Art. 2555 c.c.: attività economica e Homo Oeconomicus nell’impresa moderna

L’articolo esamina l’art. 2555 c.c., che definisce l’azienda come un complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’attività economica, e analizza le sue implicazioni alla luce del concetto di homo oeconomicus. Attraverso un’analisi giuridico-economica, si esplora come il quadro normativo italiano influisca sulle decisioni imprenditoriali e sul funzionamento del mercato. L’homo oeconomicus, rappresentante della razionalità economica, viene considerato nel contesto delle dinamiche aziendali moderne, con particolare attenzione alle strategie di ottimizzazione e ai processi decisionali in un ambiente normativo complesso. Questo studio fornisce una prospettiva interdisciplinare che integra teoria economica e diritto commerciale, evidenziando le interazioni tra comportamento razionale e obblighi normativi nell’impresa contemporanea.

Premessa

L’elaborato affronta il dettato normativo dell’art. 2555 del c.c. in una prospettiva giuridico-economica. Lo scopo dell’elaborato è comprendere quali siano quei meccanismi che permettono all’azienda e all’imprenditore di “vivere” e “coesistere” all’interno del tessuto socio-economico. Se è vero che una società può essere paragonata a un essere vivente, che nasce, cresce, si ammala e muore, allora è altrettanto vero che questo “essere vivente” è soggetto a quei meccanismi sociali ed economici tipici di una società moderna come la nostra e, di conseguenza, è anch’esso soggetto, direttamente o indirettamente, alle regole che la stessa società impartisce ai propri consociati.

Unisciti alla nostra comunità legale

Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere le ultime notizie, analisi giuridiche e risorse esclusive direttamente nella tua casella di posta. Non perdere nessun aggiornamento importante nel campo del diritto civile. Iscriviti ora e rimani informato!

Contesto e obiettivo dell’articolo

L’art. 2555 del c.c., che opera nell’ambito del diritto commerciale, rappresenta il punto di partenza per la definizione e regolamentazione dell’attività imprenditoriale. Nel suo enunciato, infatti, vengono stabiliti e delineati limiti entro cui l’attività imprenditoriale può essere esercitata. Tra questi limiti troviamo quello relativo al “complesso dei beni” che vengono “organizzati dall’imprenditore” ai fini dell’esercizio dell’attività imprenditoriale.

La norma, redatta nel 1942, affronta oggi una sfida importante: il mercato si è evoluto. La globalizzazione è ormai parte integrante della vita quotidiana, sia a livello personale che imprenditoriale. In questo contesto, la disciplina economica aziendale ci permette di comprendere come la definizione giuridica fornita dall’art. 2555 del c.c. possa dimostrare, nel concreto, le dinamiche aziendali e imprenditoriali moderne.

Il principale protagonista dell’elaborato è l’homo oeconomicus, un modello teorico sviluppato da Bentham con la Teoria della decisione razionale e successivamente elaborato da John Stuart Mill nella sua Teoria dell’agire umano come soggetto economico. Mill, seguendo le orme di Bentham, scrisse il saggio On the Definition of Political Economy and on the Method Proper to It[1].

 Metodo di analisi e struttura dell’elaborato

L’approccio interdisciplinare tra la giurisprudenza e le materie economiche consente di esplorare le interazioni tra la normativa vigente e la teoria economica, non solo permettendo di esaminare un’ampia letteratura già esistente, ma anche di valutare le relative implicazioni pratiche nella realtà odierna.

Oltre ad analizzare giuridicamente ed economicamente l’art. 2555 del c.c., si approfondirà il concetto di homo oeconomicus e il modo in cui quest’ultimo possa influenzare e determinare le intersezioni tra la normativa e la razionalità economica, inclusa l’ideazione e l’attuazione di strategie aziendali, sia singole che aggregate, nel contesto del processo decisionale imprenditoriale.

L’art. 2555 del c.c.

L’art. 2555 del Codice civile, rubricato “Nozione”, è stato introdotto dal Legislatore del 1942 all’interno del Libro V, intitolato “Del lavoro”, Titolo VIII, intitolato “Dell’Azienda”, Capo I, intitolato “Disposizioni generali”.

