Con la sentenza n. 5197 del 17.03.2015, la terza sezione della Cassazione, chiamata a pronunciarsi in merito all’interpretazione di una clausola di un contratto di assicurazione, ha chiarito quando sia concretamente rilevabile uno stato di invalidità permanente e, in particolare, quale sia la relazione tra l’invalidità permanente e l’avvenuta guarigione clinica del danneggiato.
Nel caso di specie i ricorrenti, eredi di un soggetto deceduto a causa di una patologia tumorale, senza possibilità di guarigione clinica, beneficiario di una polizza assicurativa stipulata per la tutela dello stato di invalidità permanente, si erano visti respingere dai giudici di merito le proprie richieste di liquidazione del danno. La questione riguardava, soprattutto, l’interpretazione di una clausola contenuta nelle condizioni generali di contratto in relazione alla definizione del rischio assicurato. Secondo tale clausola il rischio da “invalidità permanente” veniva definito come “la perdita o diminuzione definitiva irrimediabile, della capacità dell’esercizio della propria professione […] e di ogni altro lavoro […] conseguente a malattia“.
I ricorrenti sostenevano che il tumore avesse fatto privato l’assicurato della capacità lavorativa, con conseguente realizzazione del rischio assicurativo. La Corte d’Appello aveva tuttavia rilevato che nessuna invalidità permanente era mai insorta: secondo la sentenza impugnata tale stato è concepibile “solo quando, una volta guarita la malattia, questa abbia lasciato dei postumi permanenti all’ammalato“.
Sul punto, la Cassazione, confermando quanto sostenuto dal giudice di secondo grado, ha statuito che lo stato di “invalidità permanente” presuppone, in base ad un ragionamento logico e oggettivo, un periodo di malattia e la corrispondente avvenuta guarigione, soltanto al termine della quale sarà possibile valutare i danni riportati.
Contrapposta alla invalidità permanente è infatti il termine invalidità temporanea. Secondo la Corte di legittimità “l’esistenza di una malattia in atto e l’esistenza di uno stato di invalidità permanente non sono tra loro compatibili: finché durerà la malattia, permarrà uno stato di invalidità temporanea, ma non v’è ancora invalidità permanente; se la malattia guarisce con postumi permanenti si avrà uno stato di invalidità permanente, ma non vi sarà più invalidità temporanea; se la malattia dovesse condurre a morte l’ammalato, essa avrà causato solo un periodo di invalidità temporanea”.
In conformità all’orientamento consolidato in materia, la Suprema Corte ha pertanto enunciato il seguente principio di diritto: “l’espressione invalidità permanente designa uno stato menomativo divenuto stabile ed irrimessibile, consolidatosi all’esito di un periodo di malattia; pertanto, prima della cessazione di questa, non può esistere alcuna invalidità permanente. Ne consegue che, ove in un contratto di assicurazione contro i rischi di malattia, sia previsto il pagamento di un indennizzo nel caso di invalidità permanente conseguente a malattia, alcun indennizzo è dovuto nel caso in cui la malattia patita dall’assicurato, senza mai pervenire a guarigione clinica, abbia esito letale”.
Con la logica conseguenza che l’assicurato, essendo deceduto a seguito della malattia, non è in effetti mai guarito. E’ stata pertanto confermata l’interpretazione dei giudici di merito che ha portato al rigetto della domanda.
(Corte di Cassazione, Terza Sezione Civile, sentenza n. 5197 del 17.03.2015)