Il testamento biologico: origini, profili comparatistici e novità

in Giuricivile, 2018, 10 (ISSN 2532-201X)

1. Introduzione

Morenti in fieri, “morituri”, sono, per definizione, tutti quanti i viventi.

Nell’averne nozione, diversamente dai viventi non umani, gli umani viventi si sono posti il problema della morte fin dai tempi antichissimi.

Fin dai secoli della tanatopratica, diffusa nell’antico Egitto per arrivare alla presa di coscienza razionale di Socrate, Platone, Aristotele e degli stoici epicurei e cristiani.

Leggi anche: Legge sul Testamento biologico: considerazioni e criticità della L. 219/2017

Ogni età e civiltà, conformemente al mutevole contesto sociale e culturale, si è rivolta domande e si è data risposte, alcune metastoriche e metafisiche, altre calate nel volgere della storia e della natura umana.

2. Analisi del binomio

Sommario

-1.Introduzione. -2. Analisi del binomio. -3. Primum non nocere. -4. Profili comparatistici: il panorama Americano e il caso Quinlan. -4.1. Il Natural death Act. -4.2. Il caso Cruzan. -4.3. Le conseguenza del caso Cruzan: il living will Americano. -5. Profili comparatistici: il panorama Europeo. -5.1. L’area di Civil law: la Germania ed il Patiententestament. -5.2. L’area di common law: il living will. -5.3. L’Enduring Powers of Attorney Act Anglosassone. -6. La situazione Italiana. -6.1. Il consenso del paziente al trattamento medico: natura giuridica del consenso. -6.2. Natura giuridica ed inquadramento del testamento biologico. 6.3. Il Caso Englaro. -6.4. La legge 22.12.2017 n.219.

Oggetto del presente contributo è, nell’ambito delle questioni di fine vita concernenti la morte ed il morire, l’analisi del diritto, per chi muore, di far valere le garanzie dovute a se stesso nel rispetto della propria identità personale.

Il sostantivo testamentum, seguendo il filone etimologico, è termine che designa un istituto giuridico di matrice romanistica.

Difatti, definizioni risalenti ai sommi giuristi dell’epoca classica sono quelle di Ulpiano (II.III secolo d.C) e di Modestino (III secolo d.C) secondo i quali: “Testamentum est voluntatis nostrae justa sententia de eo quis post mortem suam fieri velit”, (Testamento è la giusta proposta della nostra volontà intorno a quel che chiunque vorrebbe fosse fatto dopo la sua morte).1

Ai giorni nostri, il sostantivo testamentum indica un atto giuridico mediante il quale una persona – ex art. 587 c.c. – dispone, in forma scritta, delle proprie sostanze per il tempo successivo alla propria morte e che, inoltre, può contenere disposizioni non patrimoniali, del pari giuridicamente efficaci.

Quanto all’attributo biologico, la comparsa del termine “biologia” nella letteratura naturalistica e medica ottocentesca è preceduta di un biennio da una definizione di vita data nel 1800 dal medico francese Francois Xavier Bichat (1771-1802).

Questi, nella sua più importante opera, Recherches physiologiques sur la vie est la mort, definisce la vita come “l’insieme delle funzioni che resistono alla morte2.

Ebbene, la vita a partire dalla morte è, senza dubbio alcuno, un adeguato punto di partenza per appropinquarsi, in prima facie, al tema del testamento biologico, detto altrimenti “testamento sulla vita” oppure disposizione o dichiarazione anticipata di trattamento”.

3. Primum non nocere

 La medicina non può sempre guarire.

Non lo poteva nell’Ottocento, quando enunciava il proprio scopo nel “guarir qualche volta, alleviare spesso, consolare sempre” o preconizzava le future cure palliative nel “palliare ove il guarir non ha luogo” prescritto dal medico Giuseppe Del Chiappa nel saggio Della morale del medico, pubblicato nel 18523.

Non può sempre guarire nemmeno al giorno d’oggi.

Difatti, con l’odierno invecchiamento della popolazione e con il prevalere delle malattie metabolico- degenerative-tumorali, cardiovascolari etc, i suoi interventi, per quanto efficienti ed efficaci, non approdano alla guarigione, ma portano verso un controllato protrarsi della malattie e delle sue complicanze con una cronicizzazione ed una inguaribilità temporalmente più estese e, spesso, comportanti un più lungo morire.

Si prenda il caso, ad esempio, di un paziente affetto da una patologia tumorale in forma molto avanzata e afflitto da gravi sofferenze, presenti o sotto forma di una febbre acuta, o di un’emorragia improvvisa, o di un arresto cardiaco.

Il pronto soccorso fornitogli dalla medicina è quello dell’antibioticoterapia, della trasfusione di sangue, dell’intubazione tracheale e della tracheotomia, del massaggio cardiaco e della defibrillazione.

Il paziente supera la complicanza che ne avrebbe accelerato il morire, ma per lui è un guadagno? Oppure la brevissima vita, acquisita ad effetto degli interventi medici, non lo compensa della cattiva qualità di tale poca vita residua?.

In sostanza, il medico ha giovato o nuociuto?.

Uno dei cardini della medicina ippocratica può, senza alcuna ombra di dubbio, ritenersi integrato nel principio del “Primum non nocere”.

Difatti, nell’ippocratico trattato “Sull’arte” è testualmente riportato: “Definirò ciò che ritengo essere la medicina: liberare, in prima approssimazione, i malati dalle sofferenze e contenere la violenza della malattia, e non curare chi è ormai sopraffatto dal male4.

Quindi, logica interpretazione del suddetto principio è quella secondo cui il medico debba intervenire quando si tratti di lenire le pene del malato, ma si debba, invece, astenere dal farlo quando il male ed il malato siano ormai troppo in là, al di là di ogni ragionevole possibilità di giovare e non nuocere.

