Autotutela pubblica e privata: ratio e ipotesi tipiche a confronto

in Giuricivile, 2018, 6 (ISSN 2532-201X)

[1] In linea generale, con il termine autotutela si suole indicare il potere di “far giustizia da sé”. Tale potere differisce a seconda se a esercitarlo sia un soggetto di diritto privato ovvero una Pubblica amministrazione.

Nel diritto amministrativo, l’autotutela si configura come una regola di esercizio di un potere generale attribuito nell’ottica di esercizio del diritto pubblico.

Nel diritto civile, invece, la regola è il divieto di esercizio di autotutela privata, sì come implicitamente confermato dal combinato disposto degli artt. 392 e 393 c.p. e  2907 c.c.

Le radici di questo divieto sono ravvisate nella repressione delle forme primitive di giustizia privata e nel principio del monopolio esclusivo dell’amministrazione pubblica della giustizia. Sottesa al divieto di autotutela privata è inoltre l’esigenza di tutelare l’ordine pubblico.

Chi fa giustizia da sé, infatti, attua conseguenze sfavorevoli che comportano un’ingerenza nella sfera giuridica altrui.

Il divieto di autotutela, dunque, fonda sul precetto del rispetto dei diritti altrui, lambendo conseguentemente la clausola di buona fede – solidarietà, sì come riletta alla luce dell’art. 2 Cost.

Ipotesi tipiche di autotutela privatistica

Nonostante il divieto di autotutela privata, il legislatore nel codice civile offre una pluralità di strumenti che, per struttura e modalità di azione, costituiscono forme di autotutela privatistica.

In particolare, la dottrina suole operare una classificazione. Si distingue dunque fra:

  • strumenti cd. inibitori: si tratta di rimedi volti a impedire un’attività illecita in essere o semplicemente minacciata; ipotesi paradigmatica è costituita dalla legittima difesa, di cui agli artt. 2044 c.c. e 52 c.p.
  • strumenti cd. punitivi: trattasi di rimedi volti a comminare una sanzione all’autore del fatto illecito; tra questi, esemplificativamente, rientrano le cd. sanzioni disciplinari.
  • strumenti cd. esecutori: si tratta di rimedi che attuano il contenuto del diritto nel suo originario contenuto, prescindendo dalla volontà della controparte. Fra questi vi rientrano: il cd. patto cd. marciano[2] e l’impossessamento della cosa illecitamente sottratta. Quest’ultimo è reputato lecito dalla giurisprudenza quando sia effettuato dal possessore spogliato, sempre che la reazione allo spoglio avvenga con carattere di immediatezza. Tale recupero è inteso e giustificato come una particolare ipotesi di legittima difesa.
  • strumenti cd. cautelativi: trattasi di rimedi che conferiscono al titolare un potere di conservazione del diritto violato o minacciato. Tipico esempio di rimedio cautelativo è la ritenzione che si sostanzia nel diritto del soggetto, che deve restituire la cosa, di trattenerla. Ancora, vi rientrano: l’eccezione di inadempimento; la clausola solve et repete.  
  • strumenti cd. risolutori: si tratta di rimedi che consentono alla parte non inadempiente di sciogliersi dal contratto inadempiuto.
    Si tratta di rimedi che attendono ai rapporti contrattuali e che tutelano il diritto della parte non inadempiente evitando di esporla ad ulteriori violazioni del suo diritto.
    Forme di autotutela risolutoria sono i mezzi di risoluzione stragiudiziale del contratto: diffida ad adempiere, clausola risolutiva espressa e termine essenziale.

Ciò che rende tutte le fattispecie menzionate forme eccezionali di autotutela privatistica, è il fatto che trattasi di rimedi azionabili autonomamente dalla parte senza il necessario intervento del giudice, essendo direttamente la norma attributiva del potere a riconoscere il diritto di agire per tutelare la propria sfera giuridica.

Il legislatore, quindi, nel delineare la norma, attribuisce al privato un potere di tutelare, in via immediata, il proprio diritto senza dover necessariamente ricorrere all’autorità giudiziaria.

È tangibile, infatti, il rischio che scaturirebbe dalla presenza nell’ordinamento civilistico di una norma tesa a riconoscere un potere di autotutela privatistica cd. generale; muovendo da questo assunto teorico, infatti, ogni consociato potrebbe tutelare il proprio patrimonio attraverso azioni materiali ritenute all’uopo opportune.

