Con sentenza n. 3925 del 13 febbraio 2024, le Sezioni Unite Civili hanno emesso una pronuncia sulle servitù prediali di parcheggio, risolvendo un contrasto giurisprudenziale datato. Il principio enunciato chiarisce che, in materia di servitù, l’articolo 1027 del codice civile non esclude la possibilità di costituire, tramite convenzione tra le parti, una servitù che consenta il parcheggio di veicoli su un fondo di proprietà altrui. Tuttavia, affinché tale facoltà possa essere riconosciuta, è necessario che sia stata concessa a vantaggio di un altro fondo per favorirne l’utilizzazione migliore, e che siano rispettati tutti i requisiti del diritto reale, compresa una precisa localizzazione.
Corte di Cassazione- sez. un. civ. sent. n. 3925 del 13-02-2024
La questione
La Corte d’Appello di Venezia ha confermato la decisione del Tribunale di primo grado, rigettando il gravame presentato contro la decisione di respingere la richiesta di nullità della servitù di parcheggio temporaneo, transito e manovra di automezzi in genere. Tale servitù era stata istituita mediante atto notarile. La Corte ha motivato la sua decisione evidenziando diversi aspetti: il riconoscimento della servitù da parte dell’acquirente al momento dell’acquisto dell’immobile; la natura prediale della servitù evidenziata dall’atto costitutivo; la considerazione di un’utilità residua per il fondo servente nonostante l’eccezione di nullità fosse stata sollevata; la mancanza di prove sufficienti della mancanza di utilità della servitù da parte dell’appellante; l’irrilevanza della destinazione agricola del fondo servente ai fini della validità della servitù; la possibilità di sfruttare il sottosuolo del fondo servente per attività non incompatibili con il parcheggio; la corretta localizzazione delle servitù, individuando le particelle catastali interessate; il riscontro di tutti gli altri requisiti tipici della servitù, quali specificità, determinatezza e inseparabilità rispetto ai fondi dominante e servente.
Contro la sentenza in questione, il difensore del ricorrente ha richiesto che il ricorso fosse assegnato alle Sezioni Unite per dirimere il contrasto giurisprudenziale relativo alla possibilità di costituire e riconoscere le servitù prediali di parcheggio. Ha sottolineato che alcune decisioni giurisdizionali hanno negato tale configurabilità basandosi sul requisito della realità, mentre altre correnti giurisprudenziali hanno ammesso siffatta possibilità attraverso la similitudine con le servitù prediali. Il Primo Presidente ha accolto la richiesta, decidendo di assegnare il ricorso alle Sezioni Unite.
Il contrasto giurisprudenziale
In primo luogo, la comprensione del contrasto giuridico richiede un approfondimento dell’evoluzione giurisprudenziale e delle posizioni assunte dalla dottrina in questo ambito.
Una prima linea interpretativa consolidata dalla giurisprudenza fin dal 2004 ha chiarito che il parcheggio di veicoli su un’area non può essere considerata un’espressione di un diritto di servitù, ma piuttosto una manifestazione legittima di possesso a titolo di proprietà del suolo. Tale diritto di servitù, caratterizzatato dalla realitas che implica l’utilità per il fondo dominante e il peso per il fondo servente, non può essere identificato con il semplice parcheggiare un’auto per specifiche persone che accedono al fondo, ancorché in numero limitato. Ciò perché tale azione sarebbe riconducibile a un vantaggio esclusivamente personale dei proprietari senza integrare i requisiti dell’utilità inerente al fondo stesso. Tale principio è stato ribadito anche nella Sentenza n. 20409 del 2009, la quale ha chiarito che l’utilizzo di un’area condominiale come parcheggio da parte dei condomini non può essere tutelato mediante un’azione di reintegrazione del possesso di servitù, poiché il parcheggio dell’auto non soddisfa i requisiti strutturali di un diritto di servitù, mancando della caratteristica fondamentale di “realità”.
