Nel presente documento si esamina la questione relativa alla disparità di trattamento esistente tra il principio in base al quale l’Amministrazione Finanziaria, nel caso in cui abbia errato nel riconoscere al contribuente un rimborso, può recuperare, mediante notifica di un nuovo atto di accertamento, la somma rimborsata, anche nel caso in cui l’errore non sia stato facilmente riconoscibile (art. 43 DPR 602/73), e quello in base al quale la stessa Amministrazione deve – in ottemperanza all’art. 10 quater Statuto del contribuente, il quale disciplina l’autotutela “obbligatoria” – annullare un atto impositivo solo nel caso in cui l’errore del contribuente, che a tale atto ha dato luogo, sia stato facilmente riconoscibile dalla medesima.
Autotutela successiva al rimborso (“in malam partem”) ed autotutela avente ad oggetto un atto impositivo (“in bonam partem”): disparità di trattamento tra discipline
Ai sensi dell’art. 43 DPR 602/73 – “Recupero di somme erroneamente rimborsate” – “l’ufficio provvede mediante iscrizione a ruolo al recupero delle somme erroneamente rimborsate e degli interessi eventualmente corrisposti”. L’Amministrazione Finanziaria (di seguito “AF”), quando ha rimborsato, è incorsa in un “errore”, e quindi adesso procede al recupero di quanto indebitamente rimborsato.
Nella Legge 212/2000 (di seguito “Statuto”) la norma di riferimento in materia di “errore” è quella contenuta nell’art. 10 quater, che disciplina l’autotutela obbligatoria dell’AF. L’autotutela, come è noto, consiste nel potere della PA di annullare un provvedimento che è stato adottato illegittimamente. Questo potere, in realtà, è anche un “dovere”, in quanto, ai sensi dell’art. 21 nonies Legge 241/90 (di seguito “Legge”), se decorrono 12 mesi dall’adozione dell’atto senza che la PA lo abbia annullato, “rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo”, e quindi sarà interesse della stessa PA procedere, entro il suddetto termine, ad un’attenta ricognizione dei profili di legittimità dell’atto, se essa non vuole incorrere, a seguito dell’impugnazione proposta dal terzo controinteressato, in responsabilità risarcitorie. Ciò premesso, il presupposto per l’annullamento in autotutela è un “errore” commesso dalla stessa PA, e non dal privato.
Ebbene, l’art. 10 quater Statuto rovescia i termini del rapporto, in quanto prevede l’esercizio (peraltro obbligatorio) del potere di autotutela quando l’atto impositivo è stato causato da un errore del privato, e non da un errore della stessa AF. Ciò testimonia che quest’ultima è tenuta all’adempimento di obblighi di buona fede e correttezza nei confronti del privato, in quanto l’obbligo di annullare gli atti sussiste anche quando è stato quest’ultimo a sbagliare. Tuttavia, questo obbligo scatta solo quando l’errore del contribuente sia “facilmente riconoscibile” dall’AF, e quindi quest’ultima non è tenuta all’annullamento quando il suddetto errore risulti difficile da individuare.
Che cosa si ricava, dunque, dall’art. 10 quater Statuto? Che il mancato svolgimento, da parte dell’AF, di un’istruttoria approfondita, volta ad individuare un errore del contribuente che sia difficile da riconoscere ad un esame primario della questione, esenta la medesima dall’obbligo di annullare l’atto impositivo (o sanzionatorio).
L’art. 43 del DPR, quando parla di somme “erroneamente” rimborsate, fa riferimento ad un errore commesso non dal contribuente ma dalla stessa AF, la quale, quando ha disposto il rimborso, ha, appunto erroneamente, ritenuto che il contribuente avesse diritto alla restituzione dell’imposta versata. Si tratta, quindi, dell’esempio “classico” di autotutela, ossia del caso in cui l’illegittimità dell’atto sia derivata da un errore della stessa PA (e non del privato).
