteriore motivazione posta a fondamento del ricorso (rectius: omessa valutazione circa un fatto decisivo e controverso in merito alla pronuncia di improcedibilità dell’azione monitoria proposta dalla società) la ricorrente rileva di aver dedotto la incompatibilità strutturale tra tentativo di conciliazione e decreto ingiuntivo sia nel corso del primo che del secondo grado ma che il giudice d’appello non ha affrontato il tema in nessun passaggio argomentativo.
[4] Nell’ordinanza interlocutoria, l’interrogativo principale posto all’attenzione del Supremo Consesso concerne la necessità, in materia dei servizi di telecomunicazione, del previo tentativo di conciliazione per poter richiedere l’emissione di una ingiunzione di pagamento. Al riguardo, viene sottolineato che esiste un unico precedente in ambito giurisprudenziale, venendo in rilievo la sentenza n. 25611 del 14/10/2016. Quest’ultima ha previsto he il tentativo obbligatorio di conciliazione non si estende anche alla fase sommaria della procedura monitoria giungendo così all’elaborazione del seguente principio di diritto: “In tema di controversie tra gli organismo di telecomunicazioni e gli utenti, il tentativo obbligatorio di conciliazione, ex art. 1, comma 11, Legge n. 249/1997, non è condizione di procedibilità anche del ricorso per decreto ingiuntivo, attivando quest’ultimo un procedimento” inaudita altera parte”, rispetto al quale la sperimentazione della possibilità di comporre bonariamente la vertenza non appare praticabile, proprio per l’assenza del contraddittorio tra le parti”.
[5] La legge n. 192/1998 consente al subfornitore di procedere per ingiunzione con l’intento di predisporre una tutela particolarmente intensa che verrebbe ad essere vanificata dal previo esperimento del tentativo di conciliazione.
[6] La normativa e la giurisprudenza europea hanno inteso promuovere gli strumenti di composizione stragiudiziale ma prevedendone la facoltatività. Sancendo, altresì, la legittimità di quelli previsti dalla normativa statale italiana sempre che non si rivelino strumenti defatiganti e tesi a rendere eccessivamente oneroso o complesso il ricorso alla giustizia ordinaria.