Tuttavia, come in premessa evidenziato, è proprio la natura privatistica dell’interesse che il legislatore intende soddisfare, attraverso l’attribuzione del potere di autotutela, che rende lo stesso strettamente tipico e tassativo.

Sottesa alla tipicità, nominatività e tassatività del potere di autotutela, infatti, vi sono ragioni di natura pubblicistica, prima fra tutte la tutela dell’ordine pubblico.

L’autotutela pubblicistica

L’esigenza di tutelare l’ordine pubblico rientra, come è ben noto, fra gli interessi preminenti che la P.A. è chiamata, in uno agli altri enti, a soddisfare.

Il perseguimento di questo interesse, ma più in generale -e anche più correttamente- dell’interesse pubblico, ossia di quell’esigenza di benessere sociale propria della generalità dei consociati, induce il legislatore a riconoscere all’amministrazione, differentemente dai singoli consociati, un potere generale di autotutela amministrativa.

Autotutela amministrativa è, quindi, una locuzione linguistica con la quale si suole identificare la facoltà della Pubblica amministrazione di rimuovere eventuali ostacoli che si frappongono tra il suo agire e il fine pubblico cui il primo è diretto a soddisfare.

Il potere amministrativo di autotutela si declina in una triplice forma:

  • autotutela decisoria
  • autotutela esecutoria
  • autotutela possessoria

Autotutela decisoria

Con la prima si identifica la facoltà, ovvero secondo taluno anche l’obbligo, di rimuovere un provvedimento amministrativo poiché illegittimo o non più efficiente al perseguimento dell’interesse pubblico.

Si tratta, in particolare, di un potere cd. di secondo grado in quanto il suo esercizio è subordinato alla necessaria presenza di un provvedimento amministrativo sul quale è destinato a insistere.

L’autotutela decisoria, a far data dal 2005, trova una propria disciplina giuridica negli artt. 21 quinques e 21 nonies della legge sul procedimento.

Le disposizioni contemplano due forme di esercizio del potere decisorio; l’una prevede la cd. revoca, il cui esercizio trova fondamento nella sopravvenienza di un interesse pubblico contrario al provvedimento già emanato e sul quale la revoca è destinata a insistere; l’altro, invece, contempla il potere di annullamento d’ufficio, ossia una facoltà di ritiro del provvedimento alla luce dei vizi di legittimità di cui lo stesso è gravato.

Autotutela esecutoria

Con il potere di autotutela esecutorio, invece, la P.a. è legittimata a eseguire un provvedimento amministrativo, inattuato da parte del privato inadempiente.

Anch’esso è un potere cd. di completamento in quanto destinato a soddisfare il medesimo interesse pubblico sotteso al provvedimento amministrativo ineseguito.

Tuttavia, l’autotutela esecutoria differisce da quella decisoria atteso che quest’ultima è volta alla caducazione dell’atto sul quale insiste, viceversa, la prima determina la soddisfazione coatta dell’interesse perseguito dal provvedimento ineseguito.

Il fondamento giuridico del potere amministrativo in esame è individuato nell’art. 21ter della legge 241/90.

La disposizione, implicitamente, postula che il provvedimento da eseguire coattivamente sia conforme al modello legale in omaggio al principio di legalità sostanziale che governa l’agire dell’amministrazione.

Conseguentemente, il provvedimento di cui trattasi, per essere eseguito dovrà essere esistente e valido.

La categoria giuridica dell’esistenza postula la presenza nel provvedimento amministrativo di tutti gli elementi costitutivi, sufficienti e necessari, a garantire l’effetto cui lo stesso è volto a realizzare.

Viceversa, la categoria della validità postula il rispetto delle regole legali previste dal legislatore.

Dette regole rappresentano i limiti al cui interno si orienta l’azione della P.a.; si può distinguere tra limiti negativi, a seconda che costituiscano lo schema legale minimo di riferimento del provvedimento all’uopo emanato, ovvero positivi ossia quei limiti di esercizio del potere che afferiscono alla finalità di pubblico interesse cui l’emanazione del provvedimento è preposta.

In aggiunta ai requisiti di esistenza e di validità, l’art. 21ter l. 241/90 postula la preventiva comunicazione del provvedimento all’interessato e il susseguente decorso del termine entro il quale la P.a. ha imposto allo stesso un facere.