In base ad una diversa prospettazione, si è argomentato che nel nostro ordinamento giuridico i privati non possono stabilire servitù che siano puramente personali, ovvero le “servitù irregolari”. Queste forme di servitù, che limitano il diritto di proprietà su un fondo a beneficio non del fondo confinante, ma del singolo proprietario di quest’ultimo, devono essere considerate nell’ambito del diritto d’uso o dei contratti simili, come locazioni, affitti o comodati. In entrambi i casi, il diritto trasferito, essendo di natura personale e obbligatoria, non può automaticamente trasmettersi senza un contratto apposito stipulato dall’avente diritto con il nuovo proprietario del bene servente.
In linea con questo assunto, si inserisce anche la pronuncia della Sezione Seconda n. 15334 del 2012.[1] Inoltre, con la decisione n. 23708 del 6 novembre 2014, la Corte ha ribadito il concetto di mancanza di “realitas”, intesa come l’inerenza dell’utilità al fondo dominante e il peso al fondo servente, e ha introdotto un ulteriore principio: la nullità del contratto costitutivo di servitù di parcheggio per impossibilità dell’oggetto.
Posizione della dottrina
La posizione della dottrina si pone a favore della validità della servitù di parcheggio. Si osserva, innanzitutto, che questa discussione presenta delle analogie con il diritto di passaggio, entrambi riguardanti l’accesso e l’uso del fondo di proprietà altrui. Come nel caso del passaggio, anche nel parcheggio è possibile istituire un rapporto di realità tra i proprietari di fondi confinanti, basato sull’autonomia contrattuale: siffatto rapporto impone un peso sul fondo servente per il vantaggio del fondo dominante, configurando una sorta di qualitas fundi.
Inoltre, la dottrina nota che la possibilità di parcheggiare sull’area servente non solo fornisce un vantaggio individuale, ma contribuisce anche a rendere più fruibile il fondo dominante nel suo complesso. Affinché questa forma di diritto sia valida, devono essere soddisfatti vari requisiti, tra cui l’immediatezza, che richiede che il titolare del fondo dominante possa usufruire dell’utilità della servitù senza necessità di intervento da parte di terzi. Allo stesso tempo, l’utilità deve essere inerente al fondo servente e vicina al fondo dominante per essere effettivamente utile. Inoltre, la servitù deve procurare un vantaggio specifico e diretto al fondo dominante, migliorandone l’utilizzo complessivo.
La nozione di utilitas per il fondo dominante, che deve essere bilanciata da un peso sul fondo servente, presenta molteplici aspetti. In base alle disposizioni normative, l’utilità può derivare dalla maggiore comodità del fondo dominante o dall’aderenza alla sua destinazione. Pertanto, la valutazione della possibilità di istituire una servitù di parcheggio dipende dalla configurazione delle parti coinvolte.
Oltre al requisito dell’appartenenza dei fondi servente e dominante a soggetti diversi, il diritto di servitù richiede che l’asservimento abbia la finalità di procurare un’utilità intrinseca al fondo dominante, mentre il peso deve essere inerente al fondo servente. Ciò differenzia nettamente la servitù prediale, che implica un peso su un fondo per il vantaggio di un altro, dall’obbligo meramente personale, che riguarda solo l beneficio di soggetti specifici.
Il concetto di realitas sottolinea l’importanza di un legame oggettivo tra il peso imposto al fondo servente e il godimento del fondo dominante, al fine di massimizzarne l’utilizzazione. In questa ottica, la natura reale della servitù non può essere messa in discussione quando il parcheggio di veicoli su un terreno altrui è concepito come un vantaggio per il fondo dominante, come nel caso di un’area adibita ad abitazione.
Tuttavia, questo non basta a distinguere la servitù di parcheggio dal diritto personale di godimento, poiché è essenziale considerare anche il fondo servente, il cui utilizzo non può essere completamente limitato.
Considerando che la servitù comporta un cambiamento nel regime di proprietà stabilito dalla legge, è opportuno garantire che essa non privi del tutto il proprietario del fondo servente delle sue facoltà. Quest’ultimo deve mantenere la capacità di utilizzare il proprio terreno, anche se soggetto a restrizioni imposte dal vantaggio concesso al fondo dominante.
