Il contratto di somministrazione cos’è: inquadramento e definizione
La somministrazione di lavoro è un istituto che è stato introdotto in Italia con D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 e che è andato a sostituire il preesistente rapporto di lavoro c.d. interinale[1]. Prima di allora, infatti, la Legge vietava, in linea di massima, che il lavoratore intrattenesse rapporti con soggetti diversi rispetto a quello che, in concreto, si avvaleva della sua prestazione[2].
Trattasi di un contratto a struttura triangolare, mediante cui il datore di lavoro (utilizzatore) si avvale, nell’esercizio dell’attività di impresa, di manodopera messa a disposizione da un’agenzia per il lavoro autorizzata[3], a tal fine, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali (somministratore)
La caratteristica principale della somministrazione è data dalla circostanza che per tutta la durata del rapporto, il lavoratore, pur avendo stipulato il contratto di lavoro con il somministratore, svolge la propria attività nell’interesse nonché sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore[4]. In altri termini, attraverso il contratto di somministrazione si realizza una legittima scissione tra la titolarità formale del rapporto, che rimane in capo al somministratore, e l’utilizzazione concreta della prestazione del lavoratore[5].
Volendo, dunque, riassumere, potremmo dire che i soggetti coinvolti sono tre (lavoratore, utilizzatore, e somministratore) e i contratti conclusi due (il contratto di lavoro, ovvero quello intercorrente fra somministratore e lavoratore, e il contratto di somministrazione, un accordo di natura commerciale, stipulato da somministratore e utilizzatore).
Oggi l’istituto è disciplinato dal D.lgs. 81 del 2015 (artt. 30 – 40), così come modificato dal D.l. 7 luglio 2018, n. 87 (c.d. Decreto Dignità), convertito in legge 9 agosto 2018, n. 96.
La forma e la struttura del contratto
Per quanto riguarda gli aspetti formali del contratto di somministrazione, esso deve essere redatto in forma scritta, derivandone, in mancanza, l’illegittimità del contratto medesimo, nonché la sua trasformazione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato in capo all’utilizzatore.
L’art. 33 del D.lgs. 81/2015 richiede, altresì, l’indicazione di alcuni elementi essenziali ai fini della validità del contratto: gli estremi dell’autorizzazione, il numero dei lavoratori da somministrare, l’indicazione di eventuali rischi per la salute o sicurezza del lavoratore, nonché le misure di prevenzione adottate, data di inizio e durata della somministrazione, mansioni e inquadramento dei lavoratori, luogo e orario di lavoro, nonché trattamento economico e normativo dei lavoratori.
Il contratto di somministrazione può essere a termine, ovvero a tempo indeterminato, parlandosi, in tale ultima ipotesi, di c.d. staff leasing[6]; a seconda dei casi, pertanto, il rapporto di lavoro sarà disciplinato dalla normativa in tema di contratti a termine (artt. 19 ss. D.lgs. 81/2015), ovvero da quella generale sui contratti di lavoro.
Si precisa che, nel caso di assunzione a tempo indeterminato, il contratto dovrà, per legge, determinare, tra le altre cose, l’indennità mensile di disponibilità, ovvero la cifra che dovrà essere corrisposta dal somministratore al lavoratore per i periodi nei quali quest’ultimo sarà rimasto a casa, in attesa di essere inviato in missione. L’indennità di disponibilità dovrà essere calcolata nella misura prevista dal contratto collettivo applicabile e, in ogni caso, non potrà essere inferiore all’importo fissato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
La somministrazione di lavoro dopo il Decreto Dignità
Con la riforma del 2018, il legislatore ha introdotto alcune modifiche che hanno toccato unicamente la somministrazione a tempo determinato. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha meglio chiarito i profili applicativi delle novità introdotte, con circolare n. 17 del 31 ottobre 2018.
In particolare, l’art. 2 del Decreto Dignità fissa alcuni limiti quantitativi, disponendo che «il numero dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato ovvero con contratto di somministrazione a tempo determinato non può eccedere complessivamente il 30 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1 gennaio dell’anno di stipulazione dei predetti contratti, con arrotondamento del decimale all’unità superiore qualora esso sia eguale o superiore a 0,5».
Nell’ipotesi in cui sia presente, presso l’utilizzatore, una percentuale di lavoratori, a termine e somministrati a termine, con contratti stipulati antecedentemente alla data del 12 agosto 2018, superiore a quella fissata dalla legge, i rapporti in corso potranno continuare fino alla loro iniziale scadenza. In tal caso, tuttavia, non sarà possibile effettuare nuove assunzioni né proroghe per i rapporti in corso, fino a quando il datore di lavoro o l’utilizzatore non si siano conformati ai nuovi limiti.
Altra importante novità riguarda l’introduzione delle causali all’interno del contratto, le quali, in caso di somministrazione di lavoro, diventano obbligatorie per gli utilizzatori, mentre non risultano essere previste per i somministratori.