La collocazione di questo articolo non è casuale: il suo elemento qualificante è il cosiddetto “vincolo funzionale” dell’imprenditore in relazione al complesso dei beni strumentali per l’esercizio dell’azienda stessa. La collocazione tipizzata dell’articolo mostra come la teoria dell’homo oeconomicus influenzi già la quotidianità di ciascun consociato che opera nel tessuto lavorativo ed economico-imprenditoriale. Senza l’imprenditore, non esisterebbe l’azienda; senza l’azienda, non ci sarebbe lavoro; e senza lavoro, l’economia non riuscirebbe a circolare liberamente.

Definizione e presupposti della norma

Possiamo definire l’art. 2555 c.c. come il complesso dei beni aziendali organizzati e strutturati dall’imprenditore per esercitare la propria attività economica. I beni in questione comprendono sia beni materiali che immateriali, e sono quelli che permettono all’azienda di funzionare efficacemente all’interno di un contesto trasparente e legale relativo al settore di appartenenza.

Tuttavia, per quanto riguarda i suoi presupposti, la giurisprudenza ci offre un importante supporto. È necessario analizzare la fattispecie richiamata dalla normativa nella sua concreta applicazione, piuttosto che nella sua genericità e astrattezza, in correlazione con i suoi elementi identificativi[2].

L’Homo Oeconomicus: concetti e teorie

Come accennato nel § n. 1, la teoria dell’Homo Oeconomicus risale al XIX secolo, come modello teorico nella disciplina dell’economia classica. Questo modello rappresenta il comportamento di un individuo che, agendo razionalmente, cerca di ottimizzare l’utilità derivante dall’attività economica che svolge.

Questo concetto ha posto le basi per l’analisi del comportamento del mercato e delle scelte individuali compiute da ciascun consociato. Fu con Jevons, verso la fine del XIX secolo, nella Theory of Political Economy del 1871, che venne formulato il concetto attuale di Homo Oeconomicus. Questo concetto riflette l’idea che la teoria dell’utilitarismo, delineata prima da Bentham e successivamente da Mill, riguarda l’utilità del bene materiale e immateriale, misurando il piacere che il soggetto economico trae dal proprio consumo.

 I tratti principali

Ci si chiede, quindi, quali siano i principali tratti di questa teoria. In sintesi, e come ha individuato Caruso[3], I principali tratti delineati da questa teoria sono sostanzialmente tre:

  1. a) Il soggetto è considerato il giudice competente ed esclusivo dei propri interessi economici e patrimoniali;
  2. b) Forte motivazione orientata alla realizzazione e al massimo beneficio da essa;
  3. c) Propensione a ottenere un’utilità.

Combinando le caratteristiche del punto a) e del punto b), possiamo ottenere la seguente definizione: Il soggetto, in quanto giudice competente dei propri interessi economici e patrimoniali, è guidato da una forte motivazione a ottenere il massimo beneficio (economico e patrimoniale) dalla situazione specifica. È evidente come i presupposti per individuare ex ante e poi decidere ex post le relative preferenze economiche e patrimoniali di natura imprenditoriale siano fondamentali[4] di ciascun Homo Oeconomicus (in questo caso, l’imprenditore).

La terza caratteristica riguarda la natura tipicamente egoistica dell’Homo Oeconomicus, che, pur di ottenere un profitto, adotterà ogni scelta di natura decisoria-imprenditoriale a scapito dei propri sottoposti, senza valutare le possibili conseguenze sull’intero apparato aziendale.

L’utilitarismo derivante da questa prospettiva è di per sé di natura prettamente cinica, poiché si tende a focalizzarsi esclusivamente sulla monetizzazione di qualsiasi interesse, con l’obiettivo di accrescere il proprio patrimonio.

 Intersezioni tra la normativa e la razionalità economica

L’intersezione tra la normativa vigente ex art. 2555 c.c. e la razionalità economica dell’Homo Oeconomicus si manifesta attraverso il concetto di “bisogno”. È proprio il bisogno di ogni singola persona che trova soddisfacimento attraverso l’attività economica, che include il consumo di beni primari e secondari e beni economici.