4. Profili comparatistici: il panorama americano e il caso Quinlan

Il c.d. living will (testamento biologico), come è stato scritto5, ha radici prevalentemente americane. Come si approfondirà in seguito, nasce, infatti, intorno agli anni settanta, allorquando medici e giuristi americani, applicando i diffusi principi dell’autonomy e della self determination all’ambito sanitario e sotto la più pressante spinta dell’opinione pubblica, cominciarono a riflettere sulla posizione e sui diritti che si dovevano riconoscere ai pazienti in stato di incoscienza e sull’eventualità di sospendere, nei loro riguardi, in dati casi e ricorrendo determinate condizioni, le cure mediche.

Tuttavia, fu soltanto negli anni 70 che con il caso Quinlan6 il rigth to die (letteralmente il diritto di morire) si impose alla riflessione americana in tutta la sua complessità.

Karen Quinlan, di anni ventidue, a seguito di un incidente stradale entrava in coma e veniva tenuta in vita artificialmente, nonostante la netta opposizione dei genitori i quali, in nome della contraria volontà espressa dalla figlia in epoca anteriore all’incidente, avevano più volte invitato i medici a sospendere ogni trattamento di sostegno artificiale.

A fronte dei reiterati rifiuti del personale medico, i genitori della Quinlan adivano la Trial Court 7quale competente autorità giudiziaria, la quale, tuttavia, respingeva la domanda attorea in nome del dovere del medico di adempiere al proprio dovere: “within his power to protect the patient’s life8, affermando che: “that the state’s interest contra weakens and the individual’s right to privacy grows as the degree of bodily invasion increases and the prognosis dims9.

Tale orientamento, peraltro, venne ribaltato dalla Suprema Corte del New Jersey che, motivando le proprie conclusioni sul right of privacy, riconobbe il diritto di far cessare l’utilizzo di mezzi straordinari atti ad assicurare un artificiale prolungamento della vita di persone affette da gravissime ed irreversibili infermità mentali.10

La Corte, in particolare, precisò che un tale diritto potesse essere esercitato sia direttamente dal soggetto interessato, se pienamente capace di intendere e di volere, sia, in caso di sua incapacità, da un suo “best friend” ossia da un suo rappresentante indicato in un power of attorney for health care (Procura sanitaria).

4.1. Il Natural Death Act

Il primo riconoscimento legislativo del right to die coincide con l’emanazione del Natural death Act dello stato della California.

Il corpus normativo entrato in vigore nel 1976 si apre con la solenne affermazione secondo cui le persone maggiori di età hanno il fondamental right di controllare le decisioni riguardanti la somministrazione delle proprie cure mediche, ivi compresa la decisione di non impiegare o di interrompere l’impiego delle terapie di somministrazione nel caso in cui si trovino in terminal condition11.

A tal fine, è necessario che la persona abbia, preventivamente, manifestato per iscritto la propria volontà autorizzando espressamente il medico curante a non impiegare o ad interrompere le tecniche di sostentamento vitale12 nel caso in cui questi versi in condizioni terminali.

Inoltre, la dichiarazione deve essere sottoscritta dal suo autore alla presenza di due testimoni, i quali, al fine di evitare possibile conflitto di interessi patrimoniali o anche solo morali, non devono essere a lui legati da vincoli di parentela o di affinità, né tantomeno essere destinatari dei suoi beni dopo la sua morte per effetto di successione legittima o testamentaria13.

Sull’esempio del Natural death Act, negli Stati Uniti, si è assistito ad una progressiva proliferazione di norme dirette a disciplinare il diritto all’autodeterminazione del soggetto in ordine alle cure mediche.

Difatti, sulla scorta della legislazione californiana, veniva ribadito il principio per il quale un soggetto maggiorenne, in pieno possesso delle proprie facoltà mentali possa predisporre, in qualsiasi momento, una dichiarazione che disponga la sospensione o la non erogazione di terapie di mantenimento in vita.

La portata di tale innovazione, tuttavia, non era generale ma limitata alla disciplina delle sole  terapie di prolungamento della vita relative ai pazienti affetti da malattia terminale e prevedeva la possibilità di interrompere ogni forma di accanimento quando, inevitabilmente, si fosse certi della morte naturale del soggetto.

4.2 Il caso Cruzan

Ulteriore impulso al dibattito sul right to die è rappresentato, agli inizi degli anni 90, dal caso Cruzan, con il quale la Suprema Corte si è trovata ad affrontare il problema di determinare chi e sulla base di quali criteri possa adottare decisioni terapeutiche in luogo del paziente non più cosciente e per il quale non vi sia possibilità di recupero delle facoltà intellettive.

Nancy Cruzan era una giovane donna del Missouri che, a seguito di un incidente stradale occorsole sette anni prima, aveva riportato irreversibili danni cerebrali, senza mai riprendere conoscenza e versando in uno stato vegetativo persistente, per il quale doveva essere alimentata attraverso il c.d. tube feeding (sonda gastrica per provvedere alla nutrizione artificiale dei pazienti).

La sua condizione, tuttavia, sebbene critica non poteva dirsi prossima al decesso, potendo protrarsi per molti anni immutata se sostenuta da tecniche mediche e di nutrizione adeguate.

I genitori della Cruzan, dinanzi all’impossibilità di un recupero delle facoltà mentali della figlia, chiedevano ai medici l’interruzione dell’alimentazione e della nutrizione artificiale senza, purtroppo, trovare accolte le proprie richieste.

In primo grado si pronunciava la Trial Court la quale, riconoscendo il fondamentale diritto – costituzionalmente tutelato a livello statale e federale – del paziente in stato vegetativo a rifiutare le

c.d. death prolonging procedeures in quanto espressione del più generale diritto alla privacy, accoglieva le istanze sopra presentate.14

La sentenza veniva ribaltata in secondo grado.

Difatti, la Supreme Court of Missouri, sul presupposto che casi come quello avrebbero richiesto per la loro positiva soluzione la prova del consenso informato del paziente, ossia della sua piena consapevolezza circa le possibili conseguenze connesse al rifiuto dei trattamenti di sostentamento vitale, rigettava la domanda.15

Tale conclusione veniva, altresì, ribadita dalla United State Supreme Court.