Essa, emettendo il ruolo, va ad “annullare”, in via di autotutela, il rimborso illegittimamente erogato. Ebbene, in questo caso non è previsto che, ai fini dell’autotutela, l’errore commesso dall’AF debba essere “facilmente riconoscibile” da quest’ultima. Pertanto, l’annullamento (in autotutela) del rimborso può essere disposto anche nel caso in cui, per individuare “l’errore” commesso dall’AF, sia necessaria un’attività istruttoria complessa ed articolata. Ciò in virtù di quanto previsto dall’art. 1 comma 2 della Legge, a norma del quale “la pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria”.
Dal raffronto dell’art. 43 DPR con l’art. 10 quater dello Statuto emerge quindi che l’AF, mentre è obbligata ad annullare in autotutela un atto solo ove l’errore del contribuente sia da essa facilmente riconoscibile, ha la possibilità di annullare, sempre in autotutela, un rimborso, notificando un avviso di accertamento, anche quando tale rimborso sia stato viziato da un errore, della stessa AF, che da quest’ultima non era facilmente riconoscibile.
Ciò equivale a dire che l’attività istruttoria dell’AF può essere ridotta al minimo (ossia limitata ai soli casi in cui l’errore commesso dal contribuente sia facilmente riconoscibile) quando essa è finalizzata ad annullare un atto restrittivo (o sanzionatorio) illegittimo, mentre può (anzi: deve) essere aumentata al massimo quando essa ha lo scopo di cancellare un atto (il rimborso) che ha prodotto effetti a favore del contribuente. Mentre l’annullamento dell’atto restrittivo (o sanzionatorio) può essere disposto solo quando l’errore del contribuente era facile da riconoscere, e quindi l’AF non è tenuta a tale annullamento se, per individuare l’errore, essa si trova costretta a svolgere un’istruttoria articolata e complessa, invece l’annullamento di un atto favorevole al contribuente (rimborso) può essere disposto anche quando l’errore (dell’AF) che a tale atto ha dato luogo può essere individuato, in quanto non facilmente riconoscibile, mediante un’istruttoria approfondita. Di conseguenza, la possibilità, offerta dall’art. 1 comma 2 della Legge, di eseguire un’attività istruttoria approfondita ed articolata, la quale quindi non si limiti ad un esame superficiale della questione, sembra sussistere solo quando l’AF debba annullare un precedente atto favorevole al contribuente (rimborso) e non anche quando la stessa proceda all’annullamento di un atto a contenuto impositivo (o sanzionatorio).
Al riguardo, si rileva che lo svolgimento di un’attività istruttoria approfondita, e quindi non superficiale, è lo strumento con cui l’obbligo della motivazione può dirsi effettivamente assolto: se l’istruttoria è superficiale, lo sarà anche la motivazione del provvedimento finale, mentre, al contrario, più l’attività di accertamento è scrupolosa, e più congruamente motivato risulterà essere l’atto finale (che, naturalmente, potrà avere un contenuto anche impositivo o sanzionatorio per il contribuente).
La disparità di trattamento tra le due fattispecie (annullamento di un atto impositivo = possibile solo se, per individuare l’errore, non occorre un accertamento complesso, ed annullamento di un atto favorevole = possibile anche quando occorre procedere al suddetto accertamento), determina una violazione dell’art. 7 sexies dello Statuto, il quale prevede l’obbligo della motivazione, in primo luogo, proprio per gli atti “impugnabili”, che sono appunto quelli a carattere impositivo. Pertanto, questa disparità si presta a formare oggetto di una questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 quater dello Statuto per violazione dell’art. 3 Cost., in quanto anche l’autotutela ivi prevista – e cioè quella consistente nell’annullamento di un atto a carattere impositivo (o sanzionatorio) – dovrebbe essere esercitata quando l’errore del contribuente, che a tale atto ha dato origine, sia non facilmente riconoscibile dall’AF.
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2) La decadenza dal diritto al rimborso dell’imposta di registro: questione di legittimità costituzionale
L’art. 77 del D.P.R. 131/1986 stabilisce che il rimborso dell’imposta di registro (nonché della soprattassa, della pena pecuniaria e degli interessi di mora), “deve essere richiesto, a pena di decadenza, dal contribuente o dal soggetto nei cui confronti la sanzione è stata applicata entro tre anni dal giorno del pagamento ovvero, se posteriore, da quello in cui è sorto il diritto alla restituzione”.