Si noti che l’attività economica delineata dall’art. 2555 c.c. è svolta non solo dalle persone (come imprenditori e dipendenti), ma anche per le persone che, nel loro complesso, costituiscono gruppi sociali (come famiglie e studenti).

Quindi, se il bisogno è definito come l’esigenza di ottenere un determinato bene (materiale e/o immateriale), tale bene può essere considerato utile al perseguimento degli scopi della vita di ciascun consociato.

Nell’ottica dell’art. 2555 c.c., questo si traduce nell’ottenimento di due tipi di beni: il bene economico, che include la merce e i servizi utili e che è caratterizzato dalla scarsità in relazione all’esigenza della singola persona; e il bene non economico, in cui la scarsità non esiste poiché la sua quantità e qualità riescono a soddisfare ogni esigenza di ciascun individuo.

In termini concreti e semplici, ciò significa che l’attività economica è l’operazione di produzione e consumo di beni economici[5]. Per attuare questa operazione, è necessario avviare un complesso meccanismo di trasformazione tecnica del bene fisico, che include al suo interno la trasformazione fisica (come nelle aziende manifatturiere), spaziale (come nel trasporto e nel magazzinaggio) e logica (come nelle aziende di credito).

  1. Implicazioni dell’articolo 2555 sulle scelte imprenditoriali

La teoria dei processi decisionali[6],che riguarda l’attore economico in sé e per sé, incide notevolmente nella teoria economica. La dottrina ha individuato tre modelli utili per comprendere il processo decisionale dell’attore economico[7]:

  1. a) Il modello delle scelte individuali basato sulla razionalità assoluta;
  2. b) Il modello delle scelte individuali basato sulla razionalità limitata;
  3. c) Il modello delle scelte adottate da un determinato gruppo sociale all’interno del proprio contesto organizzato, con razionalità limitata.

Analizziamo in dettaglio ogni singolo modello.

Per il modello a), il soggetto che deve prendere una decisione:

  1. a) Ha chiaro il problema e l’obiettivo che deve ottimizzare;
  2. b) Ha immediata disponibilità di tutte le informazioni necessarie per prendere una decisione;
  3. c) Ha ben chiaro quali siano o possano essere i vari scenari futuri a seguito della decisione o della non-decisione;
  4. d) I punti a), b) e c) sono tutti immediatamente e simultaneamente confrontabili. Il risultato sarà quindi un decisore unico e isolato, propenso a scegliere l’alternativa migliore[8].

Per il modello b), l’autore Herbert Simon propone un modello in cui i processi iterativi e sequenziali prevalgono:

  1. a) Il soggetto parte da un numero iniziale e certo di attese;
  2. b) Il soggetto attua una ricerca con l’intento di trovare una soluzione plausibile;
  3. c) Solo successivamente, dopo aver ottenuto i dati necessari, il soggetto esamina e valuta comparativamente tutte le caratteristiche delle soluzioni finali. Il risultato sarà il cosiddetto “aggiustamento delle attese”[9];
  4. d) Il soggetto esamina altre possibili soluzioni, confrontandole con le proprie attese;
  5. e) Le alternative vengono valutate in sequenza;
  6. f) Al termine del tempo disponibile o all’aumentare del costo per ottenere ulteriori informazioni utili, il soggetto sceglie la soluzione più soddisfacente per lui.
  7. In questo modello, come si è notato, il soggetto non possiede tutti gli elementi necessari per prendere una decisione.Per quanto riguarda il modello c), invece:
    1. a) I processi decisionali avvengono all’interno di società (di persone e/o di capitali);
    2. b) Si valuta l’impiego delle risorse materiali e immateriali a seguito della decisione assunta;
    3. c) Si valuta la fattibilità della decisione in relazione alle risorse disponibili da investire.

    In termini più semplici, il processo decisionale aziendale è parzialmente razionale poiché il soggetto definisce la portata delle deleghe e della relativa responsabilità del delegato, attivando così i meccanismi di segnalazione previsti dal d.lgs. 231 del 2001.