Autotutela possessoria

Con il potere di autotutela possessoria, viceversa, la P.a. ha facoltà di procedere in via amministrativa alla tutela dei beni di cui è proprietaria.

A differenza delle altre tipologie di autotutela, l’esercizio delle facoltà possessorie non richiede, sempre, la necessaria presenza di un provvedimento amministrativo antecedente sul quale insistere.

Si tratta, per vero, di un potere avente finalità autonome: in particolare, la P.a. garantisce il rispetto della situazione possessoria instauratasi tra amministrazione e res ovvero tra un terzo e il bene allo stesso concesso.

Il fondamento giuridico dell’autotutela possessoria è individuabile nell’art. 823 c.c.

La disposizione normativa disciplina la facoltà della P.a. di procedere in via amministrativa per la tutela dei beni appartenenti al demanio pubblico; soggiunge, inoltre, una generale facoltà di ricorso alle tutele di diritto privato, quali quella petitoria e quella possessoria.

Traspare una duplice anima del dettato normativo: da un lato il legislatore attribuisce un potere amministrativo generale senza delinearne i contenuti, così dando luogo a una possibile frizione con il principio di legalità sostanziale; dall’altro, in via alternativa, offre la facoltà di agire iure privatorum.

In particolare, la disposizione di cui all’art. 823 c.c., che contempla il potere di autotutela, non offre una disciplina, così esponendosi a frizione con il principio di legalità sostanziale che governa l’azione amministrativa.

In omaggio al principio di legalità sostanziale, l’azione amministrativa deve porsi in rapporto di diretta deducibilità dal modello legale previsto dal legislatore e ritenuto idoneo a soddisfare lo scopo cui la stessa azione è preposta.

La ratio dell’accezione sostanziale del principio di legalità la si individua nella capacità dei provvedimenti amministrativi di incidere unilateralmente sulle sfere giuridiche di soggetti privati.

Sicché, questa capacità lesiva è ammessa dall’Ordinamento nella misura in cui la stessa sia tipica e tassativa.

In assenza di una specifica norma attributiva del potere amministrativo si deve ritenere che la P.a., non essendo investita del potere pubblico, possa agire iure privatorum.

A fronte di questa esigenza di tassatività e tipicità dell’azione amministrativa, la disposizione di cui all’art. 823 c.c., nel riconoscere una generale facoltà di procedere in via amministrativa alla P.a., rischia di porsi in frizione con il principio di legalità sostanziale.

La teoria dei cd. “poteri impliciti”: una possibile alternativa alla frizione con la legalità

Detta frizione, tuttavia, è superabile alla luce della teoria dei poteri impliciti, sulla quale in passato gli interpreti solevano ricostruire la disciplina dell’autotutela decisoria.

Per poteri impliciti si intende un fascio di facoltà amministrative non previste dalla legge ma nonostante ciò ritenute ammissibili poiché necessarie al perseguimento dell’obiettivo imposto da legislatore.

Attraverso la teoria dei poteri impliciti, il cui fondamento lo si rinviene nell’art. 325 TFUE, si sostituisce al principio di legalità cd. sostanziale una forma di legalità per competenza e obiettivi.

Nell’individuare l’interesse pubblico, il legislatore attribuirebbe alla P.a. implicitamente tutti quei poteri necessari per il suo raggiungimento.

I presupposti per l’esercizio di esistenza del potere implicito, al fine di affermarne la compatibilità con il principio di legalità sostanziale che tutt’oggi governa l’azione amministrativa, sono individuati nella tipologia del potere e nella pubblicità dello stesso.

Deve, in particolare, trattarsi di un potere di completamento, dunque non autonomo e quindi coadiuvante un precedente esercizio di potere; neutro, ossia inidoneo a pregiudicare la sfera giuridica dei terzi su cui lo stesso eventualmente insiste.

A questi due elementi che afferiscono alla qualità del potere, si affianca anche un requisito cd. procedurale: l’orientamento maggioritario della giurisprudenza che suole ammettere l’esistenza della teoria dei poteri impliciti richiede, a pena di ammissibilità del potere, che lo stesso sia esercitato in contraddittorio con il suo destinatario.

Si opera, dunque, un irrobustimento della partecipazione procedimentale onde ottenere una legittimazione cd. dal basso del potere da esercitare.

