È legittima l’adozione di maggiorenne se la differenza di età tra adottante e adottato è inferiore ai 18 anni previsti dall’art. 291 c.c.?
Secondo la Cassazione, nei casi di adozione di maggiorenne, il giudice ha il potere di derogare, previa accurata disamina delle circostanze del caso specifico, al rigido criterio disposto dall’art. 291 c.c., apportando una riduzione ragionevole del divario di 18 anni tra adottante e adottato, sempre che la differenza di età rientri nell’ambito di un rapporto familiare naturale.
Fatti di causa
La questione ha origine dalla richiesta di adozione avanzata da un uomo in favore della figlia maggiorenne della compagna, rimasta orfana di padre a sei anni e da lui cresciuta come figlia propria da quando aveva l’età di 12 anni.
Richiesta di adozione che viene rigettata in primo ed in secondo grado ritenendo i giudici, in entrambe le occasioni, l’insussistenza della differenza minima di età di 18 anni tra soggetto adottante ed adottato, quale criterio normativamente sancito dall’art. 291 c.c..
Segue la proposizione del ricorso per Cassazione, affidato a quattro ordini di motivazioni.
Di qui, i giudici di legittimità, con ordinanza interlocutoria, dispongono il rinvio della causa alla pubblica udienza sull’assunto che la questione (sollevata dai ricorrenti) tocca profili delicati e di indubbia rilevanza, tra cui quello della compatibilità tra le disposizioni operanti in tema di adozione di maggiorenne e norme di derivazione costituzionale.
Problematica che, come evidenziato dallo stesso Collegio, trova terreno fertile in un ulteriore circostanza: nel fatto che il Giudice Costituzionale aveva emesso due pronunce[1] involgenti la questione della disparità tra le norme regolamentanti l’adozione dei minori e quelle relative all’adozione di maggiorenni.
Si rinvia al paragrafo successivo per la disamina delle motivazioni poste a sostegno del ricorso.
I motivi posti a sostegno del ricorso
Come già anticipato, il ricorrente affida la propria linea difensiva a quattro doglianze.
In prima battuta, denuncia l’illegittimità costituzionale della previsione di cui all’art. 291 c.c., assumendo che tale norma contrasti con specifiche disposizioni costituzionali.
Nel dettaglio, chiede che il Collegio sollevi questione di illegittimità costituzionale con:
– gli artt. 2 e 30 Costituzione, non permettendo l’autodeterminazione dell’individuo, inteso sotto la duplice accezione di singolo nonchè membro di organizzazioni sociali, venendo qui in rilievo la famiglia. Al riguardo, il ricorrente specifica il profondo legame affettivo che intercorre con la figlia maggiorenne della compagna, potendosi equiparare ad un vero e proprio rapporto di filiazione;
– l’art. 3 Costituzione, stante il criterio discretivo impiegato nell’adozione di maggiorenne (ex art. 291 c.c.) rispetto allo strumento dell’adozione di soggetti minori in casi speciali.
Più precisamente, il ricorrente sottolinea come l’istituto dell’adozione di minorenne permetta all’autorità giurisdizionale di ridurre il divario di età tenuto conto delle singole circostanze che di volta in volta caratterizzano i singoli casi pratici.
Infine, viene ad essere evidenziato il contrasto con la previsione costituzionale di cui all’art. 10, la quale statuisce espressamente che: “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”. In tal caso, dunque, il ricorrente intende richiamare le disposizioni di carattere sovranazionale, assumendo che il dato normativo di cui all’art. 291 c.c. risulti violativo dell’art. 8 CEDU, dell’art. 7 Carta Europea diritti fondamentali e dell’art. 16 Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo.
Previsioni, quest’ultime, tutte parimenti ancorate alla salvaguardia di un fondamentale valore: vita privata e familiare.
Con il secondo motivo, a fondamento del ricorso si pone la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto per mancata disapplicazione dell’art. 291 c.c.. perché in contrasto con le previsioni di diritto comunitario e sovranazionale sopra menzionate.
La terza motivazione, poi, concerne la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto e l’omessa disamina di un punto considerato focale per la risoluzione della questione: lo spirito di unità familiare, quale valore fondante lo strumento giuridico dell’adozione.