Essa, dopo aver ricostruito i due istituti sui quali è stato tradizionalmente fondato il right to die, ossia, da un lato, il diritto alla privacy cui ci si era già richiamati nel caso Quinlann e, dall’altro, l’informed consent cui viene ricollegato il diritto del paziente di rifiutare i trattamenti medici, esclude che il diritto di rifiutare i trattamenti terapeutici possa rientrare nella più ampia nozione di privacy e lo riconduce al 14mo emendamento della Costituzione americana, in virtù del quale nessuna persona può essere privata della vita o della libertà senza un regola processo.

4.3. Le conseguenze del caso Cruzan: il Living Will Americano

Una delle principali e più rilevanti novità del caso Cruzan è stata rappresentata dal riconoscimento di validità dei c.d. living wills e della advances directives.

Il living will è un documento redatto da un soggetto capace e competente prima del possibile futuro verificarsi di particolari circostanze cliniche, con il quale vengono fornite indicazioni circa la natura ed il tipo di trattamento terapeutico o assistenziale da porre in essere nel caso in cui il soggetto medesimo non sia più in grado di esprimere un’autonoma volontà poiché divenuto incosciente o incapace.16

Trattasi, prevalentemente, di un documento utilizzato per esprimere il desiderio di non essere mantenuto in vita con mezzi artificiali, in attuazione del diritto di ciascuno, di determinare la propria qualità di vita.

La disciplina di redazione risulta decisamente minuziosa e particolareggiata, prevedendo termini di efficacia assai brevi con conseguente nullità del documento cui non sia stata data attuazione entro cinque giorni dalla notizia della malattia terminale.

Inoltre, la disciplina dei living wills può contenere anche i c.d. order do not resuscitate che consentono al malato di rifiutare, preventivamente, trattamenti di rianimazione cardiorespiratori qualora – a giudizio dei sanitari- gli stessi siano destinati ad apportare esigui benefici.

5. Profili comparatistici: il panorama Europeo

La disciplina della capacità di agire e della correlata incapacità ha, da sempre, ricevuto particolare attenzione all’interno della legislazione dei paesi di civil law, ai quali è comune la distinzione tra le diverse forme di capacità e/o incapacità.

Nell’evoluzione di tali concetti vi è la presenza di almeno due punti in comune tra i vari sistemi giuridici: da un lato, l’avvenuto riconoscimento della capacità giuridica ad ogni uomo, quale equiparazione di tutte le persone; dall’altro, la diffusa tendenza all’abbassamento della maggiore età per l’acquisto della piena capacità di agire17.

La finalità è, indubbiamente, quella di un sempre più ampio restringimento dell’area di operatività della incapacità legale, al fine di consentire al soggetto di preservare il proprio diritto all’autodeterminazione in ordine alle proprie scelte esistenziali.

Emblematica, a tal riguardo, appare l’esperienza tedesca.

Il legislatore tedesco ha, infatti, avvertito la necessità di riformare la previgente disciplina che consentiva, ad esempio, di interdire per infermità mentale le prostitute, sul presupposto che le mere debolezze caratteriali o addirittura l’alcolismo ed il consumo di stupefacenti fossero situazioni sufficienti per legittimare un provvedimento restrittivo della capacità.

In tale ottica, in vari Paesi Europei si è riscontrata una paziente opera di riforma dei sistemi di protezione dei soggetti maggiorenni ed incapaci effettuata attraverso l’impiego di istituti flessibili che tengano conto delle effettive necessità del soggetto incapace e per la cui adozione non si richiede più il previo provvedimento giudiziale dichiarativo dell’incapacità.

Risponde, ad esempio, a tale finalità il c.d. mandato preventivo tedesco (Vorsorgevollmatch), disciplinato dal comma secondo del BGB secondo il quale risulta possibile al soggetto conferire procura in ordine ad una futura misura di tutela o, addirittura, con riferimento ad una futura incapacità di agire.

5.1 L’area di Civil Law: la Germania ed il Patientenstament

Il Patiententestament è un documento che consiste in una dichiarazione scritta di volontà18 in ordine alle cure mediche e a determinati trattamenti terapeutici, fatta nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali e destinata a divenire efficace con il verificarsi di una causa di incapacità.

I principali destinatari del documento sono i figli o le persone legate da vincoli di parente con il disponente.

Al documento va allegata la diagnosi del medico, resa in epoca precedente alla sua stesura e redatta sempre da un notaio, in cui si conferma l’interesse del paziente alla sospensione delle cure, nonché la dichiarazione del medico che la sospensione dei mezzi di sostentamento artificiale provocherà, in tempi brevi, la morte.

Infine, il documento si chiude con l’autorizzazione a comunicarne il contenuto al medico curante, al personale medico e paramedico ed in generale al personale ospedaliero.

5.2 L’area di Common Law: Il Living Will

Nel Regno Unito manca una legislazione sui living wills, nonostante l’importanza del tema sia stata fortemente avvertita sin da primi anni 90, allorquando alcune delle principali associazioni mediche iniziarono ad enuclearne i possibili contenuti.

Essi venivano individuati in una serie di prescrizioni quali, in particolare, il rifiuto dei trattamenti medici, la richiesta di specifiche cure, la manifestazione di desideri o valori, la nomina di un rappresentante chiamato ad adottare specifiche decisioni in ordine alla salute del paziente.

Delle pronunce giurisprudenziali intervenute in argomento, tre risultano particolarmente significative.

La prima, datata 1992, affronta la delicata tematiche delle trasfusioni ematiche.

Trattasi, infatti, dell’analisi del rifiuto di trasfusione di sangue espresso da una minorenne figlia di un Testimone di Geova.

Nel caso di specie la Court of Appeal disattendeva le volontà della paziente sul presupposto che la stessa non si fosse formata liberamente ma sotto l’effetto delle ripetute pressioni della genitrice.

Le argomentazioni della Court of Appeal, peraltro, evidenziavano l’esistenza di seri dubbi circa l’effettiva coincidenza tra la situazione ipotizzata dalla minore alla madre, nell’esprimere le sue volontà, e l’effettiva situazione venutasi a creare successivamente al ricovero in ospedale ed alla perdita di coscienza.