L’autotutela possessoria, dunque, ben potrebbe inscriversi nella teoria dei poteri impliciti.

In particolare, essa consegue all’esercizio di un precedente potere; ipotesi paradigmatica è costituita dai provvedimenti di cessione di beni pubblici indisponibili a soggetti terzi di natura privatistica.

In secondo luogo, si tratta di un potere cd. neutro atteso che la finalità perseguita dalla P.a. è quella di riequilibrare una situazione giuridica frustrata dal godimento illecito del bene posto in essere dal privato.

In terzo luogo, la P.a., prima di emanare un provvedimento attraverso cui ripristinare la finalizzazione del bene al pubblico interesse, instaura un procedimento amministrativo con il quale invita il privato a provvedervi autonomamente.

Così opinando, dunque, potrebbe ritenersi ammissibile una forma di autotutela possessoria ogni qual volta essa si ponga come potere di completamento teso a ripristinare gli effetti di una precedente azione amministrativa frustrata dall’agire del privato.

Sicché, potrà discorrersi di autotutela possessoria quando: un’azione amministrativa sia stata posta in essere preliminarmente; il destinatario di questa azione, in specie il privato sul quale grava l’onere di rispettare il vincolo di scopo del bene cedutogli, indebitamente ne frustra gli scopi.

Una ricostruzione siffatta è, in definitiva, compatibile con i beni rientranti nel cd. patrimonio indisponibile e con quelli rientranti nel demanio pubblico nei soli casi previsti dalla legge.

In assenza, invece, di un esercizio di potere amministrativo, sul quale eventualmente fondare il potere implicito di completamento, la tutela della proprietà pubblica sarà demandata agli istituti di diritto privato.

Opinando diversamente, infatti, si determinerebbe un’aggressione del principio di legalità sostanziale che regola, in via generale, l’azione della P.a.; nello specifico, il potere di autotutela possessoria non assumerebbe i connotati di potere di completamento atteso che lo stesso non segue all’esercizio dell’azione amministrativa.

La deroga legislativa alla ricostruzione testé proposta

Deroga a questa ricostruzione del potere di autotutela possessoria, secondo lo schema della teoria dei poteri impliciti, il codice dei beni culturali e del paesaggio.

In particolare, l’art. 43 disciplina un potere di custodia coattiva attraverso cui il Ministero dei beni culturali ha facoltà di custodire determinati beni al fine di assicurarne la sicurezza e la conservazione.

Le disposizioni di cui agli artt. 45 e seguenti del predetto codice, invece, contemplano un procedimento volto alla cd. tutela indiretta, costituita da tutte quelle attività necessarie a garantire l’integrità del bene nonché la sua fruizione.

Gli artt. 116 e seguenti, viceversa, disciplinano le azioni necessarie a garantire la corretta fruizione dei beni concessi in uso a terzi.

Ebbene, le disposizioni menzionate costituiscono una paradigmatica esemplificazione del generale principio di legalità sostanziale: la P.a. è legittimata ad agire a tutela dei beni pubblici, dalla stessa detenuti o concessi a terzi, in virtù di norme attributive del potere.

In assenza di una norma attributiva del relativo potere amministrativo, salvo la proposta ricostruzione del potere di autotutela possessoria secondo la logica della teoria dei poteri impliciti, la P.a. ha facoltà di agire iure privatorum.

Quindi, muovendo dal codice dei beni culturali e del paesaggio si dovrebbe ritenere che l’art. 823 c.c. non offra, in realtà, un potere generale di autotutela possessoria di natura pubblicistica, essendo lo stesso contrario al principio di legalità sostanziale -ciò in quanto il presupposto della legalità dell’agire amministrativo è costituito dalla presenza di una norma attributiva di un potere di azione tipico e tassativo- bensì si limiti a rinviare alla disciplina contemplata dal codice dei beni culturali e del paesaggio, prevedendo, per le altre e ulteriori ipotesi, forme di autotutela privatistica.

L’art. 823 c.c. quale ipotesi di autotutela privatistica

In particolare, l’art. 823 c.c. riconosce il diritto della P.a. di agire a difesa della proprietà attraverso la proposizione di azioni petitorie e possessorie.

Le prime, disciplinate dagli artt. 948 ss. c.c., costituiscono le azioni volte a tutelare il diritto di proprietà leso dall’eventuale spoglio subito.

