Con l’ordinanza n. 3738 del 24 febbraio 2015, la sesta sezione civile della Corte di Cassazione ha chiarito, in materia di fondo patrimoniale, quali siano i criteri identificativi dei crediti che possano soddisfarsi mediante esecuzione forzata sui beni conferiti nel fondo, con riferimento particolare ai crediti di natura tributaria.
Si ricorda che, ai sensi dell’art. 167 c.c., il fondo patrimoniale è uno strumento mediante il quale uno o ambedue i coniugi o un terzo vincolano determinati beni (immobili o mobili iscritti in pubblici registri o titoli di credito) destinandoli ai bisogni della famiglia. L’aspetto più importante è il fatto che i beni del fondo e i relativi frutti non possono essere sottoposti ad esecuzione forzata (cioè non possono essere liquidati per soddisfare un creditore) per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.
Nel caso di specie, il titolare di un’azienda agricola individuale e la coniuge, terza non debitrice, avevano impugnato un’iscrizione ipotecaria eseguita dall’agente tributario per la riscossione sui beni dell’azienda agricola, conferiti in fondo patrimoniale, sul presupposto che il debito dal quale era scaturita l’iscrizione era sorto nell’esercizio dell’attività imprenditoriale del ricorrente e, dunque, era estraneo ai bisogni della famiglia. Al rigetto del ricorso da parte della Commissione tributaria provinciale, seguiva tuttavia l’accoglimento di quella regionale la quale, chiarendo che l’ipoteca va considerata, a tutti gli effetti, quale atto prodromico all’esecuzione – con la conseguente assoggettabilità alle regole ed ai limiti per questa prescritti (vedi art. 170 c.c.) – affermava la natura extra familiare dei debiti cui l’iscrizione si riferiva, in ragione della natura tributaria di essi e la consapevolezza di tale natura da parte dell’agente per la riscossione.
Chiamata a pronunciarsi sulla questione, la Corte di Cassazione ha dapprima chiarito quali siano i criteri di identificazione dei crediti che diano il diritto di rivalersi esecutivamente sui beni destinati al fondo patrimoniale. Essi, invero, devono esseri ricercati “non già nella natura delle obbligazioni, ma nella relazione esistente tra il fatto generatore di esse e i bisogni della famiglia“. Sarebbe dunque erronea la statuizione della sentenza impugnata secondo cui il credito di natura tributaria è, per le sue qualità intrinseche, credito di natura extrafamiliare. Occorre, al contrario, accertare se il debito in questione, pur di natura tributaria, sia stato effettivamente contratto per soddisfare i bisogni della famiglia.
A tal riguardo, la Corte di legittimità ha precisato che “se è vero che tale finalità non si può dire sussistente per il solo fatto che il debito sia sorto nell’esercizio dell’impresa, è vero altresì che tale circostanza non è nemmeno idonea ad escludere in via di principio che il debito si possa dire contratto, appunto, per soddisfare detti bisogni“. In quest’ottica, si comprende pertanto che non potranno essere sottratti all’azione esecutiva dei creditori i beni costituiti per bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione del tenore di vita familiare, così da ricomprendere anche i debiti derivanti dall’attività professionale o di impresa di uno dei coniugi qualora il fatto generatore dell’obbligazione sia stato il soddisfacimento di tali bisogni, da intendersi nel senso ampio descritto.
In conclusione, la Corte di legittimità, nel ribadire che nei bisogni familiari sono ricomprese anche le esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia nonchè al potenziamento della sua capacità lavorativa, con esclusione solo delle esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi, ha dunque accolto il ricorso dell’agenzia di riscossione tributaria, rinviando la questione ad altra sezione della Commissione tributaria regionale per nuovo esame.
(Cassazione Civile, Sezione Sesta, Ord. n. 3738 del 24.02.2015)