In definitiva, il problema ha ad oggetto non tanto se sia possibile in astratto costituire una servitù di parcheggio, ma piuttosto se vi sia una previsione effettiva di un vantaggio per un fondo che comporti una limitazione per un altro, modificando il regime di proprietà in modo duraturo. Risulta evidente, dunque, che per determinare se si tratti di una servitù di parcheggio o di un diritto personale, è necessario verificare il titolo e la situazione specifica del caso concreto. Solo così è possibile stabilire se siano soddisfatti i requisiti del ius in re aliena, che includono l’altruità della cosa, l’assolutezza, l’immediatezza, l’inerenza al fondo servente, l’inerenza al fondo dominante, la specificità dell’utilità riservata.
La sentenza n. 7561 del 2019 si allinea con la tendenza evidenziata dalla pronuncia del 2017, in base alla quale viene fatto notare l’assenza nell’art. 1027 c.c. delle utilità che possono caratterizzare le servitù volontarie. Tale disposizione, infatti, si limita a stabilire le condizioni che differenziano tali servitù dai rapporti di natura personale. Per l’effetto, la sentenza concorda sulla conclusione che la determinazione se le parti abbiano inteso costituire una servitù o un diritto meramente obbligatorio sia una questione di fatto da risolvere attraverso l’interpretazione del titolo.[1]
Gli sviluppi recenti in ambito giurisprudenziale e dottrinale riguardanti le servitù di parcheggio trovano le Sezioni Unite in una posizione di conformità: la Suprema Corte, infatti, aderisce alla tesi favorevole alla loro configurabilità, a condizione che siano soddisfatte specifiche condizioni, come emerge dalla sentenza n. 16698/2017. Tra gli argomenti a sostegno di questa posizione, si riconosce, in prima battuta, una chiara affinità tra il transito o il parcheggio di un’auto su un fondo di proprietà altrui. In entrambi i casi, i proprietari di fondi confinanti possono istituire un rapporto di natura reale o stabilire un obbligo e un corrispettivo diritto a vantaggio di persone specificamente individuate nell’atto costitutivo, senza che ciò implichi necessariamente un’utilità fondiaria.
Come evidenziato dalla dottrina, un altro aspetto riguarda la legislazione sui vincoli di parcheggio. A partire dalla legge n. 765 del 1967, il legislatore ha manifestato l’intenzione di favorire la destinazione di spazi privati a parcheggio per ridurre la congestione degli spazi pubblici.[2]
Inoltre, la giurisprudenza di questa Corte ha confermato ripetutamente l’esistenza di un diritto reale d’uso sulle aree destinate a parcheggio, sottolineando così l’adeguatezza del parcheggio come elemento di utilità fondiaria. Pertanto, il rifiuto circa l’ammissibilità della costituzione di una servitù di parcheggio per mancanza di inerenza al fondo costituirebbe un paradosso, poiché il parcheggio non solo è utile al fondo, ma addirittura ne condiziona l’edificabilità.
L’orientamento restrittivo riguardante le servitù di parcheggio, come evidenziato anche dalla dottrina, ha enfatizzato l’utilità legata alle persone anziché ai fondi, senza approfondire adeguatamente l’estensione dei concetti di utilità e inerenza.
Un altro punto a favore della possibilità di considerare il rapporto tra parcheggio e bene immobile come una servitù prediale è emerso dalla sentenza n. 167/1999 della Corte Costituzionale. Questa sentenza ha dichiarato incostituzionale una disposizione del codice civile che non prevedeva che il passaggio coattivo potesse essere concesso dall’autorità giudiziaria per garantire l’accessibilità agli edifici destinati all’uso abitativo, in conformità alla legislazione sulle persone con disabilità. questa decisione si riferisse alla legislazione sulle barriere architettoniche, ha contribuito all’espansione della nozione di utilità.[1]
L’autonomia contrattuale
La tesi favorevole alla costituzione delle servitù non solo si conforma al sistema giuridico attuale, ma valorizza anche il principio fondamentale dell’autonomia contrattuale, come sancito dall’articolo 1322 c.c. Come già sottolineato da precedenti pronunce delle Sezioni Unite civili, non vi è motivo per negare alle parti la possibilità di raggiungere risultati socio-economici attraverso contratti che generano effetti reali o obbligatori.
