Le operazioni di factoring non sono immuni all’azione revocatoria fallimentare

Sommario: Massima – 1. Il caso in esame – 2. Il contratto di factoring – 3. L’azione revocatoria fallimentare – 4. L’estensione dell’azione revocatoria alle operazioni di factoring.

L’azione revocatoria fallimentare può essere esercitata anche nei confronti di una cessione del credito, avvenuta tramite contratto di factoring.

Ciò nel caso in cui il cessionario sia legato ad un istituto di credito presso il quale il cedente abbia un conto corrente e possa perciò in tal modo sorvegliare il flusso delle rimesse derivanti dalle cessioni e ridurre l’esposizione debitoria.

Lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza n. 15943 del 27 giugno 2017.

1. Il caso in esame

Una società vantava dei crediti nei confronti del Ministero della Difesa e li cedeva ad altro soggetto.

A seguito della dichiarazione di fallimento della società cedente, la curatela del Fallimento agiva nei confronti della Banca, del cessionario e del Ministero della Difesa per ottenere in via principale la revoca delle cessioni ed in subordine la revoca delle rimesse effettuate dal cessionario sul conto corrente che la società fallita aveva presso la Banca.

In primo grado, il Tribunale respingeva le domande attoree poiché le cessioni dei crediti e le rimesse sul conto svolgevano la funzione tipica del contratto di factoring.

Avverso tale sentenza la Curatela fallimentare proponeva appello, poi accolto con conseguente dichiarazione di inefficacia nei confronti della massa dei creditori del fallimento delle rimesse eseguite dal cessionario sul conto corrente intestato alla società fallita presso la Banca.

La Banca proponeva dunque ricorso in Cassazione.

2. Il contratto di factoring

Il contratto di factoring costituisce un accordo in virtù del quale un imprenditore cede, o si obbliga a cedere a titolo oneroso i propri crediti commerciali ad un operatore specializzato (factor) il quale si impegna dietro corrispettivo a fornire una serie di servizi di contenuto differenziato.

Il factoring è stato introdotto dalla L. 52/1991, denominata “Disciplina della cessione dei crediti di impresa”, che però non ha mutato la natura atipica di tale contratto (Cass. 1510/2001).

Il factoring presenta però molti punti di contatto con la disciplina della cessione dei crediti a tal punto che in dottrina si ritiene che le norme del contratto di cessione dei crediti di impresa costituiscano un’ideale Sezione II del Capo V del Titolo I del Libro IV del codice civile, cioè una sezione aggiuntiva del capo sulla cessione dei crediti.

All’interno dei soggetti del factoring particolare importanza riveste il factor il quale assolve a vari compiti, quali:

  • la contabilizzazione
  • l’incasso
  • il recupero dei crediti.

Dal punto di vista dei soggetti del factoring si rileva che le operazioni sono svolte dal factor nell’autonomia della propria struttura organizzativa con la facoltà anche di approvare gli affari conclusi.

Il cedente secondo l’art. 1 della L. 52/1991 deve essere un imprenditore e prevede che tale qualità debba sussistere fino al momento in cui si conclude il contratto di cessione del credito.

Invece il debitore ceduto non è peculiarmente caratterizzato dalla normativa in questione, sicché costui può essere chiunque abbia intrattenuto rapporti contrattuali col cedente.

La figura del cessionario è invece cambiata perché pochi mesi dopo l’approvazione della L. 52/1991 venne introdotta nel nostro ordinamento la L. 197/1991, finalizzata a combattere il fenomeno del riciclaggio del denaro, pertanto le società finanziarie, nelle quali rientravano le società che concedevano finanziamenti sotto qualsiasi forma dovevano iscriversi in appositi elenchi tenuti dal Ministero del Tesoro.

Il novellato art. 1 prevede ora che il cessionario sia una banca od un intermediario finanziario il cui oggetto sociale preveda l’esercizio dell’attività di acquisto dei crediti di impresa; e soprattutto l’attività di cessione dei crediti di impresa è soggetta ad una disciplina differenziata a seconda che il cessionario rientri in uno dei soggetti in precedenza indicati.

La L. 52/1991 indica però anche i crediti pecuniari oggetto di factoring escludendo tutte le cessioni di crediti non aventi ad oggetto una somma di denaro ed inoltre questi crediti devo essere sorti da contratti stipulati dal cedente nell’esercizio dell’impresa.

