Il canone a scaletta nelle locazioni ad uso non abitativo è legittimo

in Giuricivile, 2017, 6 (ISSN 2532-201X), nota a Cass. Civ., sez. III, sentenza n. 8669 del 4/4/2017; Presidente: Maria Margherita CHIARINI; Relatore: Francesco CIRILLO

Nelle locazioni ad uso diverso da quello abitativo le parti possono concordare un canone che aumenti in misura differenziata e crescente nell’arco del rapporto (c.d. canone a scaletta).

Tuttavia, la condizione è che l’aumento sia ancorato ad elementi predeterminati ed idonei ad influire sull’equilibrio del sinallagma contrattuale.

La ratio di tale scelta risiede nell’evitare che tale accordo costituisca un mezzo per eludere la disposizione di cui all’art. 32 della L. 392/78.

Lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza n. 8669 del 4 aprile 2017.

Il caso in esame

Un immobile veniva dato in locazione ad uso non abitativo ad un’azienda, la quale esercitava alla prima scadenza la disdetta e successivamente ma con ulteriore scrittura privata concordava la prosecuzione del contratto per altri sei anni con un canone notevolmente maggiorato.

A seguito di ciò, la società conduttrice citava in giudizio il proprietario dell’immobile affinché fosse condannato alla restituzione dei canoni di locazione pagati sulla base di un accordo nullo, ai sensi dell’art. 79 della L. 392/1978.

Il Tribunale pronunciava sentenza declaratoria della nullità della scrittura privata che prevedeva il canone maggiorato rispetto al canone originario e condannava il locatore al pagamento di un’ingente somma.

Impugnata tale sentenza, la Corte d’appello stravolgeva l’esito del primo grado rigettando la domanda di restituzione avanzata dalla locatrice nei confronti del proprietario.

La società proponeva dunque ricorso in Cassazione.

La disdetta nelle locazioni ad uso non abitativo

La disdetta costituisce un negozio unilaterale recettizio a forma libera che esclude la rinnovazione di un contratto.

Questo istituto gode di una normativa differente a seconda che si tratti di locazioni abitative o commerciali:

  • l’art 3 della L. 431/98 disciplina, difatti, la disdetta nelle locazioni ad uso abitativo;
  • l’art. 29 della L. 392/78 disciplina invece le locazioni ad uso non abitativo.

Analizzando la disciplina delle locazioni non abitative si deduce che la disdetta costituisce un potere che può essere esercitato dal locatore in ipotesi ben determinate.

Nel caso di unità immobiliari locate per attività industriali, commerciali, artigianali etc, ai sensi dell’art. 27 L. 392/78, la disdetta è infatti prevista soltanto nei casi previsti dalle lettere a), b), c) e d) dell’art. 29 L. 392/78.

Al contrario, nel caso di immobili locati per attività alberghiera, ai sensi dell’art. 27 terzo comma L. 392/78, la disdetta è limitata alle ipotesi previste dal comma secondo dell’art. 29 L. 392/78.

Analizzate le modalità di esercizio della disdetta occorre ora esaminare il suo contenuto il quale deve essere specifico, con l’indicazione della nuova attività che il locatore intende svolgere rispetto a quella precedente.

La disdetta non può, infatti, assolutamente contenere un generico riferimento alla volontà del locatore di svolgere nell’immobile un’attività non meglio specificata ma comunque rientrante nell’elenco dell’art. 29 della L. 392/78.

La ratio della specificità della disdetta risiede nella tutela che si vuole offrire in sede contenziosa al conduttore, il quale può in tal modo verificare la sussistenza della condizione per il riconoscimento del diritto al diniego del rinnovo (Cass. 7342/96).

La L. 392/78 all’art. 31 commina anche delle sanzioni nell’eventualità in cui il locatore eserciti la disdetta ma non adibisca successivamente l’immobile ad una diversa destinazione.

Tale articolo sanziona, infatti, il locatore che ha ottenuto la disponibilità dell’immobile per uno dei motivi dell’art. 29 della L. 392/78 e che dopo sei mesi dall’avvenuta consegna non abbia adibito l’immobile prima locato ad una diversa destinazione.