In fondo, il principio di tipicità legale dei diritti reali stabilisce che i privati non possono creare figure di diritti reali al di fuori di quelli contemplati dalla legge. Questo principio è stato ribadito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 28972 del 17/12/2020, che ha affermato la preclusione della pattuizione relativa al cosiddetto “diritto reale di uso esclusivo” di una porzione condominiale. Tale decisione trova sostegno nell’articolo 1322 del codice civile, che colloca il principio dell’autonomia nell’ambito contrattuale, e nell’evidente intento dell’ordinamento giuridico di guardare con sfavore a limitazioni particolarmente incisive del diritto di proprietà.
Con specifico riferimento alla questione della servitù di parcheggio[2], la prospettiva favorevole alla costituzione di tale servitù evidenzia la tipicità strutturale piuttosto che di contenuto dell’istituto giuridico. In base a questa visione, l’autonomia contrattuale è libera di prevedere un’utilità a vantaggio non di singole persone, ma di un determinato fondo. Questo si traduce nel diritto di parcheggio secondo il modello della servitù prediale, rispettando i requisiti del ius in re aliena.
La servitù può essere adattata a varie situazioni, ma sempre con l’attenzione al rapporto di servizio tra i fondi coinvolti e non all’utilità del singolo proprietario del fondo dominante. Tuttavia, essa non può trasformarsi in un diritto di godimento generale del fondo servente, altrimenti si rischierebbe di privare quest’ultimo dei suoi diritti fondamentali di proprietà[3]. Pertanto, la determinazione se un contratto debba qualificarsi come contratto avente effetti reali o obbligatori è una questione interpretativa che spetta al giudice di merito[4].
Le argomentazioni della Corte
Con il primo motivo, viene sollevata l’obiezione della violazione degli artt. 1027 e 1028 c.c., poiché la Corte d’Appello ha ritenuto valida la servitù di parcheggio, nonostante questa non fornisse “alcuna utilità tangibile al fondo dominante, bensì un’utilità personale o, più precisamente, aziendale, estranea al fondo dominante”. Si evidenzia l’assenza, nel caso specifico, del requisito di realitas (ovvero l’inerenza al fondo dominante dell’utilità e al fondo servente del peso), come invece sostenuto dalla maggioranza della giurisprudenza di legittimità, che considera il parcheggio come un esercizio di possesso a titolo di proprietà del suolo e non solo come un’espressione di un potere di fatto derivante dal diritto di servitù.
Con il secondo motivo del ricorso, si solleva, in via subordinata, un’ulteriore censura riferita alla violazione degli artt. 1027 e 1028 c.c. Si contesta la qualificazione della servitù di parcheggio come servitù “industriale”, sostenendo che manchi un collegamento con l’attività industriale del fondo, necessario affinché questo abbia “per sua destinazione specifica quella di servire ad una determinata industria”. La critica è rivolta all’affermazione fornita dalla Corte d’Appello secondo cui l’utilità di natura prediale sarebbe derivata dal bisogno di spazi per la sosta e la manovra di veicoli, trascurando che tale utilità deve consistere in un reale vantaggio diretto per il fondo dominante, senza considerare elementi soggettivi relativi all’attività personale del proprietario. Con il terzo motivo del ricorso, sempre in via subordinata, si solleva la censura per la presunta violazione degli artt. 1027, 1028, 1063, 1065 e 1067 c.c., basata sulla decisione della Corte d’Appello di ritenere che la servitù di parcheggio estesa sull’intero fondo servente consenta comunque al proprietario del fondo servente di utilizzarlo. A sostegno dell’assunto, parte ricorrente sostiene che l’estensione della servitù per l’intero fondo servente implica una totale compressione delle facoltà dominicali del proprietario del fondo servente, il quale si troverebbe privato dell’uso effettivo del suolo.
Con il quarto motivo del ricorso, sempre in via subordinata, si lamenta la violazione degli articoli 111 Cost. e 2697 del codice civile, criticando il mancato rispetto dell’onere probatorio.