Nel caso in esame, sebbene i giudici avessero ritenuto necessario autorizzare la trasfusione, essi non avevano, tuttavia, mancato di riconoscere espressamente il diritto di ogni persona adulta di rifiutare i trattamenti di sostentamento vitale, anche se espressi in una direttiva anticipata.19

La seconda, relativa al caso Bland, riguarda il riconoscimento del diritto a sospendere i trattamenti di sostentamento artificiale in virtù del consenso espresso dal paziente prima di cadere in stato di incoscienza.

Nel caso di cui sopra, infatti, i medici – nel tentativo di agire nei confronti del paziente – e, previa conoscenza dei relativi desideri ed intenzioni circa i trattamenti di nutrizione ed idratazione artificiali, vi avevano dato esecuzione20.

La terza riguarda il caso Re C, relativo al rifiuto all’amputazione di un arto in cancrena da parte di un paziente sessantottenne.

Tale rifiuto veniva considerato valido dalla High Court, sul presupposto dell’esistenza di una piena consapevolezza da parte del soggetto – eminente dottore – circa le conseguenze della sua decisione e, conseguentemente, della sua pena legittimazione ad assumerla21.

Dall’esame delle suddette pronunce emerge la sussistenza di tre presupposti in presenza dei quali si può ritenere giustificato il rifiuto dei trattamenti sanitari.

In primo luogo, la circostanza che il soggetto sia adulto e capace nel momento di manifestazione della sua volontà; in secondo luogo che sia sufficientemente ed accuratamente informato circa le possibili conseguenze della sua decisione; ed in terzo luogo che non subisca alcuna inflluenza esterna nella formazione della sua volontà.

5.3 L’Enduring powers of attorney act Anglosassone

Nel Regno Unito la disciplina degli istituti di protezione dei soggetti maggiorenni ed incapaci è contenuta in una serie di Acts22: l’Enduring Powers of Attorney Act del 1985, la Court of Protection Rules del 1986 e l’Enduring Powers of Attorney del 1990, che hanno completato la disciplina fissata nel 1983 dal Mental health Act.

L’Enduring Powers of Attorney Act riguarda il conferimento di una procura che è destinata a produrre i suoi effetti al verificarsi di una situazione di incapacità e, tuttavia, diviene efficace solo a seguito della sua registrazione presso la Corte.

Prima di procedere alla registrazione il rappresentante è tenuto a notificare la sua intenzione di accettare l’incarico sia al rappresentato che a determinati suoi congiunti.

Il rappresentante è legittimato ad agire in nome e per conto del rappresentato e, benché i suoi poteri riguardino principalmente la tutela del patrimonio, essi possono ritenersi estesi anche alla cure delle attività sanitarie del soggetto rappresentato.

6.  La situazione italiana

Come noto, prima delle recenti modifiche previste dalla Legge n.219 del 22.12.2017, l’istituto non risultava regolamentato nel nostro ordinamento; ciò aveva contribuito ad alimentare un ampio e vivace dibattito non solo tra i giuristi ma anche tra i medici, che più direttamente risultavano coinvolti sotto il profilo operativo.

La principale quaestio era determinata dalla vincolatività e validità di una volontà che, sebbene espressa dal soggetto in una situazione di piena capacità di intendere e di volere, trovava attuazione in un momento successivo, in cui il suo autore non era più cosciente ed in grado di confermarne il contenuto.

Ebbene, controverse sul punto risultavano le posizioni dei diversi autori.

Difatti, parte della dottrina 23, in nome del diritto all’autodeterminazione preventiva che spetterebbe ad ogni individuo, considerava pienamente vincolanti le disposizioni espresse prima del sopravenire dell’incapacità, essendo quest’ultima altro se non una proiezione o una fase della precedente situazione di capacità.

La volontà del soggetto, infatti, per essere vincolante non è necessario che sia attuale, potendo essere disattesa solo in presenza di una revoca, quale non può certo individuarsi nella sopravvenuta incapacità.

Tale ragionamento, portato alle sue estreme conseguenze finisce per negare rilevanza ad ogni forma di sostituzione rappresentativa che deleghi a terzi estranei la manifestazione delle scelte del singolo divenuto incapace, solo legittimato a decidere, argomentando dall’articolo 1722 c.c. che, come noto, prevede l’estinzione del mandato per la sopravvenuta incapacità del mandante.24

Orbene, tale conclusione comporta, da un lato, la riduzione dell’impatto emozionale dei terzi e, più specificatamente dei familiari del malato, che vengono esentati dall’obbligo di dover decidere in suo luogo sulla base, spesso, di ipotetiche ed incerte manifestazioni di volontà.

Dall’altro, una notevole riduzione del personale medico, nei casi in cui occorra decidere il trattamento sanitario da praticare.

Siffatta tesi trova, a livello normativo, la sua giustificazione in taluni principi fondamentali che connotano il nostro ordinamento quali, in particolare, il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero (art. 21 Cost) o di professare la propria fede religiosa (art. 19 Cost) ed il diritto alla salute riconosciuto dall’art. 3225 della Costituzione, in termini di libertà, cura e rispetto della persona umana 26.

Di avviso contrario era un’altra parte della dottrina che, richiamandosi alle argomentazioni tradizionali, si mostrava fortemente scettica riguardo alla possibilità di dare esecuzione ai testamenti biologici.

In base a tale orientamento l’inefficacia del testamento biologico veniva fatta derivare sia dalla non attualità della volontà sia dalla sostanziale disinformazione del soggetto che, all’atto di manifestazione del consenso, non può conoscere né l’esatta natura e gravità della materia e né le situazioni concrete che il male potrebbe provocare.

Si affermava, infatti, che: “Il soggetto divenuto incapace ben potrebbe aver manifestato le sue intenzioni sulla base di previsioni meramente ipotetiche e sostanzialmente diverse da quelle poi in concreto verificatesi, ovvero ignorando l’evoluzione medico scientifica successiva alla redazione del suo testamento, dalla quale potrebbero essere derivate soluzioni di cura diverse da quelle da lui ipotizzate27.

