Addebito della separazione: basta la prova del tradimento?

L’addebito della separazione può fondarsi sulla sola violazione del dovere di fedeltà sancito dall’art. 143 c.c.? La Corte d’Appello di Venezia, con la sentenza n. 2487 del 14 luglio 2025, è tornata sull’onere della prova gravante su chi, accusando l’altro partner di tradimento, chiede la dichiarazione di addebito a suo carico. Per un approfondimento su questi temi, ti consigliamo il volume “I nuovi procedimenti di famiglia”, acquistabile cliccando su Shop Maggioli o su Amazon.

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Ida Grimaldi,
Avvocato cassazionista, esperta in materia di diritto di famiglia e tutela dei minori, lavoro e discriminazioni di genere. È docente e relatrice in numerosi convegni nazionali, dibattiti e corsi di formazione. Autrice e curatrice di diverse opere in materia di diritto di famiglia e minorile, lavoro e pari opportunità, scrive per numerose riviste giuridiche ed è componente del Comitato Scientifico della rivista “La Previdenza Forense”, quadrimestrale della Cassa di Assistenza e Previdenza Forense.

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Il caso

La moglie chiedeva la separazione con addebito a carico del marito, a causa della relazione adulterina di quest’ultimo provata  anche attraverso il ricorso a investigatori privati. Il Tribunale di Verona respingeva la domanda di addebito evidenziando il difetto di nesso causale tra il tradimento e la crisi coniugale che, in realtà, risaliva ad epoca più antica: la moglie, in particolare, subito dopo la nascita della figlia, aveva progressivamente smesso di coltivare il rapporto coniugale con il marito, trascurandolo anche sul versante dell’intimità sessuale, per dedicarsi esclusivamente al ruolo di madre. Avverso tale decisione, la donna proponeva Appello.

Onere della prova per l’addebito della separazione

La Corte d’Appello ha ribadito che la dichiarazione di addebito implica:

  1. la dimostrazione che l’irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile “esclusivamente” al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o di entrambi i coniugi;
  2. ovvero che esista un sicuro nesso di causalità fra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell’intollerabilità dell’ulteriore convivenza.

Quindi, in caso di mancato raggiungimento della prova in relazione al fatto che il comportamento contrario ai predetti doveri tenuto da uno dei coniugi – o da entrambi – sia stato davvero la causa efficiente del fallimento della convivenza, legittimamente viene pronunciata la separazione senza addebito.

Peraltro, secondo i principi generali in tema di separazione, grava sulla parte che pretende l’addebito l’onere di provare sia la contrarietà del comportamento del coniuge agli obblighi che derivano dal matrimonio, sia l’efficacia causale di questi comportamenti nel rendere insostenibile la prosecuzione della convivenza (v. Cass. n. 13858/2025; Cass. n. 8071/2025; Cass. n. 40795/2021; Cass. n. 16691/2020).

Addebito della separazione e violazione del dovere di fedeltà

L’art. 143 c.c., al secondo comma, prevede che dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione.

L’addebito della separazione non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri posti dall’art. 143 c.c.: è necessario che sia proprio questa grave inosservanza la “causa effettiva” della fine del legame, dovendo porsi l’accento sul motivo che ha generato l’insostenibilità della convivenza fra i coniugi ex art. 151 c.c. (v. Cass. 23.05.2014, n. 11516; Cass. 23.10.2012, n. 18175; Cass. 15.07.2010, n. 16614).

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Il tradimento e la crisi coniugale

Il Collegio ha specificato che, ai fini dell’addebito, bisogna identificare che “cosa” esattamente abbia cagionato la crisi, la quale potrebbe preesistere e prescindere all’/dall’inosservanza di uno o più doveri che discendono dal vincolo matrimoniale.

Il comportamento contrastante tenuto da uno dei coniugi deve essere stato la “ragione unica od assorbente” della rottura dell’unione e non l’esito di una crisi già maturata e consolidata in precedenza nonché dipesa da altri motivi (v. Cass. n. 11130/2022).

La Cassazione ha escluso l’addebito proprio in una fattispecie nella quale emergeva la progressiva e manifesta disaffezione dei coniugi (v. Cass. n. 13858/2025). Il “disimpegno” da una convivenza divenuta intollerabile a causa di una profonda disaffezione costituisce un diritto costituzionalmente garantito e non può essere – di per sé – fonte di riprovazione giuridica e causa di addebito della separazione: il diritto valuta la realtà dei rapporti umani e non sempre la fine di un matrimonio è il risultato di una “colpa specifica” di uno dei coniugi (v. Cass. n. 2183/2013).

Basta la prova dell’infedeltà?

L’adulterio costituisce di regola causa di intollerabilità della convivenza e addebito della separazione al coniuge responsabile, a meno che non si accerti, attraverso un’indagine rigorosa ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, che l’infedeltà non ha costituito la causa efficiente della crisi coniugale, essendosi manifestata in presenza di un deterioramento dei rapporti già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza divenuta ormai meramente formale” (v. Cass. n. 11394/2024).

Quindi, va senz’altro ribadita l’importanza del dovere di fedeltà all’interno del matrimonio, anche se la Cassazione ha segnalato l’esigenza di un’attenta valutazione del caso concreto, al fine di accertare se l’infedeltà sia stata realmente la causa scatenante della crisi coniugale o se si sia verificata in un contesto di rapporti già compromesso in modo significativo. Tale approccio garantisce un’analisi puntuale delle situazioni familiari complesse, evitando semplificazioni eccessive.

La decisione della Corte

Nel caso di specie, la moglie, nel richiedere l’addebito della separazione a carico del marito, non aveva assolto il suo onere probatorio, dimostrando solo la condotta adulterina dell’altro coniuge, e non anche l’efficienza causale di siffatto comportamento rispetto alla crisi coniugale. Inoltre, dalla relazione psicodiagnostica e, dal quadro probatorio complessivo, emergeva oggettivamente che l’adulterio era sopraggiunto in un contesto familiare già disgregato.

La Corte, quindi, sulla base di tali argomentazioni, ha dichiarato infondato l’Appello, confermando la decisione di primo grado: anche qualora l’adulterio sia provato in modo certo, l’addebito richiede comunque la dimostrazione del nesso causale tra la condotta e la crisi coniugale; in assenza di tale collegamento, la pronuncia non può essere disposta.

Conclusioni

La sentenza della Corte d’Appello di Venezia, pur richiamando principi già consolidati, ricorda che la fine di un matrimonio non è sempre frutto di una “colpa specifica”. Il “disimpegno” da una convivenza divenuta intollerabile per disaffezione è un diritto costituzionalmente garantito. Non può, di per sé, giustificare l’addebito. Il diritto di famiglia deve guardare alla realtà dei rapporti, distinguendo tra condotte che causano la crisi e comportamenti che intervengono in un legame già compromesso.

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