In linea generale può ravvisarsi che, con la riforma de quo, il legislatore abbia inteso estendere al contratto di somministrazione la disciplina del lavoro a termine, che dovrà, quindi, essere quella di riferimento anche per tale tipologia contrattuale, eccezion fatta per quelle previsioni la cui applicabilità è stata espressamente esclusa per la fattispecie in oggetto, ovvero quelle relative a stop and go, limiti quantitativi al numero di contratti liberamente stipulabili dal singolo datore di lavoro e diritto di precedenza.
Ne consegue che, anche con riguardo a proroghe e rinnovi, la normativa di riferimento sarà quella relativa al contratto a termine e le novità introdotte saranno applicabili anche alla somministrazione: la proroga resta libera entro il termine dei 12 mesi e, in ogni caso, nel limite massimo di 4, mentre il rinnovo richiede sempre l’indicazione della causale.
In proposito, il Ministero ha tenuto a precisare che la proroga presuppone che restino invariate le ragioni che avevano inizialmente giustificato l’apposizione di un termine al contratto; pertanto, non sarà possibile prorogare un contratto a tempo determinato modificandone la motivazione, in quanto ciò darebbe luogo ad un nuovo contratto a termine, ricadente, in quanto tale, nella disciplina del rinnovo, anche laddove ciò fosse avvenuto senza soluzione di continuità.
Del pari, anche il rapporto tra agenzia e lavoratore viene assoggettato agli stessi limiti di durata previsti per il contratto a tempo determinato. Ciò significa che, con l’entrata in vigore del Decreto Dignità, la durata dei rapporti intercorsi tra la stessa agenzia e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale, non potrà superare i 24 mesi, pena, in caso di inosservanza, la conversione a tempo indeterminato.
Si segnala, in conclusione, che, sulla base di quanto chiarito con la circolare ministeriale n. 17/2018, l’osservanza del limite massimo di 24 mesi deve essere valutata con riferimento non solo al rapporto di lavoro che il lavoratore abbia instaurato con il somministratore, ma anche rispetto a quelli intrattenuti con il singolo utilizzatore, per lo svolgimento di mansioni dello stesso livello e categoria legale. Il computo dei 24 mesi di lavoro, pertanto, dovrà tenere conto di tutti i rapporti di lavoro a termine intercorsi tra le parti a scopo di somministrazione, ivi compresi quelli antecedenti alla data di entrata in vigore della riforma.
[1] La principale caratteristica del lavoro interinale consisteva nel carattere temporaneo del rapporto, come, peraltro, ben si può evincere dal nome, che deriva dal latino ad interim (= per ora, temporaneamente).
[2] Una prima significativa deroga a tale principio generale si è avuto con la Legge 196/1997 che ha consentito il lavoro interinale, sia pur solo a termine ed in presenza di ben determinate circostanze, previste dalla contrattazione collettiva.
[3] Per poter svolgere attività di somministrazione di manodopera, le agenzie interessate, che siano in possesso dei requisiti di cui all’art. 5 D.lgs. 276/2003, dovranno inoltrare apposita richiesta al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che, previa verifica del rispetto dei requisiti suddetti, rilascerà una autorizzazione provvisoria, entro 60 giorni dalla richiesta medesima. Tale autorizzazione provvisoria avrà valenza biennale; alla scadenza, sarà possibile, entro il termine perentorio di 30 giorni (pena la cancellazione dall’Albo), richiedere il rilascio dell’autorizzazione a tempo indeterminato. Quest’ultima verrà concessa entro e non oltre 90 giorni dalla richiesta, previa verifica del rispetto degli obblighi di legge, del contratto collettivo e, in ogni caso, subordinatamente al corretto andamento dell’attività svolta. In caso di silenzio da parte del Ministero, decorsi i suddetti termini, la richiesta di autorizzazione si intende comunque accettata.
[4] Infatti, ai sensi dell’art. 30 D.lgs. 81/2015, il contratto di somministrazione è quello “a tempo determinato o indeterminato, con il quale un’agenzia di somministrazione (…) mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore”.
[5] Il lavoratore in somministrazione, in altri termini, viene assunto alle dipendenze dirette dell’utilizzatore, come confermato anche dal principio di non discriminazione, in forza del quale tale lavoratore ha diritto a godere delle medesime tutele previste per quei colleghi che l’utilizzatore abbia assunto personalmente, senza intermediari (es. inquadramento, ferie, riposi, trattamento economico e giuridico, ecc…).
[6] Lo staff leasing, abolito in un primo momento dalla legge 247/2007, è stato reintrodotto con la legge finanziaria del 2010 (L. 191/2009). Con la riforma del 2015, il legislatore ha pienamente liberalizzato il ricorso a tale tipologia contrattuale, eliminando il preesistente elenco tassativo di causali legittimanti la somministrazione. Permane, tuttavia, anche nell’attuale disciplina una clausola di contingentamento: il numero di lavoratori somministrati con contratto di somministrazione a tempo indeterminato non può eccedere il limite del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore. Il rispetto di tale limite dovrà essere verificato alla data del 1 gennaio dell’anno di stipula del contratto.