6.1. Il consenso del paziente al trattamento medico: natura giuridica del consenso

Analizzando l’esperienza di realtà straniere nelle quali il testamento biologico o le direttive anticipate sono ammessi, presupposto per l’efficacia di tali strumenti è che gli stessi vengano redatti da un soggetto pienamente capace ed informato, in grado di esprimere il proprio consenso o dissenso alle eventuali cure mediche.

Pertanto, è pacifico affermare che requisito di validità di un testamento biologico dovrebbe essere rappresentato, anche nel nostro ordinamento, dall’esistenza di un consenso pieno e consapevole del disponente, quale conditio sine qua non necessaria per la validità dell’intervento medico.

Orbene, le basi normative di quanto sopra detto si possono agevolmente rinvenire nelle citate disposizioni codicistiche (art. 5) o nella Costituzione medesima (artt. 13 e 32), nonché in numerose leggi di settore28.

Il principio è stato, peraltro, ribadito non solo dal codice deontologico medico che all’articolo 32 sancisce che “Il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso informato del paziente”, ma anche a livello internazionale dalla Convenzione di Oviedo sui “Diritti dell’uomo e la biomedicina”.

Uno delle principali questioni, ampiamente dibattuta tra gli studiosi, è quella della natura giuridica del consenso, ossia se esso debba essere qualificato in termini di atto giuridico o di negozio.

In via di principio, la dottrina è solita distinguere due categorie di atti in relazione agli effetti che ne derivano29: una prima, rappresentata da quelli indicati come negoziali, ricomprende tutte quelle manifestazioni di volontà idonee a creare un effetto giuridico c.d. “nuovo”, sia esso costitutivo o estintivo; una seconda, rappresentata dalle dichiarazioni non negoziali, è costituita da quelle manifestazioni di volontà che lasciano immutata la situazione giuridica preesistente ovvero- si afferma- non sono dirette alla sua trasformazione e non costruiscono obbligazioni30.

Pertanto, mentre l’atto non negoziale presuppone la volontarietà della dichiarazione e la consapevolezza del comportamento tenuto, ma non già la consapevolezza e la volontarietà degli effetti, l’atto negoziale – di contro – si connota per la circostanza che il soggetto crea egli stesso la regola che disciplina gli interessi perseguiti31.

Alla luce di queste considerazioni, parte della dottrina, sull’assunto che “chi consente a farsi  curare, non permette che sia violata la sua libertà, bensì piuttosto fa uso della facoltà di decidere liberamente da sé quanto riguarda il suo corpo e il medico che cura una persona, non viola la sua libertà, sia pure con il consenso, bensì anzi esegue ed attua la sua libera volontà32, ritiene che l’atto del consenso del malato integri gli estremi di una dichiarazione di volontà non negoziale33.

Esso, infatti, si limita a conferire al medico una facoltà di agire, senza costituire una situazione giuridica nuova.

Altra parte della dottrina, invece, propende per la natura negoziale dell’atto del consenso, in ragione del suo essere espressione dell’autodeterminazione del paziente34.

Questi, con la sua manifestazione di volontà, conferisce al medico la facoltà di agire in ordine ad un diritto – quello alla salute – di cui ha piena disponibilità, nel rispetto, tuttavia, del limite di non giustificare e consentire menomazioni permanenti che compromettano il principio dell’integrità fisica.

In tal modo, non si intende indulgere verso una sorta di “mistica del consenso”, smentita del resto dalla circostanza che il consenso non configura di certo un esonero da responsabilità del medico o della struttura sanitaria, come emerge solo se si consideri il rapporto tra la volontà del paziente, standards professionali e responsabilità medica, ma si vuole, piuttosto, evidenziare il ruolo della libertà, della consapevolezza e dell’autodeterminazione del paziente nella relazione terapeutica35.

6.2   Natura giuridica ed inquadramento del testamento biologico

Chiarita la natura giuridica del consenso ed il fatto che lo stesso rappresenti presupposto indefettibile del trattamento medico, occorrerà individuare la natura giuridica ed il presunto inquadramento del testamento biologico.

In altri termini, occorrerà verificare se la perdita di coscienza del soggetto sia rilevante o meno per determinare un’eccezione al principio del consenso informato, se cioè possa reputarsi valido o vincolante un testamento biologico basato sulla volontà non più attuale del soggetto.

La dottrina è solita ricondurre il testamento biologico nello schema del mandato ex art. 1710 c.c. Trattasi, più specificatamente, di un mandato con o senza rappresentanza, in cui il mandatario svolgerebbe un ruolo analogo a quello dell’esecutore testamentario, tenuto, nell’ambito del negozio mortis causa, a curare l’esatta esecuzione delle disposizioni di ultima volontà contenute nel testamento.

Con riferimento all’oggetto del mandato, invece, l’ampia dizione di atti giuridici adoperata dall’art. 1703 c.c. per definire l’oggetto del mandato, sembra consentire che contenuto dell’obbligo possa essere la cura del mandante.

Infatti, dottrina e giurisprudenza si mostrano favorevoli ad ampliare l’oggetto del mandato, non limitandolo al compimento delle attività economiche inerenti alla gestione del patrimonio, ma estendendolo anche agli atti di carattere personale, siano essi negoziali o non negoziali.

È necessario, pertanto, che il mandato sia disposto in conformità alle norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume, non eluda l’applicazione di alcuna norma cogente, non sia espressione di un motivo illecito comune a testante e mandatario e non violi i particolari divieti di legge circa la prestazione di cose future36.

La tesi del mandato, tuttavia, non si presenta esente da critiche.

Si è, infatti, eccepito che la sopravvenuta incapacità del mandante estingua il mandato37.

Ciò in quanto dispone l’art. 1722 co. 4 c.c. che il contratto si estingue per la morte, l’interdizione o l’inabilitazione del mandante.

Peraltro, anche volendo superare le difficoltà di inquadramento del testamento biologico nel mandato, non possono superarsi ulteriori avversità.

Tra queste, vi è la difficoltà di configurare il momento perfezionativo dell’accordo, poiché la dichiarazione di volontà del mandante avverrebbe molto tempo prima dell’eventuale verificarsi dell’evento di efficacia del testamento biologico, mentre l’accettazione del mandatario potrebbe avvenire quando già il proponente non sia più in grado di intendere e di volere.

