La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 29684/2024, ha ribadito il valore dell’adozione di maggiorenni come strumento flessibile per riconoscere legami affettivi e patrimoniali, tutelando il diritto all’identità personale.
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Il caso
La vicenda ha origine dalla domanda di adozione presentata da una donna anziana, nei confronti di un altro soggetto, con cui aveva costruito un legame affettivo e di mutuo supporto nel corso di decenni. La richiedente, in assenza di discendenti legittimi, aveva evidenziato il ruolo che l’adottando aveva assunto nella sua vita, sia sul piano personale che assistenziale. La relazione tra le parti, secondo la donna, si era consolidata in un rapporto assimilabile a quello familiare. I giudici di merito, sia in primo grado che in appello, avevano respinto la richiesta. La Corte d’Appello aveva motivato il rigetto affermando che il rapporto tra adottante e adottando non fosse configurabile come una relazione parafamiliare. Pur rilevando che l’adottando offrisse un’assistenza regolare, i giudici avevano ritenuto che tale aspetto non fosse sufficiente per giustificare l’adozione.
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I motivi del Cassazione
La decisione è stata impugnata davanti alla Corte di Cassazione. I ricorrenti hanno sostenuto che i giudici di merito avessero dato un’interpretazione eccessivamente restrittiva dell’istituto, trascurandone la funzione composita. In particolare, è stata contestata la mancata considerazione della componente patrimoniale dell’adozione, oltre a una valutazione inadeguata dei requisiti legali e dei diritti fondamentali coinvolti. In particolare, il primo motivo riguardava l’errata interpretazione dell’art. 291 c.c., con i ricorrenti che lamentavano una lettura eccessivamente solidaristica dell’adozione di maggiorenni, trascurandone la componente patrimoniale. Il secondo denunciava la violazione degli artt. 291, 296, 297 e 311 c.c., poiché i giudici di merito non avevano adeguatamente considerato il rispetto dei requisiti legali, come la differenza di età e l’assenza di discendenti legittimi. Il terzo motivo invocava la violazione dell’art. 7 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE e dell’art. 8 CEDU, sostenendo che il rigetto dell’adozione interferisse ingiustificatamente con la vita privata e familiare. Infine, il quarto motivo contestava l’interpretazione rigida dell’art. 299 c.c. sull’ordine dei cognomi, in contrasto con il diritto all’identità personale sancito dagli artt. 2 e 3 Cost.
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Lucilla Nigro
Autore di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022.
Analisi della Corte di Cassazione
Relativamente al primo motivo, la Corte ha ritenuto fondato il rilievo secondo cui l’art. 291 c.c. non può essere interpretato in senso esclusivamente solidaristico. Pur riconoscendo l’evoluzione dell’istituto verso il riconoscimento di legami affettivi, la Corte ha sottolineato che la funzione patrimoniale rimane parte integrante dell’adozione di maggiorenni. Questa funzione è espressamente prevista dalla norma e non può essere ignorata nella valutazione complessiva.
In relazione al secondo motivo, che denunciava la violazione degli artt. 291, 296, 297 e 311 c.c., i giudici hanno evidenziato che tutti i requisiti legali erano stati rispettati: la differenza di età di almeno diciotto anni tra adottante e adottando, l’assenza di discendenti legittimi dell’adottante e il consenso delle parti coinvolte risultavano comprovati. Inoltre, la Corte ha ritenuto che il legame affettivo e accuditivo tra adottante e adottando, protratto per oltre trent’anni, fosse sufficiente a integrare un contesto parafamiliare, anche in assenza di convivenza formale.
Sul terzo motivo, la Corte ha richiamato gli artt. 7 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE e 8 della CEDU, rilevando che il rigetto dell’adozione violava il diritto al rispetto della vita privata e familiare. La Corte ha osservato che il mancato riconoscimento giuridico di una relazione consolidata nel tempo può ledere la dignità e l’identità personale delle parti coinvolte, rappresentando un’interferenza sproporzionata e non giustificata.
Infine, sul quarto motivo, la Cassazione ha richiamato i principi costituzionali sanciti dagli artt. 2 e 3 Cost., nonché la recente giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenza n. 135/2023) ritenendo che l’automatica anteposizione del cognome dell’adottante a quello dell’adottando, come previsto dall’art. 299 c.c., potesse risultare lesiva del diritto all’identità personale. La Corte ha quindi considerato fondata la richiesta di posporre il cognome dell’adottante, rimettendo la questione al giudice del rinvio per una nuova valutazione alla luce dei principi costituzionali.
Conclusione
Con questa pronuncia, la Corte ha ribadito l’importanza di considerare non solo i requisiti legali e patrimoniali, ma anche il valore dei legami affettivi consolidati e il rispetto dei diritti fondamentali, come il diritto alla vita privata e familiare e all’identità personale. La pronuncia evidenzia come l’adozione non sia più soltanto uno strumento per la trasmissione del cognome e del patrimonio, ma rappresenti una modalità per riconoscere giuridicamente relazioni affettive significative e meritevoli di tutela.