Compravendita di immobile senza regolarità urbanistica: Sezioni Unite sulla nullità ex artt. 17 e 40 L. n. 47/1985

in Giuricivile, 2019, 5 (ISSN 2532-201X), nota a Cass., SS. UU. civ., sentenza n. 8230 del 22/03/2019

Con la recente sentenza n. 8230 del 22.03.2019 la Suprema Corte, a Sezioni Unite, si è occupata della composizione del contrasto giurisprudenziale sorto in seno alle sezioni semplici afferente la corretta interpretazione e qualificazione della nullità prevista dagli artt. 17 e 40 della L. n. 47 del 1985 e 46 del T.U. n. 380 del 2001, al fine di stabilire quali siano le sorti del contratto di compravendita avente ad oggetto un immobile privo degli estremi del titolo abilitativo richiesto per provare la regolarità urbanistica.

La questione di diritto

Con riferimento alla vertenza esaminata, la Corte d’Appello aveva già ritenuto, in tal modo confermando la decisione di primo grado, di escludere la sussistenza di un profilo di nullità contrattuale, pretesemente richiesta in virtù dei consistenti lavori relativi al fabbricato oggetto del contendere, eseguiti ma non regolarmente assentiti e, dunque, non effettivamente conformi allo strumento concessorio.

I giudici di seconde cure evidenziavano, a tal proposito, come nel contratto di compravendita fossero stati espressamente menzionati gli estremi della concessione, con conseguente soddisfacimento dell’onere formale previsto dagli artt. 17 e 40 L. n. 47/1985.

Tali norme, se adeguatamente interpretate, in base alla ricostruzione effettuata dai giudici di merito, imporrebbero il rispetto del solo requisito formale ai fini della validità del contratto, non richiedendo, di contro, la sussistenza del profilo sostanziale afferente la regolarità urbanistica dell’immobile.

Le citate disposizioni normative, infatti, sanzionano in via esclusiva la violazione dell’obbligo formale di indicare nel contratto gli estremi della concessione, ovvero della domanda di sanatoria, e

ciò, principalmente, in ossequio alla ratio che ha ispirato il legislatore, consistente in un disincentivo dell’abusivismo edilizio, da un lato e nell’esigenza di tutela dell’affidamento della parte acquirente, dall’altro.

Il contrasto giurisprudenziale

Prima di affrontare nel dettaglio la questione prospettata, le Sezioni Unite hanno riepilogato le divergenti posizioni sorte in seno alle sezioni semplici in ordine all’interpretazione della nullità ex artt. 17 e 40 L. n. 47/1985  art. 46 T.U. n. 380/2001.

Dopo un excursus normativo, la Suprema Corte nella sua composizione più autorevole ha illustrato i punti salienti della c.d. teoria formale, in base alla quale le citate normative delineano un’ipotesi di nullità assoluta, in quanto tale e ex definitione suscettibile di essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, oltre che essere rilevabile  anche d’ufficio dal giudice  ex art. 1421 c .c.

Tale forma di nullità risulterebbe, quindi, riconducibile all’ambito di applicazione dell’art. 1418 u.c. c.c., essendo configurabile come formale, non già virtuale.

In tal stregua, essa sarebbe prescritta dal legislatore se e in quanto l’atto non riporti le indicazioni richieste, a prescindere dalle considerazioni di natura sostanziale afferenti l’effettiva conformità dell’immobile rispetto agli estremi della concessione.

Non viene dunque in rilievo, ai fini dell’applicazione della sanzione indicata, l’irregolarità in sé e per sé considerata, dovendosi solo tenere in considerazione la menzione espressa degli estremi richiesti dal legislatore.

In definitiva, dal momento che la legge non prende in considerazione l’aspetto della conformità rispetto al titolo urbanistico, si evince come la nullità del contratto di compravendita prescinda dal requisito sostanziale della regolarità della costruzione dell’immobile in oggetto.

Tale interpretazione sarebbe, in sintesi, imposta dallo stesso dato letterale delle norme in esame, trattandosi, peraltro, di disposizioni di stretta interpretazione, non suscettibili di applicazione estensiva o analogica (cfr., in terminis, Corte di Cassazione n. 8685 /1999; n. 8147/2000; n. 5068/2001; n. 5898/2004; n. 16876/2013).