In proposito, il ricorrente sottolinea come i giudici, sia in primo che secondo grado, non abbiano debitamente tenuto in conto le eccezioni di diritto sollevate in ordine all’applicazione dell’art. 291 c.c. nonchè le dichiarazioni rilasciate, rispettivamente, dalla madre e dalla sorella minorenne dell’adottanda.
In conclusione, con l’ultimo motivo invocato nel ricorso, la parte denuncia la violazione e falsa applicazione delle norme circa il trattamento di disparità ricorrente tra l‘adozione di maggiorenne e l’adozione di minori (ex art. 44, primo comma, lett. b, Legge n. 184/1983).
Sul punto, viene ad essere sottolineata l’affinità tra i due strumenti giuridici sull’assunto che l’istituto regolamentato dall’art. 291 c.c. è finalisticamente teso a tutelare il nucleo famigliare, anche nell’ottica di un consolidamento dell’unità nelle famiglie allargate, maggiormente frequenti nell’attuale tessuto sociale.
La risposta del Supremo Consesso ed analisi delle tesi giurisprudenziali
Seppur non considerati meritevoli di accoglimento il primo ed il secondo ordine di motivazioni, il Supremo Consesso ritiene di accogliere il ricorso, sposando pienamente la terza doglianza esposta dal ricorrente.
Di seguito le argomentazioni logico-giuridiche poste dai giudici di legittimità a sostegno della propria soluzione.
In via preliminare, come uti sopra evidenziato, il Collegio rigetta l’eccezione di legittimità costituzionale sollevata con i primi due motivi del ricorso.
Al riguardo, gli Ermellini riportano, nell’ottica di una risoluzione della fattispecie in esame, due pronunce della Corte Costituzionale che hanno posto una importante pietra miliare in ambito giurisprudenziale, intervenendo sull’annosa questione della disparità di disciplina tra adozione di minori e di maggiorenne.
In prima battuta, la sentenza n. 89 del 1993, con la quale il giudice nomofilattico ritiene infondata la questione di illegittimità invocata in ordine agli artt. 2, 29 e 30 Costituzione, in virtù della diversità strutturale e funzionale nonché della differente ampiezza dei poteri giurisdizionali caratterizzanti l’adozione di minore rispetto all’adozione di persone maggiorenni ex art. 291 c.c..
In secondo luogo, la pronuncia n. 500 del 2000, essendo anch’essa intervenuta sulla medesima tematica, con riguardo specifico agli artt. 2, 3, 9, primo comma, e 30, terzo comma, della Carta Costituzionale.
In tale occasione, il giudice costituzionale nell’esporre il principio di diritto evidenzia i punti di distacco intercorrenti tra l’adozione ordinaria e l’adozione di minori.
Partendo dall’adozione di soggetti minorenni, la Corte ne precisa il fine “nell’interesse del minore ad un ambiente familiare stabile ed armonioso, ove possa sviluppare la propria personalità, in un equilibrato contesto affettivo ed educativo che ha come punto di riferimento idonei genitori adottivi”. Ovvero: “dall’inserimento nella famiglia di definitiva accoglienza e dal rapporto con i genitori adottivi, i quali divengono titolari dei poteri e dei doveri che caratterizzano la posizione dei genitori nei riguardi dei figli”. Di qui, ne discendono, quali aspetti qualificanti “il pieno inserimento del minore nel contesto familiare adottivo nonché l’obbligo dell’adottante di mantenere, istruire ed educare l’adottato, come sancito per la prole dall’art. 147 c.c.[2].”.
In secondo luogo, poi, si sofferma sui diversi profili (funzionali, strutturali ed efficaci) che caratterizzano l’adozione di maggiorenne.
In proposito, si precisa come lo strumento adottivo regolamentato dall’art. 291 c.c. non richieda necessariamente l’instaurarsi o il permanere della convivenza familiare nonché la soggezione dell’adottato alla potestà del genitore adottivo[3].
Il che evidenzia una diversa finalità sottesa ai due istituti che, a detta dei giudici, vale a giustificare il superamento del criterio normativamente sancito (relativo al divario di età richiesto tra adottante e adottato) solo in relazione all’adozione di minori[4].
Relativamente al terzo motivo invocato dal ricorrente[5], il Supremo Consesso propende per la sua fondatezza.