Cooperazione, opportunismo, fiducia e altruismo

Procedendo verso le conclusioni dell’elaborato, è essenziale considerare il fattore della cooperazione umana. La cooperazione consente di perseguire e ottenere risultati che, se perseguiti individualmente, sarebbero difficilmente raggiungibili.

In quest’ottica, possiamo parlare di “rendimento” in quanto la rendita prodotta dal raggiungimento degli obiettivi deve essere distribuita tra i singoli partecipanti. È evidente che ogni soggetto coinvolto ha interesse a partecipare alla cooperazione secondo le proprie possibilità e disponibilità, che saranno poi adeguatamente ricompensate in base al contributo apportato.

Sulla carta, tutto sembrerebbe perfetto, ma nella realtà i contributi individuali e i risultati ottenuti non sono immediatamente conoscibili. Questa incertezza può dare ampio spazio all’opportunismo del singolo soggetto. Ma in cosa consiste questo comportamento opportunistico? Si tratta di comportamenti egoistici e astuti, attuati per godere dei vantaggi della cooperazione senza aver contribuito concretamente.

L’opportunismo, dunque, può minare la fiducia tra le parti. Se è vero che per costruire un rapporto fiduciario è necessario adottare comportamenti basati sulla lealtà e sulla cooperazione, è altrettanto vero che, alla luce di comportamenti sostenuti solo da una parte, l’opportunismo dell’altra parte può generare profonde crepe nei rapporti fiduciari.

Tuttavia, accanto all’opportunismo esiste anche l’altruismo, che comporta un sacrificio da parte di un soggetto a favore di un altro. A prima vista, potrebbe sembrare che non vi sia correlazione tra altruismo e comportamento economico. In realtà, il comportamento altruistico può essere perfettamente funzionale al benessere personale di chi ne beneficia.

Conclusioni

L’analisi giuridico-economica dell’art. 2555 del c.c. ha messo in luce come la definizione di azienda quale complesso di beni organizzati per l’esercizio di un’attività economica si intersechi profondamente con le teorie dell’homo oeconomicus. L’homo oeconomicus, rappresentando la razionalità economica, offre un modello teorico utile per comprendere come gli imprenditori prendano decisioni in un contesto regolamentato e complesso.

 Implicazioni normative e comportamentali

L’art. 2555 c.c., pur essendo stato concepito in un’epoca lontana dalla moderna globalizzazione, riesce ancora a fornire un quadro strutturale robusto per l’organizzazione aziendale. Tuttavia, l’evoluzione del mercato richiede che questa norma sia interpretata alla luce delle attuali dinamiche economiche, dove la globalizzazione e la digitalizzazione giocano ruoli cruciali. L’imprenditore moderno deve navigare tra questi confini normativi e le necessità economiche del mercato, ottimizzando le proprie risorse per rimanere competitivo.

Ruolo dell’Homo Oeconomicus

L’homo oeconomicus funge da paradigma per l’analisi delle decisioni imprenditoriali. Le caratteristiche di razionalità, ottimizzazione e utilitarismo delineate da questa teoria trovano applicazione pratica nella gestione aziendale. La ricerca di efficienza e profitto è infatti intrinsecamente collegata alle scelte razionali che gli imprenditori devono compiere quotidianamente.

Processo decisionale

I modelli decisionali descritti (razionalità assoluta, razionalità limitata e razionalità organizzata) mostrano come le decisioni imprenditoriali possano variare in base alla disponibilità di informazioni e alla struttura organizzativa. La realtà aziendale è spesso caratterizzata da un contesto di razionalità limitata, dove le informazioni sono incomplete e le decisioni devono essere prese in modo iterativo. Questo modello rispecchia più fedelmente le condizioni del mercato contemporaneo, dove la rapidità e la flessibilità sono essenziali.

Cooperazione e opportunismo

La cooperazione all’interno delle organizzazioni è di fondamentale importanza per il raggiungimento degli obiettivi comuni. Tuttavia, il comportamento opportunistico può minare la fiducia necessaria per una collaborazione efficace. Le dinamiche tra la cooperazione e l’opportunismo rivelano l’importanza di un equilibrio tra interesse personale e collettivo. Gli imprenditori devono quindi sviluppare strategie che promuovano la fiducia e minimizzino il rischio di comportamenti opportunistici.