La principale obiezione della dottrina alla validità del testamento biologico risiede nella mancanza di attualità della volontà espressa nel documento rispetto al momento in cui è destinata a divenire efficace.

Una soluzione per ovviare al problema dell’attualità della volontà potrebbe, a ben vedere, rinvenirsi nel confronto con l’ordinamento americano e, più precisamente, nella previsione sia di termini precisi (ad esempio di cinque anni) entro i quali confermare o modificare il contenuto del testamento, ovvero sia dell’inefficacia delle disposizioni qualora entro un determinato e breve numero di giorni dalla comunicazione all’insorgere di una malattia – verosimilmente destinata a rendere incapace il soggetto – questo non ribadisca le proprie volontà precedentemente manifestate.

6.3   Il caso Englaro

La triste vicenda di Eluana Englaro ha inizio una sera del 18 gennaio 1992.

Eluana Englaro, all’epoca ventiduenne ed in piena salute, rimaneva coinvolta in un gravissimo incidente stradale alle porte di Lecco, sua città natale e di residenza.

Conseguenza dell’incidente era un gravissimo trauma cranio-encefalico con lesione di alcuni tessuti cerebrali corticali e subcorticali, da cui derivavano, prima, una condizione di coma profondo, e poi, un persistente stato vegetativo a seguito del quale si rendeva necessaria – per la sopravvivenza  della paziente – una nutrizione artificiale ed un’idratazione con sondino nasogastrico.

Decorsi quattro anni dall’eventus damni e, accertata la mancanza di qualunque modificazione del suo stato, il Tribunale di Lecco dichiarava Eluana Englaro interdetta per assoluta incapacità e nominava tutore il padre.38.

I genitori, resisi conto del permanere della situazione clinico-assistenziale della figlia, dopo un’attesta protrattasi per anni, depositarono per via giudiziaria la richiesta di interrompere la terapia nutrizionale ed idratante, adducendo la volontà espressa più volte dalla figlia in conformità con le sue condizioni, inconciliabili con lo stato nel quale si trovava e con il trattamento cui era sottoposta. La Corte di Cassazione, interpellata sul caso de quo ritenne che “nel caso in cui il malato giaccia da moltissimi anni in stato vegetativo permanente con conseguente radicale incapacità di rapportarsi al mondo esterno, e sia tenuto artificialmente in vita mediante un sondino nasogastrico che provvede alla sua nutrizione ed idratazione, su richiesta del tutore che lo rappresenta, e nel contradditorio con il curatore speciale, il giudice può autorizzare la disattivazione di tale presidio sanitario unicamente in presenza dei seguenti presupposti: in primo luogo, quando la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard medico-scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre la benché minima possibilità di recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno; in secondo luogo, sempre che tale istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della voce del paziente medesimo, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona.

Ove l’uno o l’altro presupposto non sussista, il giudice deve negare l’autorizzazione, dovendo allora essere data incondizionata prevalenza al diritto alla vita, indipendentemente dal grado di salute, di autonomia e di capacità di intendere e di volere del soggetto interessato e dalla percezione, che altri possano avere, della qualità della vita stessa”.39

La Suprema Corte poneva in evidenza che la prosecuzione della vita non potesse essere imposta a nessun malato, mediante trattamenti artificiali, quando il malato stesso liberamente decida di rifiutarli, nemmeno quando il malato versi in stato di assoluta incapacità.

La Cassazione, pertanto, in tale chiave ha prospettato un’interpretazione che appare in grado di attuare il principio di uguaglianza nei diritti di cui all’art. 3 della Costituzione.

Tale principio, infatti, non va riguardato solo nella finalità di assicurare sostegno materiale agli individui più deboli o in difficoltà, come gli incapaci, ma anche in quella di rendere possibile la libera espressione della loro personalità, della loro dignità e dei loro valori.

Un diritto supremo, come quello all’autodeterminazione – quindi – non può essere precluso solo perché il soggetto è divenuto incapace.

Risulta lecito e giusto, pertanto, ricostruire la sua volontà attraverso la mediazione di un rappresentante, di un tutore o, comunque, di un mediatore abilitato ad esprimere le ultime volontà del malato-incapace.

La suddetta sentenza venne etichettata dall’Osservatore Romano (quotidiano ufficiale Città del Vaticano) come “orientata al relativismo ed inaccettabile in ottica di valori assoluti”.

Nel luglio del 2008, a seguito di aspre critiche e di un generale discredito dell’azione della magistratura, il presidente della Corte di cassazione Vincenzo Carbone decise di convocare una conferenza stampa per ribadire che : “la suprema Corte non ha il alcun modo travalicato il proprio specifico compito istituzionale di rispondere alla domanda di giustizia del cittadino, assicurando la corretta interpretazione della legge, nel cui quadro si collocano in modo primario i principi costituzionali – ex art. 32 Cost – e la Convenzione di Oviedo a tutela dei diritti del malato40.

Ad effetto di tale pronuncia, il padre di Eluana Englaro – suo tutore legale in forza di una pronuncia giudiziaria del 199 – , risultava, pertanto, autorizzato ad eseguire la disattivazione del presidio sanitario di nutrizione e di idratazione.

Egli, tuttavia, trovando indisponibili a ciò le Suore Misericordine ed il personale della casa di cura presso la quale Eluana era ricoverata, provvedeva al trasferimento della figlia presso un’altra struttura sanitaria ove i medici ed il relativo personale fossero, invece, disponibili.

Il 16.12.2008, però, il ministro del Welfare Maurizio Sacconi, con un atto di imperio alle strutture sanitarie fece divieto alle medesime di interrompere la nutrizione e l’idratazione.

Il 26.01.2009, il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia accolse il ricorso presentato contro questa Regione dagli Englaro, ingiungendo alla Regione stessa di indicare una struttura sanitaria dove dar corso alla sentenza promulgata dalla Corte.

