La sentenza n. 11564 del 4 giugno 2015 della Cassazione rappresenta un importante pilastro per la tutela della concorrenza attuata mediante strumenti di private enforcement per la repressione dei comportamenti antitrust. In particolare, con la pronuncia in commento sono stati forniti interessanti chiarimenti in ordine all’onere probatorio incombente in capo ai privati e ai poteri istruttori del giudice nelle controversie sorte in subjecta materia.
Nella vicenda che ha originato il giudizio di legittimità, la Corte di appello aveva rigettato la domanda di alcuni esercenti attività di commercio all’ingrosso di prodotti ortofrutticoli per mancato assolvimento dell’onere probatorio, ritenendo solo generici i riferimenti forniti ai fini dell’esistenza di un “mercato rilevante”, presupposto essenziale dell’illecito dell’abuso di posizione dominate.
Secondo i giudici di legittimità nei giudizi non preceduti da un accertamento o da una decisione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, l’applicazione meccanica del principio onus probandi incumbit ei qui dicit determina il venir meno della tutela effettiva del diritto al risarcimento del danno subito dalle imprese lese dalla condotta anticoncorrenziale della Società che detiene la posizione dominante sul mercato di riferimento.
Deve, infatti, tenersi in considerazione che in giudizi di questo tipo i privati incorrono in evidenti difficoltà probatorie e di allegazione: da un lato, i fatti da provare, di per sé complessi e di natura economica, spesso si trovano nella sfera del soggetto che pone in essere l’illecito, dall’altro, la spesa per l’acquisizione di elementi idonei per il compimento di indagini tecnico-economiche è particolarmente onerosa. Tale difficoltà è ulteriormente accentuata dalla necessità di confrontarsi con elementi controfattuali da comparare con ciò che è avvenuto nella realtà.
Non a caso le Autorità amministrative a tutela della concorrenza dispongono di numerosi poteri istruttori d’ufficio maggiormente penetranti degli strumenti probatori forniti dal codice di rito ai privati.
Riscontata l’obiettiva problematicità per la parte nell’accesso alla prova in tale materia, la Suprema Corte ha ravvisato la necessità di valorizzare gli strumenti di indagine e di conoscenza a disposizione del Giudice, al fine di rendere effettiva la tutela dei privati che agiscono in sede giurisdizionale in presenza di paventate violazioni del diritto alla concorrenza.
In tale prospettiva, il privato sarà tenuto solamente ad “indicare in modo sufficientemente ‘plausibile’ seri indizi dimostrativi della fattispecie denunciata come idonea ad alterare la libertà di concorrenza e a ledere il suo diritto di godere del beneficio della competizione commerciale”.
In ossequio al principio comunitario di cooperazione tra i giudici nazionali e le Autorità Antitrust (ricavabile dall’art. 15 del Regolamento CE n. 1/2003 e a cui si ispira la Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26 novembre 2014, n. 104), invece, il Giudice della causa deve acquisire dati ed informazioni utili per ricostruire la fattispecie anticoncorrenziale denunciata, interpretando estensivamente le condizioni stabilite dal codice di procedura civile per l’esercizio dei poteri d’indagine anche officiosi, in tema di esibizione di documenti, richiesta di informazioni e di consulenza tecnica di ufficio.
(Corte di Cassazione, I sez. civile, sentenza n. 11564 del 4 giugno 2015)