I primi e terzi motivi di ricorso, strettamente legati alla questione della verifica dei requisiti della servitù di parcheggio, trovano fondamento nei principi consolidati dalla giurisprudenza di questa Corte. Questa giurisprudenza stabilisce che il processo di qualificazione giuridica si articola in due fasi distinte: la prima riguarda la ricerca e l’individuazione della volontà comune delle parti contraenti, che costituisce un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, soggetto a sindacato in sede di legittimità solo per vizi di motivazione secondo i canoni dell’ermeneutica contrattuale. La seconda fase, invece, si occupa della qualificazione giuridica vera e propria, che comporta l’applicazione di norme giuridiche e non è immune dal controllo di legittimità per violazione di legge. Pertanto, se il giudice, in base all’interpretazione del titolo, conclude che è stata costituita una servitù di parcheggio di natura reale, si tratta di una valutazione di merito insindacabile.
Tuttavia, l’omissione di tale valutazione del titolo negoziale costituisce un vizio nella sussunzione della fattispecie nella norma dell’art. 1027 c.c., evidenziando un difetto nell’analisi logico-giuridica necessaria per la corretta individuazione del diritto del caso concreto. La sentenza della Corte d’Appello avrebbe dovuto analizzare attentamente il contenuto specifico del contratto secondo la volontà delle parti coinvolte, verificando la presenza concreta dei requisiti dello ius in re aliena. Tuttavia, manca un’esame completo della clausola specifica nel titolo negoziale, l’atto notarile del 15.2.2011, il quale non viene menzionato nella sentenza. Anziché approfondire la pattuizione, la sentenza si limita a dedurre la natura prediale della servitù senza analizzare dettagliatamente la sua portata. Inoltre, non viene adeguatamente considerata la localizzazione precisa dell’area di parcheggio, essenziale per garantire che la servitù non svuoti il fondo servente di ogni utilità. Poiché la Corte d’Appello non ha seguito i principi di diritto sopra esposti, risulta necessaria una nuova valutazione della questione.
In conclusione, i primi e terzi motivi di ricorso devono essere accolti, con conseguente assorbimento dei restanti motivi, e la sentenza impugnata va pertanto cassata.
Il principio di diritto
In conclusione, il principio affermato dalle Sezioni Unite Civili riguardo alla possibilità di costituire servitù prediali di parcheggio evidenzia la necessità di valutare attentamente il titolo e le circostanze specifiche del caso concreto. Questo principio sottolinea che il beneficio per il fondo dominante e la localizzazione dell’area di parcheggio sono criteri determinanti per la validità di tali servitù.
Note
[1]Ugualmente, la sentenza della Sezione Seconda n. 5769 del 7 marzo 2013, che affronta le questioni relative all’usucapione, mette in evidenza l’impossibilità di acquisire per usucapione la servitù di parcheggio
[2] Questo principio è stato richiamato in varie pronunce della giurisprudenza, come la sentenza della II sez. civ. n. 12798 del 2019, l’ordinanza della II sez. civ. n. 24121 del 2020, la sentenza della II sez. civ. n. 193 del 2020 e l’ordinanza della VI sez. civ. n. 1486 del 2023. Anche l’ordinanza della II sez. civ. n. 7620 del 2023 ha ribadito lo stesso principio, trattando la questione della tutela possessoria e stabilendo che lo spoglio può riguardare anche il possesso corrispondente a una signoria di fatto sul bene che costituisce una servitù di parcheggio.
[3] L’argomento sistematico, infatti, muove dall’assunto che l’art. 41 sexies della legge urbanistica subordini l’edificabilità di un fondo alla disponibilità di parcheggio.
[4] La decisione, nonostante il riferimento alle barriere architettoniche, ha contribuito all’ampliamento della nozione di utilità.
[5] Cfr. Corte di Cassazione, sent. n. 16698 del 2017
[6] Cfr. Corte di Cassazione, Sez. Un. Civ., sent. n. 28972 del 2020
[7] Cfr. Corte di Cassazione, Sez. Un. Civ. Sent. n. 8434 del 2020
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