Al riguardo, si osserva quanto segue.
Nel rapporto tra PA e privato, il diritto di quest’ultimo alla restituzione di quanto versato potrebbe, teoricamente, anche sorgere da un’attività di approfondimento del medesimo in merito all’illegittimità del pagamento ad egli imposto. Ma ciò finirebbe con lo svuotare di ogni significato il potere di autotutela che la legge attribuisce alla PA. In tal modo, infatti, quest’ultima sarebbe sostanzialmente sempre esentata dall’onere di verificare i profili di legittimità degli atti adottati, mentre invece il suddetto potere trova il proprio fondamento nell’adempimento dei doveri di correttezza e buona fede ai quali la PA è tenuta nei rapporti con il privato, e vi è tenuta, anzitutto, in virtù di un obbligo costituzionale: quello del buon andamento (art. 97 Cost.).
Inoltre, il diritto al rimborso – che, in base alla suddetta norma, dovrebbe essere esercitato dal contribuente sotto pena di decadenza, e non deve, invece, essere riconosciuto autonomamente dall’AF – nasce da un “errore” della stessa AF, la quale ha, appunto, sbagliato nel ritenere che il contribuente fosse tenuto al pagamento. Ebbene, l’art. 10 l’art. 10 quater Statuto – che disciplina il potere di autotutela obbligatoria – stabilisce che l’AF procede, “senza necessità di istanza di parte”, ad annullare l’atto impositivo e/o a rinunciare all’imposizione, nel caso in cui essa sia incorsa in errori relativi, tra l’altro, al presupposto dell’imposta oppure al calcolo della stessa od alla persona del contribuente. Pertanto, in base allo Statuto, i suddetti errori obbligano l’AF ad annullare l’atto impositivo, senza che il contribuente debba rischiare di incorrere nella decadenza dal diritto al rimborso per non aver egli proposto istanza entro il termine.
A ciò si aggiunga che, a norma dell’art. 43 DPR 602/73 (come abbiamo visto), l’AF può iscrivere a ruolo somme che essa stessa ha riconosciuto essere state rimborsate “indebitamente”, e quindi erroneamente. Pertanto, l’AF, come può accertare che il contribuente non aveva diritto ad alcun rimborso, e quindi può adottare, a seguito di tale verifica, un atto impositivo (con finalità restitutorie), allo stesso modo dovrebbe accertare che il contribuente, il quale ha pagato, deve essere rimborsato, e ciò a prescindere da un’istanza di quest’ultimo.
A parere di chi scrive, non potrebbe essere obiettato, a quanto sopra esposto, che, a norma dell’art. 22 comma 2 del D.P.R. 917/1986 (TUIR), deve essere il contribuente a scegliere, qualora l’ammontare del credito di imposta sia superiore a quello dell’imposta dovuta nel periodo, se utilizzare tale eccedenza a decurtazione dell’imposta dovuto per il periodo successivo oppure presentare istanza di rimborso.
L’art. 36 ter comma 2 lett. D) del DPR 600/73 prevede che sia l’AF a determinare, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione dei redditi, l’ammontare del credito d’imposta spettante. Pertanto, il riconoscimento di un credito d’imposta, e quindi anche del diritto al rimborso che ne deriverebbe ex art. 22 TUIR, deriva non da un’istanza del contribuente ma da un’attività ricognitiva dell’AF.
Analogamente, l’art. 36 bis dello stesso DPR prevede che l’AF, “avvalendosi di procedure automatizzate”, provvede a “ridurre i crediti d’imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalle dichiarazioni”.
Quindi, un’interpretazione costituzionalmente conforme dell’art. 77 del D.P.R. 131/1986 imporrebbe di ritenere che, contrariamente a quanto stabilito da tale norma, il rimborso dell’imposta debba essere eseguito di ufficio, a prescindere da un’istanza del contribuente.
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