4. L’azione revocatoria fallimentare.

Come noto, le azioni revocatorie presenti nel nostro ordinamento giuridico sono le seguenti:

  • l’azione revocatoria ordinaria, ex art. 2901 ss c.c.;
  • l’azione revocatoria fallimentare;
  • l’azione revocatoria penale ex art. 192 e 195 c.p..

Analizzando ora l’azione revocatoria fallimentare si afferma che nel campo del diritto fallimentare è più corretto parlare di azioni revocatorie; infatti la L.F. fallimentare ne prevede diverse agli artt. 64, 65, 66, 67, 67 bis, 68, 69 e 69 bis.

Le sopra richiamate azione revocatorie fallimentari condividono tutte la stessa ratio poiché assolvono alla funzione di tutelare la massa dei creditori del soggetto fallito, salve le priorità stabilite dalle legittime cause di prelazione.

L’art. 67 L.F. al comma uno disciplina quattro categorie di atti compiuti dal fallito nell’arco temporale di un anno o di sei mesi anteriori al fallimento, in relazione alle quali può esercitar l’azione revocatoria, quali:

  • atti in cui le prestazioni eseguite assunte dal fallito superano di oltre un quarto ciò che a lui è stata dato o promesso;
  • atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con atri mezzi normali di pagamento;
  • pegni anticresi e ipoteche volontarie costituiti per debiti preesistenti non scaduti;
  • ed infine pegni, anticresi e ipoteche giudiziali o volontarie costituiti per debiti scaduti.

Il secondo comma dell’art. 67 L.F. indica come revocati, “se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato di insolvenza del debitore”, i pagamenti dei debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro si mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.

Presupposto soggettivo dell’azione revocatoria per gli atti elencati nell’art. 67 L.F. è la conoscenza dell’altra parte dello stato di insolvenza del debitore, che, secondo la giurisprudenza può essere presunta sulla base di determinati “indici di insolvenza” in presenza dei quali a conoscenza deve ritenersi dimostrata (Cass. 182/2013).

L’estensione dell’azione revocatoria alle operazioni di factoring.

Con il ricorso in Cassazione, la Banca ha tentato di dimostrare che le rimesse effettuate dal cessionario sul conto corrente intestato alla società cedente fallita non avessero alcuna natura solutoria ma costituissero invece una tipica operazione di factoring.

La Corte di Cassazione ha tuttavia ritenuto che il ricorso non cogliesse la ratio della sentenza della Corte di Appello: i giudici del secondo grado hanno, infatti, valutato il carattere trilaterale del contratto di factoring come anomalo.

Il contratto di factoring è invece quando assolvi al fine di pagare le anticipazioni alla società cedente solo dopo l’avvenuta realizzazione dei crediti ceduti.

Nel caso di specie il flusso del finanziamento garantito dalla cessione dei crediti da parte della società fallita veniva però effettuato sin dall’inizio all’unico scopo di garantire la banca del rientro dell’esposizione debitoria della società cedente.

Dopo aver accertato che il contratto di factoring non assolveva alla sua garanzia atipica, la Corte ha risposto in maniera positiva all’interrogativo secondo il quale la dichiarazione di inefficacia delle rimesse fosse indipendente dall’inefficacia delle cessioni.

Le rimesse effettuate dalla società fallita hanno dunque avuto soltanto lo scopo di conferire tali somme al rapporto creditorio-debitorio intercorrente tra questa e la banca; mentre un normale contratto di factoring avrebbe consentito soltanto il recupero delle anticipazioni da parte del factor.

Tale ragionamento ha confermato l’unitarietà ed al tempo stesso la trilateralità del rapporto.

E’ parso incongruo per i giudici della Corte di Appello che i pagamenti venivano effettuati dalla società fallita alla Banca attraverso il cessionario che era però collegato alla Banca; ciò consentiva che le rimesse venissero effettuate dal cessionario sul conto corrente del cedente detenuto presso la Banca.

In tal modo la Banca assolveva ad un duplice fine quello di controllare il flusso delle rimesse derivanti dalle cessioni; e di ottenere l’eliminazione della esposizione del cedente nei suoi confronti.

Infine la Corte di Cassazione ha chiarito che le rimesse possono essere oggetto di azione revocatoria se un contratto di factoring non svolge la sua funzione di garanzia atipica.

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