In data 03.02.2009, senza ulteriori indugi, Eluana venne trasferita in una struttura sanitaria friulana, essendo la Regione Friuli-Venenzia Giulia autonoma anche per quanto riguarda la normativa regolante il Servizio sanitario nazionale.

Mentre nella clinica della città di Udine si dava inizio alla graduale diminuzione della nutrizione e dell’idratazione, il Consiglio dei ministri emanò un decreto legge che ne vietava la sospensione.

Alle ore 20:00 del 09.02.2009, mentre in Senato si discuteva, ancora, di nutrizione ed idratazione forzate, Eluana spirò.

A seguito di ciò si registrò l’impegno, assunto dai capigruppo parlamentari, di una sollecita presentazione alle Camere di un testo legislativo articolato, disciplinante i casi di fine vita e, in particolare, il testamento biologico.

Del quale, ovviamente, passata l’urgenza medica non si è più parlato per lungo tempo fino alla recente normativa n.219 del 22.12.2017.

6.4 La legge 22.12.2017 n.219

Come noto, ad effetto della legge n. 219 del 22.12.2017, in vigore dal 31.01.2018, viene riconosciuta la possibilità ad ogni persona maggiorenne, in previsione di una futura malattia che lo renda incapace di autodeterminarsi, di esprimere attraverso le DAT (disposizioni anticipate di trattamento) le proprie preferenze sui trattamenti sanitari, comprese le pratiche di nutrizione e idratazioni artificiali.

Il primo aspetto oggetto delle recenti modifiche ha riguardato la disciplina del consenso informato. Difatti, la legge in esame ha stabilito che nessun trattamento sanitario possa essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata.

Il consenso informato tra medico e paziente è espresso in forma scritta o, nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, mediante videoregistrazioni o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare.

Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o rinunciare allo stesso e, quindi, è esente da qualsivoglia responsabilità civile o penale.

Con espresso riferimento al consenso informato del minore, tuttavia, è opportuno significare che lo stesso verrà espresso o rifiutato dai genitori o dal tutore del minore il quale/i agiranno tenendo conto della volontà del minore, in relazione alla sua età, al suo grado di maturità ed avendo come scopo la tutela della salute psicofisica del soggetto.

Il secondo aspetto, come sopra accennato, oggetto della novità legislativa inerisce alla possibilità che viene riconosciuta ad ogni persona minorenne, capace di intendere e di volere, in previsione di una futura incapacità di autodeterminarsi, di esprimere le proprie preferenze e convinzioni in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il diniego rispetto a scelte diagnostiche o terapeutiche relative a singoli trattamenti sanitari.

Trattasi, appunto, delle c.d. DAT (o disposizioni anticipate di trattamento).

Il soggetto maggiorenne capace di intendere e di volere dovrà indicare, pertanto, un fiduciario (persona anch’essa maggiorenne e capace di intendere e di volere) che ne faccia le veci e lo rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie.

Nell’ipotesi in cui la DAT non contenga l’indicazione di un fiduciario, in caso di necessità, il giudice tutelare provvederà alla nomina di un amministratore di sostegno, ascoltando nel procedimento il coniuge o la parte dell’unione civile o, in mancanza, i figli o, in mancanza, gli ascendenti.

Le disposizioni anticipate di trattamento richiedono, necessariamente, la forma scritta, dovendo essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l’ufficio dello stato civile del comune di residenza del disponente stesso.

È opportuno significare che, nonostante la forma scritta ad substantiam, le stesse sono esenti dall’obbligo di registrazione, dall’imposta di bollo e da qualsiasi altro tributo, imposta, diritto e tassa.

Ebbene, un aspetto degno di menzione riguarda la vincolatività o meno delle stesse.

Difatti, ci si è chiesti se il medico sia tenuto al rispetto delle DAT o se, possa disattenderle in presenza di determinate circostanze.

È unanime la soluzione al riguardo che ritiene il medico obbligato al rispetto delle predette disposizioni, con l’unica possibilità, riconosciuta allo stesso, di disattendere le suddette disposizioni qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizioni clinica attuale del paziente o quando, ad esempio, sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione e capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita.

Conclusioni

Le novità relative alla tematica del testamento biologico e, in particolare, il suo essere strettamente legato alle problematiche sollevate sul piano etico, filosofico e giuridico dai progressi in ambito scientifico, rende estremamente complicato addivenire a delle conclusioni certe e rassicuranti che vedano concordi gli studiosi delle diverse discipline.

Pertanto, giunti a tal punto della seguente trattazione, appare doveroso rendere delle opportune considerazioni in ordine alla materia fino ad ora analizzata.

L’analisi comparatistica dei differenti orientamenti colpisce, soprattutto, per la sua non omogeneità pur all’interno delle comuni aree di civil law e di common law.

Così, ad esempio, stupisce che il legislatore americano – sin dal finire degli anni settanta – abbia approntato un’apposita legislazione del c.d. right to die, disciplinando in maniera dettagliata e specifica le complete modalità ed il suo relativo esercizio.

Il discorso è similare all’interno dell’area di civil law, ove si passa da forme di concreto interesse per il tema, come ad esempio per i paesi come la Germania, a forme di sostanziale disconoscimento, quale era la situazione in Italia prima delle recenti modifiche normative.

E, proprio nel nostro paese, è doveroso significare come il pieno riconoscimento dell’autodeterminazione in ambito medico e la conseguente legalizzazione dei testamenti biologici non sia state né breve e né agevole.

Tale riconoscimento è passato, infatti, attraverso le anguste maglie dell’art. 5 c.c., del principio del consenso informato e delle sue eccezioni, della configurazione del diritto alla salute, della delegabilità ad altri del consenso alle cure per poi approdare, finalmente, alle recenti modifiche apportate dalla L. 219 del 22.12.2017 entrata in vigore il 31.01.2018.


1 Regulae (XX, 1) e Digesto (28, 1, 1).

2 Guido Ceronetti, Il silenzio del corpo, Adelphi editore, 1979, p. 127.

3. D. Chiappa, Due lettere apologetiche e due discorsi. L’uno della fortuna del medico, l’altro della morale del medico, Milano, Tip. Guglielmini, 1852, p.158.

