Amministrazione di sostegno e art. 8 CEDU: quando la misura lede il diritto al rispetto della vita privata?

La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5088/2025 (trovi il testo dell’ordinanza qui), si è pronunciata su una controversia relativa all’apertura dell’amministrazione di sostegno, evidenziando i criteri per la sua applicazione. In particolare, la Suprema Corte, facendo riferimento ai principi sanciti in materia dalla Corte EDU, ha chiarito quando la decisione di sottoporre una persona ad una misura di protezione può costituire un’ingerenza nella vita privata ai sensi dell’art. 8 della CEDU. Per un approfondimento su queste tematiche, ti consigliamo il volume “Manuale pratico per invalidità civile, inabilità, disabilità e persone non autosufficienti”, aggiornato alle ultime novità normative e giurisprudenziali. 

Il caso

Un uomo ha chiesto l’istituzione di un’amministrazione di sostegno per il nipote, sostenendo che fosse necessario proteggerlo a causa della sua vulnerabilità. In particolare, l’istante, come prova della necessità della misura, ha allegato la condizione di presunta sudditanza psicologica del nipote rispetto alla madre.

Il Tribunale di Roma ha respinto la richiesta in primo grado, e il collegio ha confermato la decisione in sede di reclamo. Il ricorrente ha quindi presentato ricorso in Cassazione, lamentando che il giudice di merito non avesse attivato i poteri istruttori d’ufficio, ex art. 407, comma 3, c.c., per acquisire documentazione sanitaria e disporre una consulenza tecnica d’ufficio (CTU).

Necessità di una condizione patologica accertata

La Corte ha ribadito che l’amministrazione di sostegno può essere disposta solo in presenza di un’infermità o menomazione, fisica o psichica, che impedisca all’interessato di provvedere ai propri interessi. Nel caso esaminato, il ricorrente non ha fornito elementi documentali idonei a dimostrare l’esistenza di una patologia tale da giustificare l’adozione della misura.

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Ruolo del giudice e poteri istruttori d’ufficio ex art. 407, comma 3, c.c.

Il ricorrente ha contestato il mancato esercizio dei poteri istruttori d’ufficio ex art. 407, comma 3, c.c. Tuttavia, la Cassazione ha chiarito che il giudice non è tenuto ad attivarli in assenza di elementi che ne giustifichino l’intervento. Nel caso specifico, il nipote ha presentato una certificazione medica che attestava la sua piena capacità di intendere e volere, e la sua gestione autonoma del patrimonio non ha evidenziato alcuna difficoltà.

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Rocchina Staiano
Avvocato, docente in Diritto della previdenza e delle assicurazioni sociali presso l’Università di Teramo e in diritto del lavoro presso l’Università La Sapienza (sede Latina). Componente della Commissione di Certificazione dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli. Consigliera di parità effettiva della Provincia di Benevento e valutatore del Fondoprofessioni. Autrice di numerose pubblicazioni e di contributi in riviste anche telematiche.

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Autodeterminazione e proporzionalità della misura

Un aspetto centrale della pronuncia riguarda il rispetto della volontà dell’interessato. La Corte ha sottolineato che l’amministrazione di sostegno non può essere imposta a una persona pienamente lucida che rifiuta la misura, salvo che non sussista una patologia psichica tale da renderla inconsapevole del proprio stato di bisogno. Inoltre, nel caso in esame, la tutela del beneficiario era già garantita dall’assistenza di professionisti e familiari, rendendo superfluo un intervento giudiziario.

Quando la misura dell’amministrazione di sostegno lede il diritto al rispetto della vita privata ex art. 8 CEDU?

Il ricorrente, quale prova della necessità della misura, aveva allegato la condizione di presunta sudditanza psicologica del nipote nei confronti della madre. La Cassazione, condividendo le argomentazioni dei giudici di merito, ha ritenuto che tale circostanza non giustificasse, nel caso di specie, l’applicazione della misura dell’amministrazione di sostegno. La Suprema Corte, nel chiarire le ragioni della decisione, ha fatto riferimento ai principi sanciti dalla Corte EDU in materia.

La Corte EDU ha evidenziato che l’istituzione di un’amministrazione di sostegno può costituire una violazione dell’art. 8 CEDU e ledere il diritto al rispetto della vita privata qualora non rispetti criteri di proporzionalità e necessità. In particolare, ha stabilito che una misura limitativa della capacità di agire è legittima solo se prevista dalla legge, se persegue uno scopo legittimo e se è necessaria in una società democratica, evitando restrizioni eccessive alla libertà individuale.

La Cassazione, applicando questi principi, ha rigettato il ricorso e ha stabilito che l’amministrazione di sostegno sarebbe risultata una misura sproporzionata e non necessaria nel caso in esame, poiché il beneficiario era in grado di provvedere autonomamente ai propri interessi e la condizione di sudditanza psicologica, allegata dal ricorrente, rappresentava una mera supposizione.

Conclusioni

La decisione della Cassazione conferma l’orientamento giurisprudenziale volto a tutelare la capacità di autodeterminazione della persona, evitando un’applicazione estensiva e ingiustificata dell’amministrazione di sostegno.

La pronuncia, allineandosi ai principi sanciti dalla Corte EDU in materia di misure di protezione, chiarisce che l’istituzione di un’amministrazione di sostegno, affinché non violi il diritto al rispetto della vita privata ex art. 8 CEDU, deve perseguire uno scopo legittimo, essere proporzionata e necessaria in una società democratica.

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