Prospettive Future

Alla luce delle interazioni tra normative e comportamenti economici, emerge la necessità di un continuo adattamento delle norme commerciali per riflettere le mutevoli condizioni del mercato. Una regolamentazione dinamica, che tenga conto dei principi di razionalità economica e delle esigenze del mercato globale, potrà supportare meglio le imprese nella loro crescita e sviluppo.

In estrema sinstesi, l’art. 2555 c.c., analizzato attraverso il prisma dell’homo oeconomicus, offre una comprensione approfondita delle dinamiche aziendali e delle decisioni imprenditoriali. Questo studio interdisciplinare sottolinea l’importanza di un quadro normativo che sia in grado di adattarsi e rispondere efficacemente alle sfide economiche moderne, promuovendo al contempo comportamenti razionali e cooperativi all’interno delle imprese.

NOTE

[1] Sergio Caruso, Homo oeconomicus. Paradigma, critiche, revisioni, ISBN 978-88-6655-105-8 (print) ISBN 978-88-6655-107-2 (online PDF) ISBN 978-88-6655-109-6 (online EPUB) © 2012 Firenze University Press – DOI: 10.36253/978-88-6655-107-2, Series: Studi e saggi. Scientific Board: Consiglio Editoriale FUP 2010-2016, Language: Italian, Subjects: Political Philosophy.

[2] Cassazione, Sent. n. 3973 dl 27 febbraio 2004.

[3] Sergio Caruso, Homo oeconomicus. Paradigma, critiche, revisioni, ISBN 978-88-6655-105-8 (print) ISBN 978-88-6655-107-2 (online PDF) ISBN 978-88-6655-109-6 (online EPUB) © 2012 Firenze University Press – DOI: 10.36253/978-88-6655-107-2, Series: Studi e saggi. Scientific Board: Consiglio Editoriale FUP 2010-2016, Language: Italian, Subjects: Political Philosophy.

[4] M.M. Kostecki, Homo Oeconomicus. Aforyzmy, maksymy, sentencje, Bis, Warszawa 2011; Sergio Caruso, Homo oeconomicus. Paradigma, critiche, revisioni, ISBN 978-88-6655-105-8 (print) ISBN 978-88-6655-107-2 (online PDF) ISBN 978-88-6655-109-6 (online EPUB) © 2012 Firenze University Press – DOI: 10.36253/978-88-6655-107-2, Series: Studi e saggi. Scientific Board: Consiglio Editoriale FUP 2010-2016, Language: Italian, Subjects: Political Philosophy.

[5] Airoldi, G., Brunetti, G., & Coda, V. (2020). Corso di economia aziendale. Bologna: Il Mulino. Collana Strumenti. ISBN 8815290958.

[6] Babiloni, F., Meroni, V. M., & Soranzo, R. (2005). Plain Modern: The Architecture of Brian MacKay-Lyons. New York, NY: Princeton Architectural Press. DOI: https://doi.org/10.1007/1-56898-646-7

[7] Airoldi, G., Brunetti, G., & Coda, V. (2020). Corso di economia aziendale. Bologna: Il Mulino. Collana Strumenti. ISBN 8815290958.

[8] Ibidem.

[9] Ibidem.

Alessio Barpi è un giurista specializzato nel diritto penale, civile e finanziario d'impresa, con particolare attenzione alla compliance aziendale e alla responsabilità penale degli enti (D.Lgs. 231/2001). Ha conseguito una doppia laurea presso l'Università degli Studi di Genova in Servizi Legali per l'Impresa e la Pubblica Amministrazione e in Giurisprudenza. Attualmente, sta ampliando le proprie competenze con un corso di laurea in Economia Aziendale, integrando le conoscenze giuridiche con una solida base economico-finanziaria. Ha completato percorsi di perfezionamento in Responsabilità Penale degli Enti e Diritto Penale Tributario, con un focus specifico sul diritto commerciale, societario e finanziario.

SCRIVI IL TUO COMMENTO

Scrivi il tuo commento!
Per favore, inserisci qui il tuo nome

1 × 4 =

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.