4 Ippocrate, Opere, cit., p. 461.

5 E. Calò, Il ritorno della volontà. Bioetica, nuovi diritti ed autonomia privata, Milano, 1999, p.120.

6 Cfr. In re Quinlan, 70 N.J., p. 10 e ss. e in 355 A.2d, p. 647 e ss., cert. Denied, 429 U.S., p. 922 e ss (1976).

7 In 137 N.J., Super p. 269 e in 348 A.2d p. 824 e ss.

8 G. Ponzanelli, Il diritto a morire: l’ultima giurisprudenza del New Jersey, Foro. it., 1988, IV, p.239-294-295.

9 G. Ponzanelli, op. cit. p. 153, 298, 299, 300.

10 S.Sica, Il consenso al trattamento dei dati personali: metodi e modelli di qualificazione giuridica., Riv. dir. civ., 2001, 22 e ss.

11 Natural death Act, in Riv. dir. civ., 1987, p 84 e ss.

12 Natural death Act, in Riv. dir. civ., 1987 , p 90 : ”Per terapia di sostentamento vitale si intende ogni mezzo o

intervento medico che utilizzi apparecchiature meccaniche o artificiali per sostenere, riattivare o sostituire una naturale funzione vitale e che, una volta applicata al paziente, con prognosi negativa, è in grado unicamente di ritardare, in maniera artificiale, il momento della morte, allorquando a giudizio del medico curante, questa appaia imminente pur se tali mezzi vengano impiegati.

In ogni caso la terapia si sostentamento vitale non comprende la somministrazione di farmaci o prestazioni, la cui sola finalità è di alleviare la sofferenza”.

13 Natural death Act, in Riv. dir. civ., 1987, p 93 : “Non può, infatti, assumere la veste di testimone neppure il medico curante, un dipendente del medico curante o della casa in cui il disponente è ricoverato o altra persona che, al momento del compimento della disposizione, possa vantare diritti su una qualsiasi parte dei beni del disponente a seguito della sua morte”.

14 Il caso Cruzan ha per molti anni interessato l’opinione pubblica americana.

Cfr. C.E. Arris, B. A. Bostrom, Is the continued provision of food and fluids in Nancy Cruzan’s best interest?, in 5 Issues in Law and Medicine, 1990, 415.

15 I. M. Ellmann, Cruzan vs. Harmon and the dangerous claim that others can exercise an incapacitated patient’s vegetative state treatment statute, in Ohio State Law J., 1990, 51, 439.

16 M. Barni, I testamenti biologici: un dibattito aperto, in Riv. it. Med. Leg., 1997, p.836.

17 P. Stanzione, Capacità, in Enc. giur., Milano 1996, p.59.

18 V. Zambrano, Interesse del paziente e responsabilità medica nel diritto civile italiano e comparato, Napoli, 1995, 1265.

19 In Re T (Adult Refusal of Medical Treatment), in Fam., 1993, p 95,96,97,98,99.

20 In Re T (Adult Refusal of Medical Treatment), in Fam., 1994, p 290.

21 In Re T (Adult Refusal of Medical Treatment) in Fam., 1995, p 38.

22 L. Iapichino, Testamento biologico e direttive anticipate, Milano, 2000, p. 38.

23 F. G. Pizzetti, Alle frontiere della vita: il testamento biologico tra valori costituzionali e promozione della persona, Milano, 2008, p. 88, 289.

24 F. G. Pizzetti, op. cit. p. 89.

25 Dispone, infatti, l’art. 32 della Costituzione che: “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun modo violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

26 V.Frosoni, Il testamento di vita (The living Will), Roma, 1985, p.61 e ss.

27 G.Perico, Testamento biologico e malati terminali, in Aggiornamenti sociali, 1992, 667 e ss.

28 Si pensi alla legge n.91/1999 in tema di trapianti di organi, alla legge n. 458/67 sul trapianto del rene da vivente, alla legge n.194/78 sull’aborto, o al D.M. 27/04/1992 attuativo della direttiva comunitaria n. 91/507 o al D.M 18/08/1997 n. 62 sulla sperimentazione clinica.

29 R. Panuccio, Le dichiarazioni non negoziali di volontà, Milano, 1966, p. 78 e ss.

30 R. Panuccio, op. cit. p. 112,113,114.

31 F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 1998, p.82 e ss., il quale: “sottolinea come nel caso di atto non negoziale l’autonomia si esplica al fine di perseguire degli interessi, non già nella creazione della disciplina, ma esclusivamente nella scelta del mezzo offerto dall’ordinamento giuridico. Di conseguenza, l’atto è frutto di eteronomia, intendendosi per regola eteronoma quella dettata da poteri diversi ed esterni all’autonomia del privato, in particolare, quindi, dal potere legislativo.

Tuttavia, anche nel caso di atto negoziale non può dirsi che la volontà privata sia priva di controlli; anzi l’insieme delle regole dettate dalle varie leggi in materia di attività private qualificabili come negoziali sta a dimostrare il contrario” 32 G. Cattaneo, Il consenso del paziente al trattamento medico-chirurgico., in Riv. trim. dir. proc. civ., 1997, 951 e ss. 33 G. M. Vergallo, Il rapporto medico-paziente. Consenso e informazione tra libertà e responsabilità, Milano, 2008, p.356.

34 G. Ferrando, Consenso informato dei pazienti e responsabilità del medico, principi, problemi e linee di tendenza, Milano, 2010, p. 58

36 C. Santagata, Del mandato, Disposizioni generali, in Comm. Cod. Civ., Scialoja-Branca, Bologna, 1995, sub art. 1703, 54.35 G. Ferrando, op. cit. p. 62, 63, 64.

37 L. Milone, Il testamento biologico, Milano, 2008, p. 88.

38 Tribunale di Lecco, 19.12.1996 in Riv. dir. civ. 2004, p.22.

39 Cassazione, 25.06.2008 n. 88 in Riv. dir. civ. 2008, p. 15.

40 M. Mori, Il caso di Eluana Englaro, Bologna, 2008, p. 41.

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