Oltre a tale profilo sanzionatorio, il conduttore può sempre, in conformità con giurisprudenza di legittimità (Cass. 28469/15), ottenere il risarcimento del danno anche nell’ipotesi in cui il locatore entro il termine di sei mesi dall’avvenuta consegna abbia richiesto le autorizzazioni necessarie allo svolgimento dei lavori finalizzati a rendere l’immobile adatto alle esigenze abitative del proprio figlio.

Aggiornamento od aumento del canone di locazione?

La L. 392/78 oltre a disciplinare analiticamente le ipotesi di disdetta del contratto di locazione analizza anche: l’aggiornamento del canone, ai sensi dell’art. 32; ed, infine, i patti contrari alla legge, ai sensi dell’art. 79.

L’aggiornamento del canone è però soggetto a limiti soggettivi, temporali e quantitativi.

Sotto il profilo soggettivo l’aggiornamento del canone può essere richiesto soltanto dal locatore mentre per quanto riguarda i limiti temporali, può essere aggiornato annualmente.

A tal riguardo giurisprudenza esclude la legittimità della clausola contrattuale che prevede l’aggiornamento automatico (Cass 14655/02) oppure attraverso un’unica richiesta, fatta in via preventiva, per tutti gli aumenti del canone che avverranno nel corso del rapporto (ex multis Cass. 2417/2005 e Cass 26799/03).

L’aggiornamento del canone può comportare però una variazione soltanto nella misura del 75% con riferimento a quella accertata dall’ISTAT.

Da ciò si evince come l’adeguamento comporti soltanto una variazione della quantità monetaria, fermo restando il suo valore effettivo (Cass. 2758/1976)

L’art. 79 della L. 392/78 commina, invece, la nullità di qualsiasi pattuizione che limiti la durata del contratto di locazione stabilita dalla legge oppure che attribuisca al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto.

La ratio di tale articolo risiede nell’evitare che il conduttore sia indotto ad accettare condizioni che ledono i suoi interessi pur di assicurarsi il godimento dell’immobile.

Il canone a scaletta nelle locazioni commerciali

La sentenza in commento ha pertanto accolto il ricorso principale del ricorrente e per l’effetto disposto il rinvio alla Corte d’Appello.

Il canone di locazione nel corso del rapporto locatizio può essere infatti solo aggiornato ma non rideterminato; nel caso contrario una qualsiasi pattuizione sarebbe nulla per violazione dell’art. 79 della L. 392/78.

La Corte è pervenuta a tale conclusione richiamando la tesi ormai pacifica in giurisprudenza, formulata con la sentenza n. 10286/01 della Corte di Cassazione, che aveva abbandonato il precedente orientamento giurisprudenziale di legittimità espresso con sentenza n. 11402/93.

Il ragionamento svolto dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 10286/01 sosteneva che se il conduttore ha diritto alla ripetizione delle somme pagate in violazione dei limiti e divieti di legge anche dopo la riconsegna dell’immobile per analogia ne deriva che nel corso del rapporto il conduttore non può accettare degli aumenti non dovuti perché una simile rinuncia è inconciliabile con la facoltà di ripetizione.

Tale orientamento sarebbe conforme secondo la Corte di Cassazione al dettato dell’art. 32 della L. 392/78 il quale vieta al locatore una variazione in aumento del canone ma non nei limiti ammessi pari al 75% delle variazioni accertate dall’ISTAT.

Questo indirizzo giurisprudenziale si armonizzerebbe, inoltre, con il cd. canone a scaletta, in base al quale è prevista la determinazione del canone nel caso di locazione commerciali in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto.

È tuttavia necessario che l’aumento sia soggetto ad elementi predeterminati ed idonei ad influire sull’equilibrio del sinallagma del contrattuale e ciò per evitare che tale clausola costituisca un mezzo per eludere il dettato di cui all’art. 32 della L. 392/78 (Cass. 20384/16).

La causa dell’accordo con cui il contratto di locazione veniva rinnovato per altri sei anni è pertanto illecita e, di conseguenza, il contratto non può che essere nullo.

La Corte ha peraltro precisato che tale accordo non può certo considerarsi alla stregua di un contratto di transazione: non ci sarebbe infatti altro effetto se non consentire al locatore di lucrare sul canone.

La causa del contratto sarebbe stata inoltre contraria all’art. 32 della L. 392/78 in quanto finalizzata al raggiungimento di un risultato non consentito e perché avrebbe avuto ad oggetto un diritto non disponibile.

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