Al riguardo, gli elementi che la Corte evidenzia, in quanto ritenuti accertati, sono i seguenti: la convivenza il ricorrente/adottante e l’adottanda, figlia della convivente, da quando quest’ultima aveva sei anni, potendosi ritenere consolidato un nucleo familiare da circa trenta anni (avendo l’adottanda 36 anni) nonché la ricorrenza tra i due soggetti di una differenza d’età pari a 17 anni e 4 mesi.
Orbene, i giudici ritengono che il criterio posto dall’art. 291 c.c. (richiedente la differenza di 18 anni tra adottante ed adottato) ponga una compressione ingiustificata dello strumento adottivo, stante i cambiamenti sociologici che hanno determinato uno svecchiamento dell’originaria connotazione dell’istituto in questione. Precisandosi che l’intervenuto rinnovamento ha attribuito all’adozione di maggiorenne una “funzione di riconoscimento giuridico di una relazione sociale tra soggetti che, seppur maggiorenni, sono legati da saldi vincoli morali, civili e personali[6]”.
Di qui l’assunto per cui vada accolta una interpretazione e/o lettura costituzionalmente compatibile dell’art. 291 c.c. e, dunque, in armonia con i principi di derivazione costituzionale.
Venendo qui in debito rilievo, per un verso, il criterio solidaristico così come rintracciabile nell’art. 2 della Costituzione, laddove il divario di età di 18 anni non consentirebbe all’adottato di esercitare appieno il diritto alla formazione di un assetto familiare sulla base di un nucleo consolidatosi nel tempo e connotato da una affectio parificabile a quella propria di una famiglia basata sul matrimonio.
Per altro, il principio di uguaglianza consacrato dall’art. 3 Costituzione, sull’assunto che andrebbe agevolata la rimozione di ogni illogica disparità di trattamento tra adottato maggiorenne che presenti una differenza di età non inferiore ai 18 anni con la parte intesa ad intraprendere l’adozione e il soggetto adottante che, invece, abbia una differenza marginalmente al di sotto della soglia legalmente prestabilita.
A sostegno di tale argomentazione, la Cassazione guarda tanto al quadro normativo, con particolare riguardo alle norme di derivazione comunitaria, quanto a posizioni giurisprudenziali pregresse.
Nel primo caso, volge lo sguardo alla previsione di cui all’art. 8 CEDU. Norma, quest’ultima, che secondo gli Ermellini va interpretata in chiave ampliativa stante la connotazione positiva nonché i principi cui mira, quali il rispetto della vita familiare e privata. Di conseguenza, lo Stato dovrà intervenire in armonia con i suesposti baluardi in modo da garantire lo svilupparsi della relazione medesima[7] laddove venga acclarata la ricorrenza di un legame familiare.
Riguardo al secondo aspetto, i giudici di legittimità ritengono significativo l’orientamento innovativo adottato dalla giurisprudenza alla fine degli anni novanta. Con esso, difatti, la Cassazione ha sostenuto che l’art. 291 c.c. sia teso a “tutelare il valore etico-sociale dell’unità familiare, garantito dall’art. 30, primo e terzo comma, Costituzione”. Obiettivo, quest’ultimo, che deve trovare applicazione anche con riferimento all’adozione di prole del coniuge dell’adottante, nelle ipotesi in cui uno dei figli sia minore e l’altro sia divenuto di recente maggiorenne, affinchè venga riconosciuto ad entrambi i soggetti (adottante e adottando) il diritto di potersi inserire nel nuovo contesto familiare del quale fa parte il comune genitore.
Di qui, la conclusione secondo cui “il giudice, nei casi di adozione di maggiorenne, ha il potere di derogare, previa accurata disamina delle circostanze del caso specifico, al rigido criterio disposto dall’art. 291 c.c., apportando una riduzione ragionevole del divario di 18 anni tra adottante e adottato, sempre che la differenza di età rientri nell’ambito della imitatio naturae”[8]. Considerazione, quest’ultima, che nella fattispecie de qua risulta particolarmente giustificata atteso che il divario di età tra il ricorrente e la figlia della convivente è di 17 anni e 4 mesi e, dunque, inferiore di appena otto mesi rispetto alla soglia normativamente sancita.
Infine, il quarto motivo viene assorbito nel terzo e, come tale, considerato meritevole di accoglimento.
