La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione con la sentenza del 17 giugno 2015, n. 12559 ha ribadito la valenza probatoria delle dichiarazioni di terzi rese al di fuori del giudizio tributario, fatte valere dal contribuente nel corso della controversia.
Nel giudizio tributario, come noto, ai sensi dell’art. 7, comma 4 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 “non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale”.
Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la presenza di tale divieto non esclude, altresì, che l’Amministrazione finanziaria introduca dichiarazioni rese da terzi nelle sedi extraprocessuali. Le dichiarazioni e gli elementi da esse tratti, tuttavia, hanno in sede processuale il valore proprio degli elementi indiziari, talché essi possono esclusivamente concorrere a formare il convincimento del giudice, ma non sono idonei a costituire da soli il fondamento della decisione.
Con la sentenza in commento, la Suprema Corte, uniformandosi a quanto già statuito da precedenti pronunce della Cassazione, ha evidenziato che il potere di introdurre in giudizio dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale deve essere riconosciuto anche al contribuente. Ciò in ossequio al principio della parità delle armi processuali e a quello diella necessità di garantire l’effettività del diritto di difesa, corollari del principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost.
Naturalemente, le dichiarazioni di terzi introdotte dal contribuente nel processo tributario al fine di dimostrare l’infondatezza della pretesa erariale, avranno il valore proprio degli elementi indiziari, non potendo da soli fondare la decisione del giudice secondo il divieto disposto dal citato art. 7, comma 4 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
(Corte di Cassazione, sez. tributaria, sentenza n. 12559 del 17 giugno 2015)
