“Il dovere di riservatezza dell’avvocato è posto esclusivamente a tutela della sfera privata del cliente o parte assistita e non anche di quella della controparte”. A deciderlo è stato il Consiglio Nazionale Forense che, con la sentenza n. 84/2014, pubblicata sul sito istituzionale, ha assolto un avvocato dalla sanzione disciplinare dell’avvertimento.
Nel caso di specie, il professionista era stato sanzionato dall’ordine di appartenenza perché, in una controversia relativa ad una separazione tra coniugi, aveva inviato una comunicazione “riservata-personale” al fax di studio della controparte, avvocato che si difendeva in proprio, con la conseguenza che i collaboratori e i dipendenti della stessa, avevano potuto prenderne visione.
Il Consiglio Nazionale Forense ha accolto il ricorso dell’avvocato, non ritenendo il suo comportamento deontologicamente scorretto, atteso che il codice deontologico non prevede in alcun modo uno specifico dovere di riservatezza nei confronti della controparte.
Peraltro, pur volendo sostenere l’esistenza di un simile dovere, il fatto che le comunicazioni fossero state inviate via fax, anziché via mail, non avrebbe aumentato il rischio di violazione della riservatezza, considerato che l’accesso alla corrispondenza sarebbe stato presumibilmente ed ugualmente consentito a tutti i collaboratori di studio; inoltre, la premura dell’avvocato nell’apporre la dicitura “riservata personale” ha reso “efficacemente la protezione dell’interesse dell’esponente alla riservatezza delle comunicazioni”.
A tal riguardo, si ricorda che le singole fattispecie previste dal codice deontologico – e precisamente l’art. 9 (dovere di segretezza e riservatezza), l’art. 18 (rapporti con la stampa) e l’art. 28 (divieto di produrre la corrispondenza scambiata con il collega) – si riferiscono unicamente al rapporto tra professionista e cliente, nonchè alle informazioni assunte nel corso dell’espletamento del mandato conferito o al rapporto tra colleghi relativo alla produzione di corrispondenza in giudizio. Ebbene nessuna di esse è applicabile al caso di specie: la parte “offesa” aveva, infatti, la qualità di controparte e non di cliente dell’avvocato; quest’ultimo, inoltre, non aveva né diffuso notizie a mezzo stampa né prodotto in giudizio la corrispondenza scambiata con la stessa.
Ribadendo la fondatezza del ricorso, il C.N.F. ha perciò concluso affermando che, nel caso di specie, “mancano in radice i presupposti dell’incolpazione addebitata al ricorrente sotto il profilo della violazione del dovere di riservatezza”. Con l’ulteriore chiarimento che non può ritenersi sussistente alcuna violazione del dovere di correttezza tra colleghi in caso di comunicazione a mezzo fax, considerato “strumento di uso normale tra avvocati”, con la persona che in quel momento rivestiva la qualità di legale della controparte. La circostanza che avvocato e parte avversa fossero la stessa persona è, pertanto, del tutto irrilevante essendo peraltro evidente che la comunicazione riguardava prettamente i rapporti tra avvocati.