(Segue) Conclusioni: il principio di diritto espresso dalla Cassazione
Il massimo organo giurisdizionale, come già anticipato nei paragrafi che precedono, ha inteso propendere per un accoglimento del ricorso, rinviando la causa alla Corte d’Appello in diversa composizione.
Soluzione di segno positivo che poggia le sue fondamenta sul seguente risolutivo principio di diritto: “in tema di adozione di maggiorenne, il giudice è tenuto ad esercitare una interpretazione costituzionalmente orientata del disposto normativo di cui all’art. 291 c.c.”.
Ciò al fine precipuo di scongiurare un conflitto con l’art. 30 Cost. e l’art. 8 CEDU, nella prospettiva di “una rivisitazione storico-sistematica dell’istituto, che, avuto riguardo alle circostanze del caso in oggetto, permetta una ragionevole riduzione di tale divario di età, con lo scopo di tutelare le situazioni familiari consolidatesi da lungo tempo e fondate su una comprovata affectio familiaris”.
[1] Sentenze Corte Costituzionale nn. 89/93 e 500/2000.
[2] I giudici precisano, al riguardo, come l ’art. 147 del codice civile venga richiamato dalla disposizione di cui all’art. 48 Legge sull’adozione (Legge n. 184/1983). Venendo qui in rilievo il secondo comma dell’art. 48, atteso che sancisce espressamente l’obbligo per il soggetto adottante di mantenere, istruire ed educare l’adottato, in conformità a quanto prescritto ex art. 147 c.c.
[3] Di qui, ne deriva che, nell’ipotesi di adozione di maggiorenne, il genitore adottivo non assume l’obbligo di mantenere, educare ed istruire l’adottato.
[4] La Corte Costituzionale, tuttavia, ritiene di rimettere alla valutazione del legislatore la ponderazione e/o valutazione delle nuove esigenze sociali, nell’ottica di sollecitare un eventuale intervento innovativo in tema di adozione di maggiorenne (sentenza n. 500 del 2000).
[5] Si rammenta che la terza motivazione concerne la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto nonché l’omesso esame di un aspetto centrale: il valore dell’unità familiare, quale bene fondante l’istituto dell’adozione.
[6] Sul punto, la Cassazione pone a fondamento della sentenza in esame la disamina dell’art. 12 preleggi, con particolare riguardo ad un duplice aspetto. In prima battuta, prende in considerazione il termine “connessione” di cui al primo comma (dell’art. 12 preleggi) precisandone la ratio sistematica. Più precisamente, ritiene si tratti di una indicazione tesa a favorire una attività interpretativa maggiormente ampliativa per cui le locuzioni vadano estese all’intero sistema normativo e non già riferite in senso limitativo alla sola legge nella quale sono inserite.
Altresì, ulteriore canone che i giudici considerano è quello della “coerenza” con l’ordinamento giuridico, di cui al secondo comma dell’art. 12 preleggi. Criterio, quest’ultimo, che presenta un preciso fine: fungere da guida per l’interprete nella ricerca del significato “conforme allo spirito del tempo e della società per cui la norma è destinata a valere”.
[7] Cfr. sul punto sentenza CEDU del 13.01.2015, su ricorso n. 52557/14 ove la Corte ha statuito che l’art. 8 pone a carico dello Stato obblighi positivi di rispetto effettivo della vita familiare. In tale prospettiva, il limite di 18 anni indicato dall’art. 291 c.c. si atteggia a limite ingiustificato in tema di adozione di maggiorenni, determinando una indebita ingerenza dello Stato sull’assetto di natura familiare, in contrasto con l’art. 8 CEDU.
[8] Cfr. Cass. n. 354 del 1999. In tale occasione, i giudici hanno regolamentato una questione riguardante l’adozione congiunta di un minore e di un maggiorenne. Nonostante il differente oggetto della causa, tale sentenza è stata ritenuta fondamentale per la risoluzione della fattispecie in esame, venendo in rilievo la stessa ratio. Più precisamente, esprime un principio generale involgente la salvaguardia dell’unità familiare, con richiamo dell’art. 30 Costi. E dell’art. 8 CEDU, che vale a legittimare l’esercizio del potere del giudice di accordare una riduzione del divario di età tra adottante e adottando, considerate le circostanze del singolo caso in esame.