La peculiarità delle azioni petitorie va ravvisata nel regime di onere probatorio cui le stesse soggiacciono; avendo, infatti, a oggetto il diritto di proprietà, il titolare deve offrire la prova effettiva del suo diritto; conseguentemente, l’Ordinamento pone in capo al proprietario l’onere di provare la continuità e liceità dell’acquisto nel caso in cui lo stesso sia avvenuto a titolo derivato ovvero che siano maturati i termini ai fini dell’usucapione.

Le azioni possessorie, invece, sono disciplinate dagli artt. 1168 ss. c.c. e sono volte a ripristinare una situazione di fatto.

L’elemento di discrimen delle azioni possessorie da quelle petitorie è rappresentato, anche in questo caso, dal regime semplificato di onere della prova.

In particolare, avendo esse a oggetto il possesso, si pone in capo all’interessato l’onere di provare la situazione di fatto antecedente allo spoglio illegittimo subito.

Tirando le fila del discorso

In conclusione, l’autotutela possessoria si inquadra nel generale regime che governa l’azione amministrativa; essa postula la presenza di una norma puntuale attributiva del potere amministrativo ovvero, per i fautori della teoria dei poteri impliciti, la preventiva esistenza di un provvedimento amministrativo cui l’esercizio del potere possessorio funge da completamento.

In assenza di ciò, la P.a. opera iure privatorum secondo le ordinarie regole di diritto privato.

A seconda della diversa tipologia di potere azionato, pubblico o privato, mutano rispettivamente le forme di tutela del destinatario nel caso in cui intenda contestarne la legittimità: a fronte di un potere privato, il destinatario potrà opporsi innanzi al GO, salvo che la materia non rientri da quelle demandate alla giurisdizione esclusiva; a fronte di un potere pubblico, il destinatario potrà opporsi secondo le regole del codice del processo amministrativo innanzi al G.a.


[1] Il presente elaborato è stato redatto con l’ausilio dei testi appresso indicati, ai quali si rinvia il lettore per eventuali approfondimenti in merito alle questioni trattate:

  1. FRATINI M., Compendio di diritto civile, V edizione, anno 2017/2018, Neldiritto Editore s.r.l.;
  2. CHINE’ G. – FRATINI M. – ZOPPINI A., Manuale di diritto civile, VIII edizione, anno 2016/2017, Neldiritto Editore s.r.l.;
  3. FRATINI M., Il sistema del diritto civile, vol. 1 “Le obbligazioni”, I edizione, anno 2016/2017, Dike Giuridica Editrice s.r.l.;
  4. CARINGELLA F., Il sistema del diritto amministrativo, prima edizione, volumi nn. 1, 3, “Il nuovo diritto amministrativo” – “I nuovi contratti pubblici”, Dike Giuridica Editrice s.r.l.;
  5. GAROFOLI R. – FERRARI G., Manuale di diritto amministrativo, X edizione, 2016/2017, Neldiritto Editore s.r.l.;
  6. GAROFOLI R., Compendio di diritto amministrativo, IV edizione, 2016/2017, Neldiritto Editore s.r.l.

[2] Si tratta del patto con cui si conviene l’acquisto della proprietà, da parte del creditore, del bene ricevuto in garanzia in caso di inadempimento del debitore, purché il bene medesimo sia stimato al giusto prezzo dopo l’inadempimento ad opera di un terzo imparziale e sia restituita l’eccedenza di valore al debitore.

La stima del bene e l’obbligo di restituire il maggior valore rispetto al debito garantito consentono di evitare la sproporzione tra l’entità del debito e il valore del bene trasferito in garanzia e l’arricchimento ingiustificato del creditore.

Il patto marciano, quindi, pur realizzando lo stesso effetto del patto commissorio non ricade nel campo di applicazione del divieto di cui all’art. 2744 c.c.: è una species di patto commissorio lecito.

Avvocato dal 2015. Laureato in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Reggio Calabria, con tesi in diritto civile dal titolo la "Destinazione patrimoniale nell'interesse della famiglia". Diplomato presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università degli Studi di Reggio Calabria con tesi in diritto penale dal titolo la "Natura giuridica delle linee guida e grado della colpa nella giurisprudenza successiva al decreto Balduzzi", relatore Prof. Avv. Patrizia Morello.

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