Tuttavia, in seno alle sezioni semplici, si era fatto strada anche un differente orientamento, quest’ultimo propugnante la teoria sostanziale.

Sulla scorta di tale ricostruzione, si era evidenziato come la L. 47/1985 avesse tra gli altri, lo scopo di fare in modo che il  bene si trasmetta da un contraente ad un altro solo se privo del carattere dell’abusivismo, giacché il legislatore ha inteso con tale normativa porre un freno a siffatto fenomeno.

In tal stregua, la previsione della necessità della dichiarazione degli estremi della licenza o della concessione edilizia o della concessione in sanatoria non potrebbe che far presupporre che la documentazione sia effettivamente sussistente e riguardi una costruzione realizzata in concreto.

In tal modo, si spiega, altresì, perché risultano incommerciabili gli immobili privi dei titoli richiesti dalla legge.

Proseguendo in tale ricostruzione, si dovrebbe ritenere che esista una nullità di natura sostanziale con riferimento agli atti aventi ad oggetto il trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica e una nullità di carattere, invece, formale per gli atti di trasferimento di immobili in regola con la normativa urbanistica o per i quali la regolarizzazione è in corso, qualora non risultino in contratto gli estremi della concessione (cfr., in termini, Corte di Cassazione, sent. n. 2058/2009; n. 28194/2013; n. 25811/2014; n. 18261/20159).

La soluzione prospettata dalle Sezioni Unite e i princìpi di diritto

Tanto premesso, la Suprema Corte a Sezioni Unite mostra di aderire alla prima delle suesposte ricostruzioni ermeneutiche sulla scorta delle seguenti argomentazioni.

In primo luogo, la tesi della nullità virtuale che presupporrebbe un contrasto con norme imperative, non trova conforto nella lettera della legge.

Come noto, l’art. 12 delle preleggi impone che, nell’applicazione della legge, non si possa attribuire ad essa altro senso che quello fatto proprio dal significato delle parole, secondo la connessione di esse e l’intenzione del legislatore.

La ricostruzione effettuata dai sostenitori della teoria sostanziale, pur presentando dei margini di apprezzabilità, non è adeguatamente suffragata dal dato letterale, oltre che essere oltremodo foriera di complicazioni per la posizione dell’acquirente che si vedrebbe esposto alla declaratoria di nullità, ma che, d’altro canto, ha riposto affidamento nella validità dell’atto.

Altro elemento di criticità risulta dovuto alla  difficoltà di individuare in via ermeneutica l’esatta portata della nozione di irregolarità urbanistica, unitamente alla necessità di chiarire se sia applicabile agli atti ad effetti reali la distinzione tra variazione essenziale e non essenziale elaborata in punto di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto.

Non va, comunque sottaciuto, come, in considerazione del disvalore attribuito al fenomeno dell’abusivismo, risulti già presente, a livello normativo, un sufficiente apparato sanzionatorio, vuoi dal punto di vista penale, vuoi da quello amministrativo.

Ancora, come ricordato a più riprese dalla giurisprudenza di legittimità, tutte le norme che prevedono dei divieti e dei limiti all’autonomia privata sono da ritenersi di stretta interpretazione e non ammettono di conseguenza applicazioni estensive né, tantomeno, analogiche.

Anche la distinzione tra variazioni essenziali e non in materia di preliminare non è utile ai fini di delineare l’ambito applicativo delle nullità in esame.

Non può, poi, sottacersi come l’acquirente sia in grado, in ogni caso, di effettuare le indagini più opportune onde verificare la regolarità urbanistica del bene, altresì, con riguardo alla mancata rispondenza al titolo dichiarato e, in tal modo, appurare la convenienza dell’affare.

Si tratta, in definitiva, non di una nullità virtuale, né, tantomeno, di una nullità strutturale non rientrando il concetto in esame né nell’ambito dell’oggetto, né in quello della causa del contratto di compravendita.

Sulla scorta delle suestese argomentazioni, le SS.UU. della Suprema Corte hanno elaborato i seguenti principi di diritto:

La nullità comminata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, e dalla L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, va ricondotta nell’ambito dell’art. 1418 c.c., comma 3, di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile.

In presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato”.

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